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Mario Brunello riporta il “Violincello” in concerto in epoca moderna

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SONAR IN OTTAVA

Mario Brunello riporta il “Violincello” in concerto in epoca moderna


“Forse cercavi violoncello”. Nel tempo dei motori di ricerca questa è la risposta che la rete ci restituisce digitandovi il vocabolo “violincello”. E più d’uno spettatore avrà facilmente pensato ad un errore di battitura leggendo questo inconsueto nome di strumento in corrispondenza del secondo brano sul programma di sala per la serata inaugurale della 25a edizione del festival di musica antica Milano Arte Musica (tutto il programma qui >>>) nella chiesa di Santa Maria della Passione: il Concerto in do minore BWV 1060 versione per violino, violincello, archi e b.c. di Johann Sebastian Bach (1685-1750).

Ed invece, nel caso citato subentrato al posto dell’oboe della versione originale e per la prima volta presente in questa rassegna, il violincello, altrimenti detto violoncello piccolo, esiste davvero. Come il violino ha quattro corde e la medesima accordatura per quinte (dalla più grave alla più acuta: sol – nel violino, per intenderci, sotto il do centrale del pianoforte -, re, la, mi) ma di un’ottava più bassa.
Niente dunque ha a che vedere con la viola da gamba. È una leggenda diffusa, ma da sfatare, quella secondo la quale il violoncello sia un’evoluzione di questo antico strumento, che invece appartiene ad un’altra famiglia.
A distinguerli già fisicamente è il fatto che la viola da gamba ha il fondo piatto mentre quello del violoncello è “bombato”. Deriva infatti dal violino, capostipite di una famiglia di strumenti che, così come la maggior parte delle altre, si presenta in diverse taglie. Nel nostro caso, crescendo in dimensioni e gravità di suono, troviamo: viola, violoncello piccolo, violoncello e contrabbasso.
In questa successione il violincello, con la sua voce simile a quella umana del controtenore, intermedia fra il soprano grave e il mezzo soprano, prende il posto di un altro strumento scomparso in epoca moderna: la viola tenore.

Ma anche il violoncello piccolo subì “l’ingiuria” degli anni, come dimostra il fatto che il suo repertorio ebbe una vita breve e si concluse nell’arco di un solo decennio, nonostante risulta fosse suonato da concertisti virtuosi come il bolognese Antonio Vandini (1690-1778), per tanti anni musicista della cappella di Sant’Antonio a Padova, dove conobbe e divenne amico di Giuseppe Tartini che gli dedicò anche alcune composizioni, e Andrea Caporale (1700-1756), stimato da Georg Friedrich Haendel col quale collaborò in teatro a Londra, dove godette di una buona considerazione da parte del pubblico.

Poter riascoltare questo strumento in epoca moderna è dunque, oltre che un piacere per lo spirito, anche un’esperienza di interesse musicologico e storico - culturale di rilievo.
Alla Passione, per MAM, in compagnia del violino di Giuliano Carmignola e dell’Accademia dell’Annunciata diretta da Riccardo Doni, il violincello è arrivato con Mario Brunello, che già lo utilizza per eseguire alcune sonate e partite di Johann Sebastian Bach delle quali, non esistendo manoscritto autografo, c’è chi suppone che potessero forse essere concepite per la sua “Viola pomposa”; ponendo però altri problemi cronologici sui quali tuttavia qui non ci soffermiamo.
Nel presentarlo al pubblico è lo stesso Brunello a ricordare che Bach ne suonava una versione “da spalla”, sorretta a tracolla da una cintura ed imbracciata come se fosse una chitarra elettrica. Con questo strumento poteva così eseguire sia il basso sia la voce melodica a seconda delle necessità e dell’organico disponibile.
Da parte sua, Brunello non l’ha suonato tenendolo serrato fra le ginocchia “alla barocca”, bensì in maniera del tutto ordinaria: come un violoncello moderno appoggiato a terra al suo puntale.

Le possibilità espressive del violincello aprono dunque agli interpreti tutto un letteralmente “inaudito” nuovo mondo sonoro ed hanno fatto sviluppare l’ipotesi che non soltanto Bach ma anche alcune altre importanti composizioni del repertorio barocco concepite per il violino potessero essere eseguite anche da un altro strumento di tessitura più grave ma con la sua stessa accordatura.
Alla prova dei fatti, e dell’orecchio, questa soluzione strumentale si è rivelata ottima per l’esecuzione del Concerto in re minore BWV 1043 (in origine per due violini) nel quale il celeberrimo Largo ma non tanto risponde alla freschezza del vivace iniziale e dell’allegro conclusivo fra i quali è incastonato riportando al calore della voce umana la parte del violino II suonata dal violincello.

Ma se può risultare pacifico pensare di poter suonare sul violoncello piccolo la parte del secondo violino nella musica scritta per due violini, non è scontato fare altrettanto con musica per violino ed altro strumento solista. Ed invece lo si è fatto, come già sopra si è visto a proposito dell’oboe, e con la stessa efficacia visto che l’esperimento è piaciuto molto, almeno stando ai commenti del pubblico che abbiamo orecchiato.

Con queste premesse, il passaggio dal barocco tedesco a quello italiano, che come noto ha significativamente ispirato il primo, è quasi un automatismo ed ha suscitato in Brunello e Carmignola l’idea di utilizzare il violincello al posto di uno dei due strumenti solisti anche in concerti di Antonio Vivaldi (1678-1741) per due violini, archi e basso continuo.
Così alla Passione ne abbiamo potuti ascoltare due. Il Concerto in do maggiore RV 508 ed il Concerto in mi bemolle maggiore RV 515 con, nel Largo centrale, il pizzicato dei violini ad accompagnare il violino e dei violoncelli a sottolineare i passaggi del violincello.

Connessi a questi sono i due brani di Vivaldi per archi e b.c. che hanno completato il programma: il Concerto in do maggiore RV 116 e la Sinfonia in re maggiore RV 125 L’Armonia universale: una ricostruzione di Olivier Fauré, essendo mancanti alcune battute della viola e del basso.
Anch’esso con particolare momento lirico nell’Adagio in cui hanno duettato il violino di Carlo Lazzaroni e gli arpeggi di Elisa La Marca alla tiorba, strumento distinguibile dal liuto indicato in programma (del quale costituisce un’evoluzione tardo seicentesca) per la caratteristica maggiore dimensione e per il manico lungo e dotato di doppio cavigliere al quale è fissato un maggior numero di corde.
Fra liuti, arciliuti, tiorbe e via dicendo è sempre un’impresa per il pubblico dei non esperti individuare con esattezza quale fra questi strumenti (che si differenziano anche per l’accordatura e non solo per le innumerevoli varianti di forma e dimensioni) sia quello che stiamo ascoltando, anche se, a dire il vero, l’uno o l’altro di essi possono essere usati indifferentemente nell’esecuzione di questo genere di musica.
E nell’occasione ci è piaciuto molto sentire inaspettatamente il particolare suono delle corde pizzicate (a mano, perché sono pizzicate anche quelle del clavicembalo!) elevarsi dall’insieme orchestrale: personalmente “facciamo il tifo” per la famiglia dei liuti, spesso confinati al ruolo del supporto ritmico e, per volume di suono rispetto agli archi, sempre costretti ad una gran fatica per far emergere la propria voce.

Infine, ad intercalare Bach e Vivaldi nella seconda parte del concerto, i quattro tempi (Largo - Allegro - Grave - Giga) della Sonata in do minore per archi e b.c. di Johann Gottlieb Goldberg (1727-1756), il più amato discepolo di J. S. Bach, che rivela la profonda assimilazione della lezione del maestro per l’utilizzo di tutti gli artifici del contrappunto in questa composizione che si svolge in un clima di estrema severità.

Per la gioia di chi voglia apprezzarne ogni sfumatura, questo programma è in procinto di uscire in una inedita registrazione discografica. Molto attesa da chi ha notato le finezze delle diteggiature di Brunello: che con molto gusto differenziava passi brillanti dal colore chiaro in prima posizione alternandoli ad altri più meditativi appositamente in quarta posizione, nei quali concedeva maggiore enfasi al “timbro” dello strumento. Il tutto arricchito da varietà di articolazioni dinamiche e colpi d’arco.

Se Brunello ed il suo particolare strumento hanno principalmente catalizzato l’interesse del pubblico, non è mancato però anche chi ha trovato il concerto molto bello proprio per la “commistione” dei due grandi solisti con i giovani talenti diretti da Riccardo Doni. Che a dire il vero non vanno apprezzati in quanto giovani ma per il fatto che a loro volta sono già musicisti affermati.
Più d’uno spettatore è stato infatti colpito soprattutto dal bellissimo suono che aveva l’orchestra. Dalla sua grinta e dalla sua precisione e per l'interpretazione e la grande varietà dei colori orchestrali, a servizio dei solisti o quando era protagonista da sola.

Un plauso dunque a chi valorizza il repertorio della musica antica come è importante che si faccia anche maggiormente, a Milano (dove comunque non sono più così rare le occasioni per ascoltarla) e più in generale in Italia.
Unico limite rilevato da alcuni, è stato l’acustica della chiesa che non ovunque aiutava a capire la qualità di ciò che si è ascoltato. Almeno per chi non riesca a prendere posto nell’ottagono centrale, immediatamente a ridosso dei musicisti, il suono vi risulta infatti attutito e poco limpido disperdendosi nella vastità dell’edificio (a Milano secondo per dimensioni soltanto al Duomo) che non permette di coglierne al meglio i dettagli.

Il giudizio complessivo è stato tuttavia quello di un bellissimo concerto concluso con una “piccola vendetta del violoncello”, come l’ha definita Brunello introducendo il primo bis: ancora di Antonio Vivaldi il terzo tempo dal Concerto in sol minore RV 531 dove per una volta è stato il violino di Giuliano Carmignola a fare la parte del violoncello, visto che per due violoncelli è stato scritto l’originale.
Questo prima del “gran finale” una delicatissima versione strumentale della struggente aria “Erbarme dich” (Abbi pietà) dalla Passione secondo Matteo di J.S. Bach.
Doveroso omaggio al musicista tedesco ed al titolo della chiesa che ha ospitato il concerto fra i suoi tesori artistici abbracciandone il pubblico con la sua anima spirituale tramandata da secoli e dove suggeriamo di non perdere il concerto conclusivo della rassegna che vi vedrà l’ensemble The Tallis Scholars impegnato in un programma dal titolo emblematico: Hear my prayer.

Giovanni Guzzi, luglio 2018
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Fotografie: Alberto Panzani