Dal dipinto di
Siena 1255 - 1319
Ci limitiamo a due spunti per la nostra riflessione.
1. dalla prima lettura: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo… e non le venererai”. Mosé vieta al popolo d’Israele l’adorazione di immagini e raffigurazioni sacre di Dio perché fedele al monoteismo e per salvaguardare la trascendenza di Dio; Dio è più grande di un’immagine e nessuna raffigurazione lo può contenere.
Questo principio viene diffuso in tutta l’Asia minore proprio nel momento in cui l’Islam si andava estendendo e condannava anch’esso la rappresentazione di qualsiasi essere vivente. Così si giunse alla lotta iconoclasta del sec. VIII ossia alla distruzione di tutte le icone, ossia di tutte le raffigurazioni di Cristo e dei Santi ordinata dagli imperatori bizantini Leone III e Costantino V.
Il motivo della distruzione si basava su questo ragionamento: non c’è separazione tra modello e immagine, il modello deve trovarsi interamente presente nella propria immagine. Come si fa a rappresentare Cristo dal momento che la sua natura divina è infinita e non è separabile da quella umana? Dunque è vietata ogni sua riproduzione e viene considerata idolatrica la venerazione.
Molti di coloro che rifiutarono questo modo di ragionare - soprattutto monaci - subirono persecuzioni e vennero mandati in esilio: in Italia la loro presenza è testimoniata soprattutto al sud ma anche da noi – ad esempio a Castelseprio in provincia di Varese – abbiamo degli affreschi che risalgono a questi monaci.
La distruzione delle immagini, delle icone e dei mosaici ebbe una parentesi con l’imperatrice Irene quando venne convocato il II Concilio di Nicea nel 787 che stabilì il concetto della venerazione delle immagini. Ma ci vollero altri 50 anni prima di vedere la fine di questa crisi: solo nell’843, in occasione della I domenica di Quaresima, a Costantinopoli si celebrò il trionfo delle icone.
Cosa disse il Concilio: “... con la rappresentazione delle immagini coloro che le guardano sono portati a ricordare i modelli originali, a testimoniare loro una venerazione rispettosa, non si deve però rendere loro l’adorazione che è riservata solo a Dio.”
C'è distinzione tra
venerazione = stima, rispetto, desiderio di imitazione
e
adorazione = riconoscere la superiorità.
Questa polemica iconoclasta fu ripresa nel 1500 dalla riforma protestante; il Concilio di Trento confermò la dottrina di Nicea affermando: “Non si creda che nelle immagini ci sia qualche forza o divinità, oppure ci sia da porre fiducia nelle immagini come una volta facevano i pagani che collocavano la spes negli idoli” (D.S. 1823). Già San Tommaso aveva detto che 3 sono le funzioni delle sacre immagini: istruire i fedeli, ricordare il mistero dell’incarnazione di Cristo e l’esempio dei Santi a suscitare l’amore e la devozione. Dunque nessuna forma di idolatria, si tratta di trasmettere però l’immagine, la bellezza divina cosicché coloro che la contemplino siano portati a cogliere il mistero divino, a desiderare di imitare l’esempio di Cristo e dei santi. Tant’è vero che nella tradizione cristiano-orientale la fabbricazione delle immagini sacre è legata strettamente alla preghiera e alla riflessione teologica.
Oggi, ai nostri giorni, l’incomprensione del valore delle immagini sacre è sostenuta dai Testimoni di Geova; difatti questa è una critica che ci rivolgono. L’hanno superata gli altri, speriamo che facciano altrettanto anche loro.
2. Noi, invece, contemplando un dipinto di Duccio da Boninsegna – che attualmente si trova a Madrid – cerchiamo di comprendere i ragazzi di oggi.
Due semplici osservazioni:
a) La provocazione di Cristo: “l’acqua che io ti darò ti disseterà per sempre.”
Da questa promessa di Gesù la donna è irresistibilmente attratta. Lei era andata al pozzo per rispondere a un suo bisogno immediato, l’acqua, e lì incontra una persona che le parla di desiderio; bisogno e desiderio non sono la stessa cosa.
Bisogno indica una necessità immediata, de-siderio da de-siderus fa riferimento alle stelle, all’infinito.
Noi viviamo nella società dei bisogni, ove la persona è ridotta a consumatore. Anche a livello religioso in questo festival del New Age, Scientology, sette, culti orientali e maghi vari, è distrutta l’idea stessa di persona, in un modo molto funzionale al consumismo, che ha bisogno di individui senza consistenza, facilmente manipolabili.
La consistenza dell’essere uomo dimora nel suo desiderio di felicità infinita, per il quale si è pronti a perdere mille battaglie pur di vincere la guerra. Oggi la mentalità dominante è riuscita nell’intento di ridurre il desiderio a livello di bisogno nella stragrande maggioranza delle persone – o addirittura di eliminarlo.
Alla qualità dell’esperienza è subentrato l’imperativo di fare esperienza il più possibile inseguendo il nuovo per il gusto del nuovo ed evitare la noia del quotidiano.
L’esempio più eclatante è il rapporto uomo-donna: oggi il desiderio non è quello di sposarsi, di vivere per sempre con una persona, ma impera l’obbligo di avere un partner perché così si soddisfano i propri bisogni.
Tant’è che davanti ad un giovane che si comporta diversamente generalmente si dubita sul suo equilibrio affettivo.
Eppure anche quando il desiderio rimane sepolto sotto il peso dell’umana fragilità o della superficialità è impossibile spegnerne del tutto la sete.
Guardate la figura della samaritana nel dipinto di Duccio: una figura leggera rispetto alla geometrica rappresentazione dell’abitazione, una donna tutta protesa verso Gesù, lei che era al sesto marito.
Anche da sposati viene per tutti il momento in cui si sperimenta la veridicità di queste parole di don Mazzolari: “Il presente non basta a nessuno. Il cuore e la mente sono sempre di là, oltre la breve gioia, oltre la meta raggiunta con aspra fatica. In un primo momento della nostra vita pare che ci manchi qualcosa, poi cerchiamo qualchedun altro, alla fine ci accorgiamo che la meta è Qualcuno.”
b) Torniamo al dipinto: Gesù sta seduto su un fonte battesimale a 8 lati per l’analogia del numero 8 che indica il giorno della resurrezione, la domenica.
È il primo uomo che la chiama “donna” ossia “signora”, che la rispetta nella sua dignità di persona, che si intrattiene con lei per il piacere di stare con lei non perché vuole qualcosa da lei, anzi lei stessa.
Mi vengono in mente le parole, un monologo, di un film di Tarkovskij “Andreij Rublev”: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno ed è come se ti fossi accostato ad un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente facile.”
Ovviamente non ogni incontro è tale: noi incontriamo tante persone ma… all’improvviso una ci colpisce: è una persona umanamente grande, con lo sguardo profondo, che ci colpisce perché ci coglie in profondità, uno sguardo che ci segna “per sempre” perché ci ha riconosciuto, preferito.
Il cuore di ogni persona è fatto per essere riconosciuto e amato fin dalla primissima infanzia quando lo sguardo dei genitori è decisivo per il formarsi dell’io, e anche nella più disastrata adolescenza c’è il tempo della grazia, ossia d’essere riconosciuto per quello che si è.
La Samaritana era proprio disastrata, aveva conosciuto soltanto quel tipo di incontro che all’insegna del possesso brucia in fretta lasciando solo cenere; ora quell’uomo, Gesù, la guarda con carità pura, con gratuità e verità. Al che avverte l’urgenza di fare partecipi gli altri di quell’incontro.