Campanili Verdi



Nucleare si, nucleare no



La sete di energia e l’energia che ha sete

NUCLEARE SI, NUCLEARE NO

La sete di energia e l’energia che ha sete


Che l’umanità abbia sete di energia è chiaro a tutti. Non lo è altrettanto il concetto che anche l’energia ha sete: non soltanto di fonti di approvvigionamento, rinnovabili o meno, ma proprio di acqua.
Dunque, all’impatto delle crisi idriche sulle nostre vite va aggiunta anche questa aggravante.

Limitandoci all’Italia, il programma energetico nazionale che puntava sugli impianti idroelettrici (anche a prezzo di disastri come per le dighe di Gleno e del Vajont, per citare solo i più noti) deve confrontarsi con un contesto climatico in cui l’ampia disponibilità della risorsa non è più una certezza.
Stesso discorso per il suo uso nel raffreddamento delle centrali termoelettriche e, peggio ancora, nucleari.

Parlando di queste ultime, affronta l’argomento con la superficialità di chi ragiona per slogan e non dipinge il quadro completo chi ne prospetta la realizzazione in un battibaleno, magari in centro città… Quando il primo ostacolo è proprio la difficoltà di individuare una città disponibile ad accoglierle, visto che ancora esportiamo le scorie delle nostre dismesse e c’è resistenza anche verso impianti meno pericolosi come un rigassificatore galleggiante.

Ma se anche cominciassimo a costruirle ora - e non si tratterebbe certo delle centrali “pulite” a fusione, la cui tecnologia è ancora in fase sperimentale -, l’energia che potremmo ottenerne arriverà oltre il limite del non ritorno: quando i cambiamenti climatici saranno irreversibili, almeno per la scala temporale delle prossime generazioni. E se al pianeta Terra diventare come Marte non crea problemi, a noi umani invece sì, eccome!

Cosa dire poi del rischio sicurezza? Naturalmente sorvolando su quello ambientale, troppo ampio da trattare qui.

Sotto il profilo assicurativo (di cui non parla mai nessuno): se già è un’impresa ottenere il risarcimento per una caduta causata da una pista ciclabile mal progettata e peggio mantenuta, figurarsi quale assicurazione sarà disponibile a prendere in carico il rischio di dover rimborsare i danni derivanti da incidenti a centrali nucleari.
Infatti non c’è! Quando si sono verificati sono intervenuti i governi, anche degli stati che non ne erano responsabili, perché le contaminazioni radioattive non si fermano alla frontiera.

E sotto il profilo geopolitico: da quando la Russia ha invaso l’Ucraina continuiamo ad essere col fiato sospeso e sotto ricatto per la paura di una “bomba atomica” impropria quale potrebbe essere un incidente alla centrale di Zaporizhzhia deliberatamente procurato.

Ma non è tutto. Infatti chi tesse elogi al nucleare omette (in buona fede?) di ricordare che, come il petrolio, anche l’uranio non è infinito. E che estrazione e commercializzazione del minerale sono principalmente controllate da società che alla Russia fanno capo anche quando operano in altre nazioni. Dunque andremmo di nuovo ad infilare la testa nel cappio dal quale a fatica si è cercati di uscire per il gas.

Se tutto ciò non bastasse a suggerire maggior prudenza in chi “sposa” la scelta atomica, molto più banalmente, per far funzionare le centrali nucleari occorre l’acqua.
E quando manca si fermano: come quelle francesi per la siccità dell’estate 2023.

Ecco perché la centrale ucraina sopra ricordata sorge a Energodar, sulla sponda del fiume Dnepr controllata dai Russi e nei pressi dell’impianto idroelettrico di Nova Kakhovka: dal quale prelevava l’acqua di raffreddamento finché questa diga non è stata sabotata nel giugno 2023 (a proposito di “bombe improprie” di cui si è scritto).

E perché la centrale di Fukushima in Giappone era stata costruita vicino al mare. Peccato che l’11 marzo 2011 uno tsunami abbia provocato un’onda di 14 metri che, come “La grande onda” di Hokusai, ha superato le barriere di protezione - progettate di “soli” 10 metri (la natura, si sa, ci sorprende sempre) - causando il blocco dei generatori di emergenza per il raffreddamento e lo scoppio di 3 reattori.
Risultato? Acque contaminate dalla radioattività stoccate per un decennio finché, esaurita la capienza dei serbatoi, a fronte di un asserito trattamento per ridurre il livello di radioattività, nell’agosto 2023 - senza grande eco sui media - il Giappone ha cominciato a scaricare quest’acqua in mare confidando nella sua ulteriore diluizione e nelle correnti marine che la disperderanno altrove (e fin dove?).

Cosa diremmo se questo accadesse sulla riviera Romagnola?

Pensiamoci ogni qualvolta potremmo ridurre i nostri consumi energetici e sostenere fonti di energia rinnovabile, diffuse e senza rischi collaterali di questa portata.

Giovanni Guzzi, febbraio 2024
© Riproduzione riservata
Rilanciato da L'Amico del Clero, marzo 2024

 

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