Con chi rischia la propria vita per assicurarla all’Umanità intera
Portare per strade e piazze parole di Pace e l’urgenza di una comune fratellanza dell’intera Umanità nel custodire la Casa Comune che tutti abitiamo.
Questo, in continuità con Francesco, ci esorta a fare papa Leone, e questo si è fatto: come anteprima a due edizioni milanesi dei Dialoghi di Pace 2025 (www.rudyz.net/dialoghi).
Sotto un tiglio che cresce isolato in un’aiuola periferica di piazza Fontana, quasi fuori posto, fisicamente presente ma con l’aria di essere rivolto altrove ed a disagio in un luogo accanto al quale la vita scorre frenetica, fra l’andirivieni dei tram sferraglianti, l’impazienza degli automobilisti, le moto che zigzagano veloci…
Anche i passanti - lavoratori frettolosi o turisti dagli occhi rivolti in alto: alla Madonnina del Duomo che già si intravede - si ha l’impressione che con lo sguardo lo attraversino senza nemmeno notarlo, quasi fosse trasparente.
Ed invece, la presenza nobile e silenziosa di questo monumento vivente richiama ad una sosta ed un pensiero, suggeriti dall’incisione sulla lapide nel vicino cippo a forma di strana sfera:
“Questo tiglio vive per ricordarvi Chico Mendes e i popoli d’Amazzonia che hanno difeso e difendono la grande foresta e questa nostra piccola terra”.
Chi c’era, il 18 marzo 1989 quando il tiglio è stato piantato, ricorda ancora la pioggia torrenziale con cui anche il cielo commemorava Francisco “Chico” Alves Mendes Filho: un piccolo indio dallo sguardo buono, figlio di seringueiros (i raccoglitori del lattice dall’albero della gomma).
A nove anni anche lui imparò il mestiere, più tardi a leggere e scrivere… e cominciò la sua resistenza pacifica contro la distruzione della foresta che ai seringueiros consentiva di procurarsi il necessario per vivere, rispettandola e non depredandola.
Divenne un simbolo internazionale. La sua lotta in principio sindacale si trasformò in una grande iniziativa planetaria che gli valse, nel 1987, il premio Global 500 per la tutela dell’ambiente.
Per questo venne chiamato a Washington a parlare al Congresso degli Stati Uniti d’America. Vi andò col vestito prestato da un amico. L’anno dopo, il 22 dicembre, fu assassinato sulla soglia di casa dai sicari dei latifondisti che volevano costruire una strada attraverso la foresta Amazzonica.
Aveva 44 anni.
Subito dopo la sua morte, in tutto il mondo fiorirono iniziative in suo onore ed a favore degli abitanti della foresta.
Purtroppo, gli entusiasmi della prima ora si affievoliscono e così, oggi, anche Chico Mendes e la sua proposta sono forse un po’ dimenticati. Lo dimostra l’aspetto della sua lapide in piazza Fontana.
Perché risplenda come dovrebbe, forse occorre che, oltre all’albero, cresca di pari passo anche la nostra sensibilità per la persona cui è stato dedicato ed i suoi ideali.
Ecco perché, nel suo nome, si continuano a ricordare pubblicamente tutti coloro che rischiano la vita per la salvaguardia dell’ambiente e, così facendo, permettono il sussistere delle condizioni che assicurano la sopravvivenza all’Umanità intera.
Soltanto l'ultimo di tanti, Vicente Fernandes Vilhalva, portavoce del popolo Guaranì Kaiowà, ucciso domenica 16 novembre nel sud di quello stesso Brasile in cui, proprio alla COP 30 in corso sui mutamenti climatici, si stava discutendo anche sul destino delle terre indigene e di chi ci vive.
A Chico e Vicente, ai popoli dell’Amazzonia, all’“amazzonia domestica” del verde che abbiamo vicino a casa, ed all’impegno di chi qui la difende, i presenti sotto il tiglio hanno dedicato pensieri poetici del vescovo brasiliano Helder Camara e, sotto l’archetto di un violoncello, l’aria Cantilena dalla Bachianas Brasileiras n. 5 del musicista brasiliano Heitor Villa-Lobos riecheggiati dal sussurro di un vento leggero fra le fronde.
Giovanni Guzzi, dicembre 2025
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Rilanciato da L'Amico del Clero, gennaio 2026
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