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Benedetta sia la copia



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BENEDETTA SIA LA COPIA

La Pietà Rondanini torna (per un po’) al suo posto


La Pietà Rondanini è tornata al suo posto. No, purtroppo non si è verificata la resipiscenza da molti auspicata nel 2015, quando il gruppo marmoreo di Michelangelo, acquistato dalla città di Milano nel 1952 anche grazie ad una sottoscrizione popolare, è stato spostato nella nuova attuale collocazione all’ex Ospedale Spagnolo.
Quella che da qualche settimana si può tornare ad ammirare nella Sala degli Scarlioni all’interno del percorso museale del Castello Sforzesco (fino al 31 dicembre 2018) è, infatti, soltanto una sua copia: identica nelle dimensioni ma scolpita in onice bianco iraniano (come si apprende leggendo la didascalia, perché l'impressione visiva è quella di un materiale plastico!) mediante procedimenti tecnologici da uno scultore californiano contemporaneo che, per una volta, ha fatto qualcosa di buono “interpretando”, come si dice oggi (spesso a sproposito), l’opera d’arte presa a modello.

L’allestimento ci offre lo spunto per tornare sull’inutile trasferimento dell’originale dalla nicchia in pietra serena ove si trovava dal 1956 (dopo una prima provvisoria collocazione nella Cappella Ducale): immediatamente a ridosso di altri capolavori della scultura rinascimentale lombarda, come il Monumento funebre che il Bambaia (Agostino Busti) realizzò in marmo bianco fra il 1515 e il 1522 su commissione di Francesco I per il condottiero francese Gaston de Foix: morto in battaglia nel 1512 a Ravenna dopo una folgorante campagna militare che aveva assicurato alla Francia il controllo del Nord Italia e della stessa Milano; poi tuttavia persa dopo la sua morte, ragion per cui, come la Pietà, anche il suo monumento rimase incompiuto.

Senza introdurre valutazioni stilistiche al di fuori della nostra portata, ci limitiamo qui ad osservare che il fatto di poter ammirare bellezze artistiche in un percorso continuo, e non interrotto - come nel nostro caso - dall’obbligatoria uscita verso il Cortile delle Armi del Castello per raggiungere quello che con eccesso di pompa viene definito “Museo della Pietà Rondanini”, per il visitatore che vuole goderne è un valore aggiunto che gli permette di restare al riparo dalle distrazioni indotte dall’inevitabile contatto con chi passeggia per i medesimi spazi con altre finalità e che non è compensato da nessun’altro beneficio.
Men che meno dalla pretestuosa considerazione secondo la quale l’attuale collocazione della Pietà Rondanini sarebbe cronologicamente più coerente della precedente: visto che l’Ospedale Spagnolo è del 1576 e la scultura ha subito due fasi di lavorazione, nel 1552-53 e dal 1555 al 1564.

BREVE NOTA STORICA SULL’OSPEDALE SPAGNOLO

Dal sito internet del Castello Sforzesco apprendiamo che, con la dominazione spagnola del Ducato di Milano, iniziata nel 1535, il Castello divenne sede della guarnigione iberica e venne dotato di aggiornate fortificazioni e di strutture di servizio necessarie alla vita dei soldati. Dopo la metà del secolo, Sancho de Guevara y Padilla, castellano dal 1574 al 1580 e governatore di Milano dal 1580 al 1583, dotò il maniero di un ospedale per le truppe. Venne quindi ristrutturato per questa funzione un edificio addossato alla cortina muraria occidentale, verso Porta Vercellina, che fu ornato di dipinti sulla volta e sulle pareti. La data incisa in lettere romane MD/LXXVII (1576), ancora visibile oggi sul lato corto verso sud, indica probabilmente la conclusione dei lavori di abbellimento e coincide con lo scoppio in città della temibile epidemia denominata “peste di San Carlo”.

Politicamente il trasloco è stato sollecitato dall’assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri (a futura memoria è sempre giusto attribuire i dovuti riconoscimenti a chi li merita), che ha definito l’allestimento degli anni Cinquanta “prestigioso ma soffocante, perché non valorizza l’opera come meriterebbe (sic!), limitando l’affluenza dei visitatori (sic! sic!) e rendendone difficile la fruizione da parte dei disabili”. Su quest’ultimo punto naturalmente esprimiamo il massimo rispetto, ma ci rifiutiamo di credere che non fosse possibile risolvere il problema altrimenti.

Al contrario, troviamo che la limitazione dell’affluenza dei visitatori fosse solo un bene, specialmente per chi vorrebbe apprezzare l’arte come merita e non in mezzo alla confusione. Ma Boeri evidentemente appartiene alla “scuola Franceschini”: che considera un valore le folle che riempiono i musei quando sono gratis, con persone che si sottopongono a code di ore per farci un giro di mezz’ora passeggiandovi pigiati come se si fosse in Galleria… e qui non ci riferiamo ad una galleria d’arte ma intendiamo proprio la Galleria Vittorio Emanuele, dove si passeggia davanti alle vetrine dei negozi.

Esibire grandi numeri fa naturalmente piacere a chiunque, però il loro valore è ben diverso a seconda del modo in cui li si ottiene. Nel nostro caso specifico, un po’ come è avvenuto per EXPO, ci si è vantati degli innumerevoli visitatori conteggiati dalle statistiche sull’affluenza 2015 ai musei del Castello Sforzesco; ma non siamo certi che queste siano esenti dal rischio di risultare gonfiate per effetto di eventi collaterali.
Sulla stampa che ne ha riferito non abbiamo infatti letto che siano state “depurate” dagli accessi per le aperture gratuite: cominciate il 2 maggio, immediatamente a ridosso dello spostamento della Pietà Rondanini nella sua nuova sede, e successivamente proseguite per alcuni mesi. Un tempo durante il quale si è assistito a lunghe file in attesa di una visita che, per fare spazio agli altri visitatori che incalzavano, era forzatamente contingentata in 15 minuti: quasi nemmeno il tempo di guardarsi un po’ attorno e già si veniva invitati dal personale ad avvicinarsi all’uscita. Siamo sicuri che sia questo il modo più giusto di far avvicinare le persone all’arte?

Ma anche sul fatto che la sua nuova collocazione “valorizzi finalmente e meglio” l’opera si può discutere. Entrando nella sala la si vede immediatamente, da dietro: con la sua forma non finita, e perciò incomprensibile come quella di una mal riuscita installazione contemporanea, e tristemente dispersa nel vuoto di uno spazio troppo grande rispetto alle sue dimensioni.

In questo modo è andato definitivamente perduto l’effetto sorpresa di superare una cortina e ritrovarsi immediatamente a contatto ravvicinato con Michelangelo stesso che ti guarda dal marmo che stava sbozzando. Come nelle città medievali quando, dopo averne percorso gli stretti vicoli, si sbuca improvvisamente nella piazza della locale cattedrale che ci abbaglia con le meraviglie della sua architettura e delle decorazioni scolpite nella sua pietra.

Non vogliamo ergerci ad esperti quali non siamo, ma da semplici osservatori ci pare di poter affermare che le sculture a soggetto sacro non celebrativo non si trovano mai in mezzo ad una piazza, spazio destinato a condottieri, personaggi illustri o espressioni della religione “trionfante”. Le “fotografie” delle “rappresentazioni sacre” che la nostra memoria ci ripropone ce le presentano normalmente “appoggiate” ad una parete, collocate entro nicchie, o su un altare: perché non sono qualcosa da esibire ma l’espressione di un sentimento intimo e sacro che l’artista vuole condividere con lo spettatore, e la Pietà Rondanini forse lo suggerisce ancora più di moltre altre.

La sensazione che ci suscita oggi, invece, forse per via della suggestione che induce in noi la consapevolezza dell’antica destinazione dello spazio in cui la vediamo, è quella di un’opera malata, e che sta soffrendo.

Come soffre lo sguardo di chi poi si pone ad ammirarla di fronte: inevitabilmente disturbato dalla luce delle porte di entrata ed uscita che si aprono nella parete di fondo ed infastidito dal continuo andirivieni dei visitatori che - giocoforza - le attraversano. Non per nulla per le foto ufficiali, in assenza di pubblico (!), sono state schermate con tende.
Se a questo paesaggio aggiungiamo le non proprio fotogeniche indicazioni in plastica dell’uscita di sicurezza che obbligatoriamente le corredano, comprendiamo che a completare il desolante quadro mancano soltanto i “videowall” da qualche tempo comparsi agli angoli del cortile di Brera, per privare definitivamente anche questo luogo dello spirito “degli antichi” che ancora vi poteva sopravvivere.

Vogliamo poi parlare del basamento? Ci risulta che, per ragioni stilistiche, il progetto del ‘56 l’avesse previsto in legno d’ulivo e di forma trapezoidale. Fortunatamente il mondo della cultura di allora esprimeva esponenti sufficientemente autorevoli da veder accolte le proprie proteste, cosicché la statua venne esposta così come lo era dal 1911, si ipotizza di ritorno dopo una mostra a Castel Sant’Angelo al barocco Palazzo Rondinini in Roma che già la ospitava dal XVIII secolo e dal quale, sebbene un poco storpiato, la Pietà ha preso il nome col quale è tuttora identificata.

Non ci è noto chi stabilì di appoggiarla sopra un’ara funebre di epoca romana, probabilmente del I o II secolo d.C., con le effigi dei defunti e la tradizionale invocazione ai Mani “Dis manibus…”, le loro anime. Ma all’intelligenza di questo sconosciuto va riconosciuto il merito di aver messo in atto un accostamento con un duplice positivo valore: emotivo e storico – artistico. Perché dava all’insieme un senso del sacro ancora più forte per l’adesione al tema della morte, e perché proprio nell’arte classica affonda le sue radici il Rinascimento.

Poco più di un secolo dopo, la capacità inventiva delle menti incaricate di occuparsene è tutta dimostrata dalla bella pensata di nascondere l’antica ara in una sorta di “ripostiglio”, dove scope e detersivi si troverebbero più a loro agio, e di sostituirla con un’ipertecnologica struttura in acciaio che ha tutta la parvenza di un grigio ed amorfo vaso in plastica rovesciato. Dicono si tratti di un piedistallo antisismico che invia in continuo ai sistemi di monitoraggio tutte le rilevazioni sulle vibrazioni alle quali è sottoposta la statua. Sarà… e sarà pure antisismico, però, ci si consenta l’espressione: “fa veramente schifo”!

Se il problema è il terremoto (fenomeno che, peraltro, nella Pianura Milanese non raggiunge gradi elevati della scale di rilevazione) chissà se si è considerato che la statua potrà pure rimanere in piedi, ma vi franeranno sopra le strutture del Castello.
Se invece si temono le vibrazioni provocate dalle due linee di Metropolitana che vi passano sotto, allora sarebbe stato preferibile scegliere una sede diversa, o magari evitare del tutto un’operazione dal risultato scadente, di cui non si sentiva la mancanza, e per di più con un costo dell’ordine di grandezza del milione di euro. E poi ci si lamenta per la carenza di fondi e per questa ragione si prendono provvedimenti discutibili (Quod non fecerunt barbari… fecerunt Franceschini & Co. - Leggi di più >>>).
Buona parte della cifra sarà pure stata stanziata dalla munifica Fondazione Lombarda alle cui casse ormai si rivolgono anche le Istituzioni Pubbliche, ma si tratta comunque di soldi dei quali riteniamo che la collettività si sarebbe maggiormente giovata se fossero stati spesi diversamente. Nell’ampia e luminosa sala dell’Ospedale Spagnolo meglio sarebbe stato allestire mostre oppure organizzare concerti ed altre manifestazioni culturali, o portarvi altre sezioni delle collezioni del Castello che, ne siamo certi, di spazio hanno sempre bisogno.

Non sappiamo se vi tornerà una volta terminata l’esposizione di cui abbiamo scritto in apertura, ma per lo spazio in cui stava (bene) la Pietà Rondanini, il grande progetto di “trasloco”, con tutto il dispendio di tempo, denaro ed energie profusi, non è stato in grado di proporre niente di meglio del “rimpiazzarla” con uno schermo televisivo che mostra a ciclo continuo il video dello spostamento.

Quello che ci appare al suo inizio, sembra il gruppo di dottori di una commedia: al capezzale del moribondo per dargli il colpo di grazia anziché curarlo.
Vi abbiamo riconosciuti i Dirigenti e Funzionari Comunali Claudio Salsi, che risulterebbe l’ideatore della geniale intuizione, e Francesca Tasso (nel 2014 i due si sono fatti “soffiare” dalla Pinacoteca del Castello tre tavolette quattrocentesche), Ermanno Olmi (buonanima e regista di valore ma che in questo gruppo sta a pieno titolo essendo stato a sua volta protagonista di un riallestimento del Cristo morto del Mantegna in Brera, a seguito del quale i visitatori, anziché goderne al meglio come si sarebbe voluto, scambiavano l’opera per una sua videoimmagine proiettata da uno schermo e, pertanto, chiedevano al personale di sala “E dov’è il dipinto?”) e poi anche Renzo Piano ed altri meno noti al pubblico dei non addetti ai lavori che però è giusto nominare perché a loro volta possano condividere il merito dell’operazione: Giovanna Mori, Responsabile Servizi del Castello Sforzesco, Claudia Pilotti di Arteria, l’azienda incaricata dello spostamento, Giovanni Agosti, storico dell’arte e docente all’Università Statale di Milano (che ricordiamo per aver chiesto dall’Ambrosiana in prestito la Sacra Famiglia con Sant'Anna e San Giovannino di Bernardino Luini di cui, nella mostra da lui medesimo curata a Palazzo Reale, ha però disconosciuto la paternità, e per questo l’Ambrosiana ne ha chiesto la restituzione a mostra in corso).

Fa impressione pensare che sono state proprio queste personalità della cultura, non solo milanese, ad aver deciso lo spostamento che ora propone la Pietà di spalle ai visitatori, come se in una chiesa la pala d’altare fosse appesa a rovescio.

E dà una fitta al cuore vederle sovrintendere l’operazione, di notte ed accompagnate dai Carabinieri, come se fossimo in una storia a fumetti in cui la “Banda Bassotti” è intenta ad un furto clamoroso sotto il naso di Topolino e del Commissario Basettoni!
Una storia nella quale l’artefice del piano, Gambadilegno (o Macchia Nera a seconda delle preferenze dei lettori), è impersonato dall’architetto Michele De Lucchi.

Abbiamo letto che in principio si fosse dichiarato contrario allo spostamento nella “casetta in cortile”. Chissà cosa lo avrà spinto a cambiare idea. Certo che se l’avesse mantenuta sarebbe stato meglio per tutti. Ma ci vuole del coraggio a rifiutare un incarico del genere.

Allo stesso modo sarebbe stato auspicabile un boicottaggio generalizzato della sciagurata iniziativa. Nessuna ditta si sarebbe dovuta prestare ad esserne complice, così come ora diverse aziende farmaceutiche si rifiutano di fornire i medicinali necessari per le iniezioni letali ai condannati a morte negli USA.

Sorprendente è osservare dal video (anche perché l’audio non si sente quasi per nulla) che con il laser e le stampanti 3D si sia potuta replicare esattamente l’opera di Michelangelo ottenendo una copia da utilizzare per tutte le simulazioni richieste dall’organizzazione del trasferimento. È un po’ la stessa cosa che ha fatto lo scultore ricordato in apertura, ed è pur vero però che il 3D non ha l’inventiva dell’artista che ha realizzato l’originale. Appunto!

Infine spaventa vedere che, per lo spostamento degli anni Cinquanta, gli operai lavoravano senza guanti anche dovendo manovrare catene e un marmo prezioso e pesante. E per fortuna che, allora come oggi, dall’operazione il capolavoro non abbia riportato danni.

OGNUNO A CASA SUA

Su l’Eclettico abbiamo sempre contestato, per vari motivi, gli spostamenti delle opere d’arte. Soprattutto quando si tratta di sculture, per le evidenti maggiori difficoltà pratiche che comportano rispetto ai quadri. E specialmente quando non sono obbligati da necessità legate alla loro salvaguardia o al loro restauro (che ormai sempre più si fa in loco, anche con beneficio dei visitatori) ma per ragioni futili ed inconsistenti come la presente o mostre temporanee.

Di queste ce ne vangono in mente due non remote nel tempo: quella del Torso del Belvedere dai Musei Vaticani a Palazzo Madama nel 2017, per permettere ai Capi di Stato una passerella nell’anniversario dei Trattati di Roma, e la più recente (di fine aprile 2018), e purtroppo senza lieto fine al momento della restituzione, della Santa Bibiana di ritorno nell’omonima chiesa di Roma al termine della mostra dedicata a Bernini a Villa Borghese (distante meno di un paio di chilometri ed immediatamente vicina alla Stazione Termini, perciò facilmente raggiungibile dai turisti).

Siccome ci è stato riferito che il percorso di visita a Villa Borghese è obbligatoriamente contenuto entro un tempo limitato, non si vede la ragione per dovervi portare altre opere. Semmai sarebbe più sensato alleggerire il carico dei visitatori suggerendo loro autonome visite ad analoghe bellezze in luoghi meno conosciuti e frequentati.

Ed invece la povera Santa è stata sottoposta al nuovo martirio contemporaneo della perdita di un dito durante la ricollocazione dopo l’esposizione nella sua nicchia sopra l’altare dove aveva pensato di metterla non un parroco qualsiasi ma il suo stesso autore: Gianlorenzo Bernini. Naturalmente lo scriviamo con soddisfazione a riprova che le nostre precedenti considerazioni al riguardo non erano poi proprio così fuori luogo!

Considerazioni non condivise da Anna Coliva, Direttrice della Galleria Borghese (sempre grazie all’esimio Ministro Franceschini) e curatrice della mostra, che avrebbe concluso un’intervista rilasciata al Corriere della Sera di domenica 4 febbraio 2018 dichiarando: «Peccato che alla fine della mostra la Santa Bibiana debba tornare in una posizione per lei così punitiva: sarebbe fantastico poter trovare il modo di valorizzarla». “Detto, fatto!”. Come a dire: se Milano piange con Salsi (ed alcune scelte a Brera di un altro “Franceschiniello”) con la Coliva Roma non ride.

Giovanni Guzzi, maggio 2018
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APPENDICE A PROPOSITO DI PRESTITI E RESTAURI

La Santa Bibiana, prima della mostra citata, è stata sottoposta ad un restauro che a sua volta ha suscitato dissensi. Astenendoci da commenti su di esso e riportandoci sulla nostra Pietà Rondanini, torniamo a domenica 6 dicembre 2015: quando per la prima volta abbiamo trovato la sala degli Scarlioni del Castello come un’orbita vuota, priva della sua pupilla e sostituita dall’occhio di vetro del video sopra descritto.
Per rifarci i nostri, di occhi, abbiamo allora pensato di raggiungere la sala della ex cappella Ducale dove contavamo di rivedere la Madonna col Bambino di Francesco Napoletano, da alcuni mesi assente perché a Palazzo Reale per la mostra su Leonardo da Vinci (Quel gran genio di Leonardo - Leggi di più >>>).
E invece no, non c’era ancora perché in restauro. E perché mai? Ci domandiamo. Di solito, come la Santa Bibiana ci ha ricordato, le opere in prestito si restaurano prima di esporle in mostra e non dopo, semmai si replica “causa imprevisti”, come di nuovo la Santa Bibiana ci ha insegnato.

Atroce sospetto…


APPENDICE 2

Sempre sui restauri, un'amica storica dell'arte di passaggio da Milano non ha voluto mancare l'appuntamento con la Pietà Rondanini ma, arrivata al suo cospetto, se n'è subito allontanata delusa... Perché il restauro ha sottratto al marmo la patina che la storia ed i secoli vi avevano depositato cosicché il suo bianco caldo è divenuto un bianco freddo riducendo l'opera all'attuale aspetto più simile a quello di un calco in gesso che ad una scultura marmorea.