Campanili Verdi



In un mondo di cicale



L’energia che rispetta l’ambiente aiuta la pace

IN UN MONDO DI CICALE

L’energia che rispetta l’ambiente aiuta la pace


Un mondo di cicale. Questo, purtroppo, è l’atteggiamento prevalente nella politica ma anche nella popolazione dei paesi più ricchi di cui l’Italia fa parte: disattenti e distratti, e contenti di esserlo cullandoci (naturalmente ci riferiamo a chi può farlo) nell’illusione di vivere in un mondo in cui tutto va - tutto sommato - discretamente bene.
Se poi capita che le cose vanno male, ci si attende che a soccorrerci sia lo Stato; viceversa sempre vituperato e, per quanto possibile, eluso nelle sue esigenze finalizzate al perseguimento del bene comune.

Un modo di pensare che periodicamente viene messo in discussione per crisi più circoscritte (ovviamente per chi non vi è direttamente coinvolto): come le periodiche cosiddette “calamità naturali”, più correttamente definibili “catastrofi pianificate”; più generalizzate: come la pandemia del covid-19; o più drammatiche: come la guerra quando - per distanze geografiche, parti in causa coinvolte e conseguenze economiche - ci tocca da vicino.

Un modo di pensare, e di agire, che, al contrario, non sembra scalfito da problemi di portata planetaria, come le modificazioni climatiche in corso, per fronteggiare i quali non esistono vaccini che sia possibile sviluppare, né controparti con cui cercare di addivenire ad accordi diplomatici.

Ma, anche su queste pagine, si è più volte ricordato quanto il rispetto dell’ambiente e l’organizzazione della società nel senso della sua custodia e salvaguardia si riverberino direttamente su migliori condizioni di vita per tutta l’umanità e sul mantenimento della pace fra i popoli.

Mentre scriviamo, la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, con i suoi risvolti sulle economie “occidentali” legate alla dipendenza dalle sue forniture di combustibili da fonti fossili per la produzione di energia (non una novità, se pensiamo alle guerre già combattute e tuttora in corso a più o meno alta “intensità” nel Medio Oriente e territori adiacenti), presenta letteralmente il conto ai decisori (ma anche a tutti noi che non li abbiamo sollecitati a sufficienza): per non aver ascoltato chi da decenni esorta all’opportunità (ed alla necessità) di investire decisamente sul contenimento degli sprechi energetici e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili.

Queste ultime, rispetto alle tradizionali, sono più direttamente legate al territorio in cui vengono prodotte e non richiedono imponenti infrastrutture per la gestione tecnica delle diverse fasi industriali (produzione, trasporto, utilizzo) che vi sono connesse, dunque non sono altrettanto vulnerabili: non presentando altrettanti ed altrettanto gravi rischi di impatti ambientali, né l’esigenza di un controllo geopolitico di esse e dei giacimenti. E, di conseguenza, non assoggettano alla dipendenza dai fornitori e dalla disponibilità delle risorse come accade per le non rinnovabili: tra l’altro in esaurimento, questione non adeguatamente considerata da chi propone il “nucleare” come possibile soluzione alternativa.

Giovanni Guzzi, marzo 2022
© Riproduzione riservata
Rilanciato da L'Amico del Clero, aprile 2022

 

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