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Andrea Luchesi: ghost writer di Mozart e Haydn e maestro di Beethoven?



A Milano si accende una luce sulle misteriose origini della Wiener Klassik

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ANDREA LUCHESI: GHOST WRITER DI MOZART E HAYDN E MAESTRO DI BEETHOVEN?

A Milano si accende una luce sulle misteriose origini della Wiener Klassik


Che Wolfgang Amadeus, ma anche altri celebri musicisti viennesi come Joseph Haydn, non siano realmente gli autori di tutta la musica loro attribuita è un sospetto che circola da tempo negli ambiti della ricerca musicologica.
Alcuni indizi sembrano suffragarlo.
Il primo: a quel tempo le musiche venivano vendute al miglior offerente, che poteva farne l’uso che voleva. Secondo indizio, restando a Mozart: la Cadenza del Concerto in Fa maggiore per fortepiano e orchestra fu scritta dallo stesso Wolfgang Amadeus e dedicata al Maestro, oggi noto a ben pochi, Andrea Luchesi.

Un’occasione offerta all’ardua sentenza dei posteri (che saremmo noi), per verificare con l’ascolto la fondatezza di queste affermazioni, è stata lo straordinario concerto tenutosi nel giugno scorso nella chiesa milanese dell’Assunta in Vigentino.
Sotto la direzione di Giovanni Battista Columbro, l’Orchestra dell’Assunta in Vigentino con Graziella Baroli al fortepiano ed i cantanti solisti Maria Laura Bertoli (soprano) e Manuel Caputo (tenore) hanno proposto in prima esecuzione moderna alcuni capolavori ritrovati grazie a lunghe ricerche condotte in tutta Europa. Più precisamente, dalla produzione del sopra citato Andrea Luca Luchesi (1741 - 1801), sono stati suonati:

Giovanni Battista Columbro, musicista - detective al quale le ricerche su Luchesi sono valse nel 2008 l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, così illustra questi brani.

Il suadente Concerto in Fa maggiore, strutturato in tre movimenti, offre al solista, sia nel primo che nel terzo movimento, momenti di alta tecnica strumentale, mentre il meraviglioso Andante moderato, incastonato tra i due movimenti veloci, è una rara perla melodica. L’esecuzione con il fortepiano è una prima esecuzione moderna assoluta.
Di questo concerto si sa che Luchesi lo donò a Leopold e Wolfgang Mozart quando li incontrò a Venezia nel febbraio/marzo 1771, e che Wolfgang lo eseguì in concerto sia a Mannheim sia a Parigi.

L’aria per tenore Torbido mar che freme è invece tratta da un pregevole Oratorio (la Passione di Nostro Signore, su testo di Metastasio) scritto da Luchesi a Bonn per la Pasqua del 1776. Qui nulla ricorda le passioni bachiane, anzi la melodia e l’armonia riconducono alla grande tradizione italiana affidata alla perizia dei cantanti e alle imitazioni degli archi (onde del mare).
In questo Oratorio Luchesi precorre decisamente i tempi non solo per le scelte timbriche e i numerosi ed innovativi recitativi accompagnati, ma altresì per l’organico dell’orchestra che poi sarà il costume esecutivo dei lavori di Haydn e Mozart.
In quest’aria, come nel resto dell’opera, il compositore esplica appieno le sue ‘qualità d’avanguardia’; la scrittura di alta fattura compositiva rivela una non comune conoscenza della condotta delle parti, dell’organizzazione del materiale sonoro e dei suoi effetti sull’ascoltatore; senza considerare il sapiente uso di particolari accordi rivoltati, frutto della conoscenza della scuola vallottiana (dal nome dell’organista, compositore e teorico musicale padre Francesco Antonio Vallotti; Vercelli, 11 giugno 1697 – Padova, 10 gennaio 1780), scuola che precedette le teorie di Jean Philippe Rameau (Digione, 25 settembre 1683 - Parigi, 12 settembre 1764).
L’aria non è ampia e non cede mai al virtuosismo, pensata non per esibire le doti funamboliche del solista bensì la sue qualità e nuance vocali, coadiuvate dal fagotto obbligato, per non alterare l’afflato melodico e l’aureo testo metastasiano.

La sfavillante e virtuosistica aria della Contessa Olimpia Non mi parlar d’amore è tratta dall’opera giocosa L’Inganno scoperto ovvero il conte Caramella (su testo di Goldoni) che Luchesi compose e rappresentò per il compleanno del Principe Arcivescovo nel 1773, come riportano il frontespizio stesso e i calendari ufficiali della corte di Bonn.
L’opera è esemplificativa della crescita che Luchesi (ed il suo primo violino Gaetano Mattioli) seppe imprimere all’orchestra del principe nell’arco di due soli anni dal suo arrivo nella capitale renana.
La contessa, incalzata dalla servetta Dorina, la allontana invitandola a non parlare di un altro amore perché intende rimanere fedele al marito che crede morto in guerra… e che poi ritornerà sotto mentite spoglie per accertarsi della fedeltà della moglie.
L’aria è in due parti, la prima delle quali è una luminosa e chiara caratterizzazione del personaggio, con numerosi passi virtuosistici che raggiungono nel registro acuto note del tutto insolite in quegli anni. Dolcemente onirico e melodico, il movimento centrale ternario (Non sia che nuovo ardore nascermi senta in seno…) ci riporta immantinente al tempo primo ovvero al veloce Mi bemolle maggiore e al suo brillante pathos.
Il nonno di Beethoven, cantante, in quest’opera impersonava Brunoro il servitore del conte Caramella.

Chiude la serata la spumeggiante Sinfonia in Do maggiore in quattro movimenti con archi, corni, oboi, flauti e fagotti. Fu composta da Luchesi poco dopo l’opera appena citata e merita attenzione per la non comune brillantezza armonica e melodica.
Nell’Allegro iniziale, in tempo binario, l’uso corposo degli archi esalta con efficacia la solare tonalità, ai fiati invece è riservato il colore che ora illumina ora ombreggia la partitura.
L’elegante Andante moderato, in Fa maggiore, più dialogato tra archi e fiati, presenta venti battute di biscrome veloci e brillanti che mettono a dura prova i primi violini.
Il garbato Minuetto lascia poi spazio all’amabile Trio affidato ai soli fiati, al flauto e al fagotto ai quali spetta maggior dinamicità.
Rilevante pagina compositiva è il Capriccio finale in tempo tagliato, dove i temi fugati, contrappuntati dai fiati esprimono ora gaiezza nel modo maggiore ora pensierosità nel modo minore e dopo varie imitazioni a varie altezze... la Coda finale, a sorpresa.
Mi piace pensare che questa sinfonia possa essere stata di nuovo eseguita qualche anno più tardi da Ludwig alla viola e da Antonin Rejcha al flauto, entrambi in forza all’orchestra di Luchesi fino ai primi anni ’90 del Settecento.

Al termine del concerto orchestra e solisti sono stati molto apprezzati. Così come lo strumento protagonista in apertura: il fortepiano, che, al solito, rimane un illustre sconosciuto, molto più del cembalo e che, nell’occasione, oltre che suonare bene, era veramente molto bello.
Se dunque i commenti sono stati complessivamente tutti favorevoli, le persone hanno soprattutto espresso la propria felicità per aver avuto la rara opportunità di ascoltare qualcosa di insolito e mai eseguito. Cosa che in molti ha suscitato la sensazione di essere stati parte di un evento unico.

Giovanni Guzzi, novembre 2017
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CHI ERA ANDREA LUCHESI - Una sintetica biografia

Morto a Bonn il 23 marzo 1801, Andrea Luchesi nasce a Motta di Livenza (Treviso) il 23 maggio 1741. Qui riceve un'istruzione generale da parte del fratello Don Matteo, Pubblico Precettore ed organista del Duomo. Prosegue gli studi musicali a Venezia con i migliori didatti grazie alla protezione del Nobil Uomo Jseppo Morosini. Agli insegnamenti pratici di Gioachino Cocchi (detto il Napoletano), Giuseppe Saratelli e Baldassare Galuppi unisce il rigoroso studio della teoria musicale col martiniano Padre Giuseppe Paolucci ed i due principali esponenti della scuola fisico-matematica fiorita all’ombra della basilica di Sant’Antonio a Padova: Padre Francescatonio Vallotti, tra i maggiori didatti del XVIII secolo, ed il matematico, fisico e musicista conte Giordano Riccati.
In laguna percorre una carriera folgorante: a vent’anni è già maestro esaminatore negli Ospedali veneziani in qualità di membro della commissione che concede le licenze dei suonatori a tasto, virtuoso di organo ed autore di sonate per organo e cembalo. Sono numerosi i lavori che gli sono commissionati da notabili che dimoravano nella Serenissima, persino un Requiem per la morte dell’ambasciatore spagnolo a Venezia, duca di Montealegre, avvenuta nel 1771. Compone musica per le cerimonie statali, per gli ospedali femminili veneziani e nel 1768, a 27 anni, è candidato alla direzione del famoso Ospedale degli Incurabili.
Nel 1763, sollecitato dal conte Giacomo Durazzo (legato agli Asburgo), invia al principe Esterhazy la prima di molte sinfonie ora intestate a Joseph Haydn. È sempre il conte Durazzo a favorire a Vienna il suo esordio ufficiale in teatro nella primavera del 1765 con “L’isola della fortuna”, replicata in autunno a Venezia e, nel 1767, al teatro reale di Lisbona.
Nel 1771 lo incontrano i Mozart a Venezia e ne ricevono un concerto per cembalo che Wolfgang suona ancora nell’ottobre 1777 e porta con sé a Monaco ed a Parigi.
Nello stesso anno, grazie all’interessamento del conte Durazzo e del suo maestro Baldassarre Galuppi, è invitato a Bonn dal Principe elettore di Colonia, l’Arcivescovo Maximilian Friedrich von Königsegg-Rothenfels per ‘mettere ordine’ nella cappella del principato retta per un decennio da Ludwig van Beethoven senior, nonno del Titano, al quale succede nella carica nel 1774. Divenuto funzionario musicale del secondo stato religioso d’Europa, sposa nel febbraio 1775 Anthonetta Josepha d’Anthoin, figlia del più influente consigliere del principe con la quale avrà cinque figli. Il cognato Ferdinand gli farà da prestanome per la musica teatrale e strumentale.
Le cronache del tempo riportano che, in soli tre anni, la cappella arriva ai primi posti tra le decine e decine di orchestre presenti sul territorio germanico.
Grazie alle sue capacità che gli fanno raggiungere questi risultati, nel 1777 al maestro italiano viene conferita la prestigiosa carica di Kapellmeister a vita del principato di Colonia con sede a Bonn. Nomina che lo vede non solo in veste di docente di composizione, ma anche di unico compositore ufficiale.
A Bonn Luchesi fonda la scuola musicale più avanzata d’oltralpe, dove si formarono il giovane Ludwig van Beethoven, Andreas e Bernhard Romberg e Antonìn Rejcha, futuro maestro a Parigi di Berlioz, Gounod e Liszt. Le cronache del tempo lo riportano tra i maggiori compositori del periodo. Diviene proprietario di due magnifiche case grazie alla vendita di sue musiche all’Esterhazy, che le intesta a Joseph Haydn. Dal 1784 ne fornisce anche a Mozart, dal 1790 al principe Oettingen-Wallerstein che le intesta a Friedrich Witt e ad altri committenti, editori e nobili tedeschi che ricercano le sue sinfonie. Ne è riprova il fatto che, nel 1780, Jean Benjamin de La Borde (1734 – 1794), assai stimato compositore e musicografo francese, riguardo a Luchesi scrive: «Egli gode di un vantaggio raro tra gli italiani, cioè che le sue sinfonie sono ricercate in Germania» per inventiva e sapienza compositiva.
Affermazione certificata dall’inventario della musica della cappella di Bonn, redatto dall’organista Christian Gottlob Neefe l’8 maggio 1784, che accerta l’esistenza delle sinfonie K.504 Praga e K.551 Jupiter diversi anni prima delle date dichiarate da Mozart, oltre a tre messe ed alle “Sette parole” attribuite a Joseph Haydn in tempi incompatibili con questa presunta paternità.
La musica di Luchesi anteriore al trasferimento a Bonn è abbastanza nota ed intestata ed è sufficiente considerarne la sola produzione sacra per notare un edificio musicale degno di interesse.
Quella che compose dal 1771 al 1774 come Kapellmeister personale di Max Friedrich è a Modena rubricata come “di N.N.”.
Analogo destino sembra aver subito anche tutta la preziosa, ed al tempo assai ricercata, produzione musicale del maestro italiano nella sua veste di Kapellmeister dal 1774 alla morte nel 1801. Anche Luchesi era infatti soggetto alla “prassi dell’anonimo”, in base alla quale è diritto/dovere del Kapellmeister immettere i suoi lavori nell’archivio musicale in forma anonima e gratuita. Sarebbero stati intestati al Kapellmeister dopo la morte o le dimissioni in modo da permettere al nuovo Kapellmeister di ripartire da zero.
Poiché l’archivio musicale del principato di Colonia nel 1794 partì all’improvviso da Bonn, minacciata dalle manovre militari degli invasori francesi che interruppero la carriera di Luchesi, i suoi lavori sacri anonimi non gli vennero intestati e si ritrovano anch’essi, ancora tali, a Modena. Per non restituirli alla Prussia erede del principato, qui vennero infatti ricettati i resti di quella che fu una delle raccolte più importanti di musica del ‘700. Ed ancora oggi vi si può trovare quanto si salvò dalle razzie avvenute in tempi diversi ad opera di principi austriaci, musicologi e storici della musica.
L’ultima accertata sparizione di un lavoro sacro di Luchesi riguarda a Modena il Kyrie del Requiem che compose nel luglio 1771 a Venezia per il duca Giuseppe Gioachino di Montealegre; presente ancora nel 1851 e successivamente scomparso da Modena, è oggi intestato a Mozart come improbabile K.341 Kyrie di Monaco, di cui manca l’autografo mozartiano.

Prof. Giorgio Taboga in
http://www.andrealuchesi.it/andrealuchesi.it/link/Conferenza_Bergamo_10_dicembre_2004.htm

La fortuna di Luchesi si protrasse fino ai primi decenni del Novecento poi, nell’arco di pochi anni, il suo nome svanì. Presente nelle edizioni del 1925 del Der jungen Beethoven di L. F. Schiedermair, viene omesso in quella del 1970. Citato tra i massimi compositori preclassici accanto a Boccherini, Clementi e Paisiello da Franco Abbiati nella sua Storia della musica del 1939-1946, inspiegabilmente scompare nell’edizione 1964. Ed ancora, perché nessuna delle più puntuali fra le innumerevoli biografie di W.A. Mozart riporta l’incontro dei Mozart con il “maestro” Luchesi avvenuto a Venezia nel febbraio/marzo 1771 e documentato dal diario di Leopold?
La riscoperta di Luchesi è iniziata con gli studi di Theodor Anton Henseler (1902 - 1964) negli anni trenta del Novecento, rimasti isolati fino agli anni ottanta, quando sono stati ripresi da Claudia Valder-Knechtges.
Il musicologo Luigi Della Croce (1927 - vivente) intitola un suo articolo “Mozart, Haydn, Beethoven, processo a tre grandi”, e si spinge a parlare di Luchesi come maestro di Beethoven (vedi anche più oltre in questa pagina). Affermazione già proposta, anche se non in termini così aperti, da Henseler e Fausto Torrefranca (1883 - 1955).
Occorre però riconoscere che, al riguardo, non ci sono pervenute citazioni di Beethoven che ricordi Luchesi tra i suoi insegnanti o i suoi ispiratori né esistono testimonianze o documenti di altro genere a sostegno di tale ipotesi. Altri studiosi della musica del Novecento, come il padre Leopold Kantner (1932 – 2004), R. Newman e, più recentemente, anche Luciano Chailly (1920 – 2002), dopo aver visionato le composizioni luchesiane, hanno dato di essa giudizi davvero lusinghieri.


I DUBBI DELL'INVESTIGATORE COLUMBRO

Ma dov’è finita la maggior parte della musica di questo maestro italiano autore di opere e concerti che si è visto essere assai ricercati al suo tempo? Perché la musica di Andrea Luchesi è in gran parte e presso i più sconosciuta? Ancor più ampiamente, perché soprattutto noi italiani non conosciamo i nostri compositori del secondo Settecento?
La risposta più immediata è che gran parte di questa musica giace inesplorata e ineseguita nelle biblioteche e negli archivi dell’intera nostra penisola e di tutta Europa. Non dimentichiamo che le corti europee del Settecento vedevano tutte la presenza di compositori italiani.
Non solo, non esistendo all’epoca il diritto d’autore, molta musica fu intestata (anche successivamente ) a compositori che per motivi diversi, e non sempre legati al merito, giungevano alla ribalta.
Inoltre la formidabile editoria d’oltralpe del primo Ottocento, in veste imperialistica e sciovinistica, diffuse capillarmente composizioni esclusivamente ‘a firma’ di musicisti tedeschi (F.J. Haydn, W.A. Mozart).
Sarebbe interessante un’indagine sui motivi che via via determinarono un disinteresse sfociato nell’oblio e su quelli che a tutt’oggi ostacolano, e talvolta addirittura vanificano, lo sforzo che con grande sacrificio, spesso tutto personale, alcuni studiosi operano nel campo della riscoperta musicale.
Nel campo della letteratura o delle arti figurative il principio della contestualizzazione storica, sociale e culturale di un’opera è ormai irrinunciabile, nel campo della riscoperta musicale, invece, troppo spesso la valutazione di un’opera avviene per confronto con la produzione ad essa posteriore e magari da essa ingenerata: un approccio decisamente fuorviante.
A chi non è mai capitato di credere acriticamente ed incondizionatamente ad un fatto perché tradizionalmente narrato sempre uguale a sé stesso?
Se poi tale ‘verità’ stimola positivamente la nostra fantasia o la nostra ammirazione o il nostro stupore al punto che la sentiamo rassicurante la difendiamo gelosamente, allontanando istintivamente tutto quanto possa metterla in dubbio, come se quel dubbio fosse l’inizio della destabilizzazione di tutte le nostre certezze.
Forse non sono in molti a sapere che il cavallo di Troja non era un cavallo bensì una nave fenicia e che W. Shakespeare non scrisse tutte opere a lui tradizionalmente attribuite (Lo studioso Henry James definì il divino Wilhelm la più grande e più riuscita frode che si mai stata realizzata nei confronti di un mondo paziente).
Ed ancora: i fratelli Lumière non furono gli inventori del proiettore cinematografico; Einstein a scuola era tutt’altro che incapace; il compositore dell’inno nazionale francese è il celebre violinista italiano Giovanni Battista Viotti; la sinfonia n. 37 K.444 non è di Mozart ma di Michael Haydn… Infine il giorno del funerale di Amadè, nel dicembre 1791, a Vienna non pioveva affatto, anzi splendeva il sole.
Certamente la ricerca più strettamente scientifica ci sta abituando sempre più alla ‘verità temporanea’, a vivere il dubbio come stimolo alla ricerca della verità, a riconoscere gli errori ed a superarli.
Inspiegabilmente però il campo storico musicale è ancora costellato di dogmi religiosamente rispettati e strenuamente difesi anche dalla maggior parte degli addetti ai lavori e pullula di quei fatti tanto acriticamente trasmessi quanto acriticamente accettati.
Alla luce di tutto questo ritengo (non da solo) che il nodo cruciale da affrontare con un’impostazione più scientifica per la storia della musica dal Settecento in poi sia la nascita del classicismo viennese, la cui attuale ‘verità’ è tutt’altro che scevra di aneddoti dai toni apologetici ma spesso privi di fondamento.
Sono convinto che un approccio meno tradizionale ci restituirebbe, per esempio, un Mozart eccellente e precoce esecutore, come ben riportano le cronache dell’epoca, e non genio compositore riconducibile anacronisticamente all’ideale romantico, oppure, rimanendo sempre in ambito tedesco, si conferirebbe giusta dignità a Michael Haydn: fratello del più popolare Franz Joseph, ma a lui superiore per doti musicali.
O ancora si potrebbe restituire il giusto ruolo storico ad Antonio Salieri, maestro di cappella del Sacro Romano Impero, e poi a Sarti, Gazzaniga, Bertoni, Fischietti, Bianchi, Cherubini, Vallotti… l’elenco sarebbe molto lungo, senza poi dimenticare i boemi Rejcha, Wranicky, Gyrowetz, Myslivecek…
Mi preme qui sottolineare che, dal teatro de Ajuda di Lisbona al teatro Imperiale di San Pietroburgo, per almeno due secoli il far musica degli italiani dettava il tempo all’Europa intera.
A proposito di Europa perché il 3 agosto del 1778 il nuovo Teatro alla Scala non fu inaugurato con un’opera del genio di Salisburgo, ma con ‘Europa Riconosciuta’ di Antonio Salieri?
Se la precocità può essere verosimile nell’apprendimento di una pratica (nel nostro caso strumentale) essa non è neppure ipotizzabile nella composizione, disciplina che richiede un lungo percorso di apprendimento, maturazione ed elaborazione e soprattutto l’insostituibile figura del maestro.
In tutte le forme artistiche il rapporto maestro allievo è condizione imprescindibile anche per la genialità: Cimabue/Giotto, Ghirlandaio/Michelangelo, Gravina/Metastasio, Sammartini/Gluck, Luchesi/Beethoven. E Mozart perché non ebbe maestri?
Mark Twain diceva: una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità sta ancora mettendo le scarpe.

Giovanni Battista Columbro

APPROFONDIMENTO 1

ANDREA LUCHESI E L'ORIGINE DELLA WIENER KLASSIK

Il maggiore tra i molti inesplicati misteri della storia della musica della seconda metà del XVIII secolo riguarda la repentina fine apparentemente senza eredi della gloriosa tradizione musicale veneta, che nella prima metà aveva prodotto personalità quali Vivaldi, Tartini, Vallotti e Galuppi, ed il contemporaneo emergere senza padri in Austria della Wiener Klassik, con i tre mostri sacri ‘autodidatti’ Haydn, Mozart e Beethoven.
Pochi studiosi si sono permessi di dubitare della verosimiglianza dei due eventi e di ipotizzare un legame di causa-effetto e le relazioni tra i due fenomeni sono state indagate solo a livello di superficie.
Poiché è possibile morire senza eredi ma è impossibile nascere senza padri, i pochi lavori di sintesi di largo spettro che sfiorano il problema non danno risposte esaustive o almeno accettabili. Si ammette solo che Vienna fu per quasi due secoli una colonia musicale veneziana dove fino al 1824 operò nell’influente posizione di Kapellmeister imperiale il veneto Antonio Salieri, che di Mozart non fu rivale e di Beethoven maestro, mentre a Salisburgo, dal 1772 al 1782 la cappella fu retta dal veneto-napoletano Domenico Fischietti, uno tra i primi collaboratori musicali di Carlo Goldoni a Venezia.

Il solo ad inquadrare il problema dell’influenza veneta sulla Wiener Klassik nei suoi corretti termini fu il padre minore austriaco Leopold Kantner, esperto della musica italiana e mitteleuropea del 700, docente dell’Università di Vienna, che nel 1980, in un convengo dedicato a Padova al grande teorico Padre Francescantonio Vallotti dichiarava: “Anche Schmidt è costretto a scrivere in modo indeterminato sulle fonti dello stile di Mozart in Italia; può darsi, forse..., così non si trovano affermazioni certe. (?) Brandt nel suo libro sulle messe di Haydn (scrive): Le fonti italiane che Haydn ha conosciuto e che forse hanno formato il suo stile non possiamo identificarle. (?) E così troviamo una zona vuota nella geografia della Wiener Klassik. Perché bisogna confessare che la musicologia del XIX e degli inizi del XX secolo (?) fu assai impenetrabile in Germania ed in Austria.

Un certo nazionalismo non è limitato, a dire il vero, alla musicologia di questi paesi, ma nel caso di cui parliamo dobbiamo ammettere questo nazionalismo: si voleva cercare tutto in patria, ed è strano che sul punto i tedeschi siano stati più radicali degli stessi austriaci (Haydn e Mozart erano austriaci). I tedeschi non volevano alcun italiano, solo dei tedeschi. Allora hanno trovato delle fonti in casa.

Ma quando si può ascoltare la musica o controllare la partitura, ci si chiede: da dove proviene? E qui il silenzio è generale. Al massimo si dedica un fuggevole cenno, senza mai parlarne esplicitamente, a questo particolare: l'Italia del Nord (la Lombardia ed il Veneto) e la loro influenza sulla Wiener Klassik.

La prima Wiener Klassik non mi soddisfa perché, se di uno stile vi sono solo tre rappresentanti e tutti gli altri sono “predecessori” o “contemporanei” o “epigoni”, non abbiamo un vero stile nella musica, nell’arte: vi sono soltanto tre persone, tutti gli altri sono imitatori.

Al contrario, la Wiener Klassik deve essere collegata alla musica sacra prodotta in Lombardia e nel Veneto. Se ascoltiamo la messa K.194 di Mozart vi troviamo quasi letteralmente gli stessi temi impiegati dal padre Vallotti, si tratta di un lavoro polifonico nello stile moderno come usa Vallotti. (...) Questo inciso è tratto letteralmente da Vallotti.(…)
Passiamo ora ad esaminare la Messa Prima di Haydn. Chiudo con questo “Et incarnatus est”; è quasi lo stesso che ho trovato in un “Credo” di Vallotti. Ora è tempo di trovare più di quanto la musicologia di alcuni decenni addietro sia riuscita a fare, sebbene Erich Schenk a volte abbia accennato, sia pure senza un esplicito riferimento alla musica da chiesa, che l’Italia di Venezia, Padova e la scuola della Lombardia furono molto importanti per la Wiener Klassik. (?) Le scoperte sono appena iniziate, ma dobbiamo tener presenti questi collegamenti”.
Nella stessa occasione lo statunitense prof. Mark Lindley, studioso dei rapporti tra teoria musicale e musica pratica nel secolo XVIII, richiamava l’attenzione sulla novità delle teorie armoniche di Padre Vallotti, in modo speciale sulla teoria delle dissonanze, ed aggiungeva:
“Vallotti, oltre ad aver detto che la sua teoria è scientifica, ha anche detto che la musica scientifica è la base della pratica ben regolata. (…) Vallotti è convinto che di fronte a qualsiasi dissonanza può stare l’intero accordo consonante, compresa la nota sulla quale deve risolvere. Vallotti applica questa dottrina, questa regola ma a modo suo (?) Poi vi sono i privilegi goduti da quella settima minore (?) la quale è di natura ambigua, né consonanza né perfetta e vera dissonanza. Da questa dottrina dei privilegi goduti dalla settima minore derivano moltissime conseguenze, tanti accordi del tipo di quelli dell’Ave verum corpus di Mozart (?) passare da consonanza a dissonanza senza muoversi ecc. È un’estetica propria, non romantica, che merita ogni interesse e porta a scoprire che Vallotti non era un altro Bach, un altro Tartini o Vivaldi; era l’originale e unico Vallotti”.

24 anni dopo le segnalazioni di Kantner e Lindley si cercano invano altri contributi sulla questione da parte della musicologia austro-tedesca, dei suoi epigoni anglosassoni o degli studiosi italiani.
Enrico Corbi così scriveva sul convegno padovano del 1980 nella rivista antoniana “Il Santo”:
“L’intervento più stimolante è stato forse quello del musicologo austriaco Leopold Kantner sugli influssi del Vallotti fuori d’Italia. C’è un vuoto nella storiografia di lingua tedesca: quello relativo alla parte avuta dalle scuole dell’Italia settentrionale nella formazione della primissima “Wiener Klassik”, cioè il cosiddetto Classicismo Viennese. In altri termini, Kantner ha mostrato che nello stile sacro l’affinità tra Vallotti da un lato e Mozart e i fratelli Haydn dall’altro è più netta che per i presunti modelli austriaci coevi”.
È impossibile sostenere che Mozart e Haydn siano stati allievi o seguaci di Vallotti; di certo ne ignoravano le teorie; forse l’esistenza stessa. Ma deve esistere una spiegazione logica alla presenza di temi vallottiani in lavori di Mozart ed Haydn. Qual è l’elemento comune ai due compositori? Come poterono entrambi adottare stilemi tipici di Vallotti senza esserne stati allievi, come invece lo fu l’abate Vogler a Padova?
Proprio la denuncia di Padre Kantner della deliberata rimozione delle influenze italiane da parte dei musicologi tedeschi mi ha consentito di individuare e seguire il “filo di Arianna” che collega i tre “mostri sacri” della Wiener Klassik ad un cancellato musicista veneto allievo di Vallotti, al quale tutti tre devono parte delle loro fortune, in misure e per motivi diversi.
Parlo dell’ultimo maestro di cappella del principato di Colonia Andrea Luchesi, nato a Motta di Livenza presso Treviso il 23 maggio 1741 e morto a Bonn il 21 marzo 1801. Seguace del Vallotti, con cui ebbe contatti di studio protrattisi dal 1764 al 1771, Luchesi è il più importante dei molti musicisti che servirono da ponte alla musica veneta e lombarda per il trasferimento al Nord in maniera non episodica ma tale da influenzare il futuro sviluppo della musica austriaca, tedesca ed europea.
L’importanza e la stessa persona di Luchesi sono oggetto di un bisecolare tentativo di rimozione motivato dal nazionalismo denunciato a tutte lettere dal prof. Leopold Kantner.
La cancellazione ha inizio a Bonn il giorno 8 maggio 1784, quando il nuovo principe elettore Max Franz dovette prendere atto che 28 sinfonie e tre messe oggi intestate a Joseph Haydn e 10 sinfonie che oggi figurano di Mozart erano in realtà del Kapellmeister veneto Luchesi. Ringrazio il prof. Emilio Spedicato per avermi dato la possibilità di rendere pubblico in questa sede il risultato di oltre vent’anni di studi: Haydn e Mozart non sono i grandi compositori che si vorrebbe far credere né seguaci di Vallotti ma mediocri imitatori ed intestatari di lavori altrui. Questo è subito evidente per Haydn, ancora accreditato di 107 sinfonie non sue di 256 iniziali, ma altrettanto chiaro per Mozart se si ricorda che si sono già scoperti oltre 70 lavori non suoi ed è da ridimensionare ulteriormente.
La Wiener Klassik deve la sua usurpata fama a due musicisti italiani, il primo di scuola lombarda Giovan Battista Sammartini, il vero “padre della sinfonia”, autore delle prime sinfonie haydniane; il secondo di formazione veneziana e padovana, Andrea Luchesi, maestro di cappella a Bonn dal 1771 al 1794, fornitore di musiche a Haydn e Mozart e vero maestro di Beethoven.
Le messe sinfoniche di cui si gloria Haydn risuonavano a Venezia 20 anni prima del Requiem di Mozart, 25 anni prima delle date dichiarate da Haydn e 50 anni prima della Missa solemnis di Beethoven.
Iniziò Sammartini, attorno alla metà del secolo XVIII, a fornire al conte Morzin e poi al principe Esterhazy le prime sinfonie intestate poi a Joseph Haydn. Dal 1763 gli si affiancò Luchesi che, alla morte di Sammartini (1775), rimase il solo sinfonista che, a giudizio del consigliere Bernhard von Kees di Vienna, producesse lavori meritevoli della “griffe Haydn”.
Joseph Haydn è solo l’autore legale delle “sue” sinfonie; il principe Nikolaus I Esterhazy, che ha intenti solo pubblicitari, le acquista dai migliori sinfonisti con diritto di intestazione ma nessuna di esse nasce da Haydn.
Lo stesso avviene con le messe sinfoniche e con i due ultimi oratori, dei quali Haydn non è l’autore.

Il “maestro di cemballo” Luchesi conosce i Mozart nel 1771, a Venezia e dà loro un suo concerto per cembalo ed archi. Nel 1778, Mozart spaccia per sua la sinfonia K.297 Pariser di Luchesi e per la scorrettezza viene cacciato con ignominia da Parigi.
Solo dal 1784 Luchesi fornisce a W.A.Mozart sua musica in via continuativa e “legale”. Qui non siamo di fronte a plagi o copiature, ma a false intestazioni coscienti, e non solo ai danni di Luchesi.
Della sinfonia K.444 “Linz” di Michael Haydn, Mozart falsò l’incipit con un adagio iniziale di 20 battute che gli assicurarono l’attribuzione fino al 1908, quando con una manovra da giocolieri più che da studiosi si trasferirono le leggende relative alla nascita in tre giorni del mediocre lavoro di Michael Haydn sull’attuale K.425 Linz, nemmeno essa di Mozart.
Le sinfonie K.385 Haffner II, K.504 Praga e K.551 Jupiter escono dalla penna di Luchesi prima dell’aprile 1783 e solo dopo il maggio 1784 divengono di Mozart per acquisto, garantito dal principe Max Franz d’Austria, il nuovo elettore a Bonn, coetaneo e protettore di Mozart.
Max Franz tentò pure di liberarsi dell’ereditato Kapellmeister a vita Luchesi per far posto a Mozart, ma dovette scendere a patti riuscendo a far intestare a Mozart, per la maggior gloria della musica austriaca, molti lavori di Luchesi. Ciò spiega perché Mozart fosse oberato di debiti al momento della morte dovuta al bastone di Franz Hofdemel, geloso marito di una sua allieva.
Constanze Mozart ottenne il pagamento di tutti i debiti del marito ed una pensione cui non aveva diritto in cambio del suo silenzio sui fatti e misfatti del marito, sui suoi legami con l’establishment asburgico e con Luchesi.
In sostanza il “cigno di Rohrau” Haydn si intesta le sinfonie di Sammartini e Luchesi, Mozart le opere e le sinfonie di Luchesi e Beethoven si forma alla scuola luchesiana a Bonn fino ai 22 anni.

È questo il segreto della Wiener Klassik, gelosamente custodito dai musicologi austro-tedeschi. Come intuito nel 1930 da Fausto Torrefranca ne “Le origini italiane del Romanticismo musicale”, la Wiener Klassik è un fenomeno quasi interamente italiano.
Torrefranca scriveva del nostro Luchesi:
“Non dimentichiamo che a Bonn vi era un musicista italiano, il Lucchesi, autore di concerti che lo stesso Leopold Mozart cita; e poi, data la falsità dell’indirizzo storico fin qui seguito, è assai probabile che non si sia correttamente indagato circa i veri maestri spirituali dell’infanzia e della giovinezza del grande maestro fiammingo-tedesco”.
Dopo 74 anni di falsità, il dubbio di Torrefranca si è risolto in certezzza di falsità. Da parte mia oggi sono in grado di confermare che Luchesi ebbe rapporti con i Mozart, fu maestro di Beethoven ma fornì la maggior parte dei suoi lavori a Joseph Haydn, e ciò non era ancora risaputo.

[…] Ora lasciatemi ricordare il Maestro Luciano Chailly, con cui ho intrattenuto una breve relazione epistolare e telefonica senza conoscerlo di persona, per iniziativa del prof. Emilio Spedicato. Su suo suggerimento inviai al M° Chailly il mio libro “Andrea Luchesi, L’ora della verità” ed altro materiale, chiedendogli un giudizio sull’attendibilità dei risultati ai quali ero giunto e preannunciandogli l’invio di ulteriori documenti. Chiudevo la mia lettera con un Post-scriptum:
“L'ultima mia “fatica” appena terminata riguarda le false intestazioni a Mozart e Haydn, messa a punto solo da qualche giorno. Il 18 dicembre 2001 ero a Regensburg con un fotografo personale per fotografare all’infrarosso l’intestazione di cui all'allegato 28b e quindi può considerare lo studio un’anteprima sulla quale gradirei in modo particolare avere la Sua opinione”.
Si tratta della fotografia dalla quale appare chiaramente che il nome di Mozart sulla copia della sinfonia K.297 Pariser oggi a Regensburg è riscritto sopra quello eraso di Luchese, grafia non rara del nome che Luchesi usò a lungo anche in alternativa.
Il M° Chailly mi rispose con la seguente lettera senza data:
“Caro Prof. Taboga, ricevo la Sua lettera del 6 febbraio 2002 ed il copioso materiale di Luchesi (libri, dischi). Grazie. È una cosa affascinante e mi compiaccio con Lei per la tenacia e per i risultati. I brani corali sono tutti di prim’ordine. Di quelli sinfonici il migliore è il Concerto per cembalo, organo ed archi, ed è particolarmente originale il primo tempo della Sinfonia in do maggiore. Vedrò cosa posso fare da parte mia perché la cosa mi ha entusiasmato. Per l’eventuale conferenza, come ho detto al Prof. Spedicato, non so perché ho 82 anni e qualche disturbo mi costringe a ridurre la mia attività pubblica. Ma farò certamente un articolo per qualche rivista musicale (come la Curci) e ne parlerò a mio figlio per la “Verdi”, di cui è direttore dell’Orchestra e del Coro. Chissà! Può venir fuori qualcosa di importante. Sono tanto tanto lieto di questo incontro, per ora solo epistolare. A presto. Cordialmente. Luciano Chailly

Ci sentimmo un altro paio di volte per telefono, poi l’8 novembre 2002 gli inviai i miei studi sui concerti per pianoforte di Mozart e su “Lo Schauspieldirektor e Le nozze di Figaro” ed aggiunsi:
“Qualora Le interessasse, potrei farLe avere le partiture dei due concerti per cembalo/organo ed orchestra, uno dei quali fu ceduto a Leopold e Wolfgang Mozart a Venezia, nel febbraio 1771. Mozart lo suonava ancora nell'ottobre del 1777. Suo padre e la Nannerl lo usavano sistematicamente a Salisburgo per studio ed esibizione”.
Quanto alle Nozze di Figaro, dispongo della locandina relativa alla prima esecuzione a Francoforte sul Meno dell'11 aprile 1785, che precede di oltre un anno la prima dell’opera di Da Ponte e Mozart (1 maggio 1786). L’esecuzione di Francoforte era nota fin dal 1901 (Wolter) ma nessuno ne fa parola dei “ricercatori mozartiani” odierni, tanto da porci il dubbio se ciò che ricercano sia la verità o non piuttosto l’“occultamento della verità”.
Mi telefonò il giorno prima di sottomettersi all’intervento al quale non sopravvisse, per assicurarmi che avrebbe risposto su tutti i punti di mio interesse appena fosse stato in condizione di riprendere l’attività.
Il destino non ha voluto che incontrassimo e rimane in me il rammarico di aver perduto prima di conoscerlo di persona un amico che, con la sua autorevole personalità in campo musicale e la rara, autentica apertura ai problemi da me sollevati, avrebbe potuto accelerare il lungo processo di riscoperta e rivalutazione del grande compositore Andrea Luchesi.

30 novembre 2004 - Prof. Giorgio Taboga
in http://www.andrealuchesi.it/andrealuchesi.it/link/Conferenza_Bergamo_10_dicembre_2004.htm


APPROFONDIMENTO 2

ANDREA LUCHESI, MAESTRO DI MOZART E BEETHOVEN

Mi è stato sconsigliato da varie parti di occuparmi di Andrea Luchesi, dopo che il suo biografo ufficiale - lo studioso veneziano Giorgio Taboga che abbiamo il piacere di avere tra noi - è giunto a sostenere in tempi recenti e recentissimi, in un crescendo di affermazioni sensazionali, che questo oscuro compositore del Settecento (oscuro nel senso che è attualmente immerso nell’oscurità) è il vero autore di musiche attribuite da tempo immemorabile a Haydn, Mozart, Beethoven.

Malgrado questo avvertimento, che suonava come minaccia di perdita di credibilità, ho invece voluto cercare di approfondire questo problema, facendone oggetto di un intervento a un simposio internazionale su Beethoven tenutosi nel luglio scorso a Berlino. La relazione, che qui riprendo per grandi linee, è basata su puri elementi di fatto emersi tutti dalle ricerche del professor Taboga e non su certe sue clamorose “rivelazioni”.
Essa è stata accolta con interesse e disponibilità a rivedere un contesto biografico di tre grandi classici viennesi - Haydn, Mozart, Beethoven - singolarmente lacunoso per quanto riguarda certi aspetti della loro formazione musicale.

In particolare: chi fu il primo vero maestro di Beethoven?
A questa domanda essenziale per tentare di spiegare le origini di un genio, o per lo meno le condizioni iniziali che ne favorirono lo sviluppo, i biografi dell’ottocento e del primo Novecento non hanno dato risposte convincenti, stendendo un velo di incomprensibile silenzio sul suo primo e unico Kapellmeister, il veneto Andrea Luchesi.
Questi ricoprì tale carica dal 1774 al 1801 sotto i due ultimi principi elettori del Principato di Colonia, che era il maggior Stato religioso di Germania e aveva in Bonn la sua capitale. Non può quindi non aver avuto parte attiva essenziale negli avvenimenti dell’adolescenza e della giovinezza di Ludwig van Beethoven, a partire dal momento in cui nel giugno del 1782 incaricò quest’ultimo di sostituire l'organista Neefe fino al momento in cui Beethoven si spostò definitivamente a Vienna, nel 1792.

Ho citato Neefe perché risulta da tutti i manuali che sarebbe lui l’unico e praticamente più importante maestro di Beethoven. I dieci anni del cosiddetto periodo di Bonn, durante i quali nacquero opere talvolta preliminari nella configurazione dei temi ai capolavori della prima maturità, rientrano quindi in un quadro formativo - una “bottega” come si direbbe a proposito dei pittori veneti - facente capo al maestro italiano.
Ciò apparve in tutta evidenza soltanto negli anni Trenta, grazie ad un ampio e coraggioso saggio di un tedesco, T. A. Henseler, su Andrea Luchesi nel quale l’autore faceva notare strani silenzi e incertezze degli studi beethoveniani a proposito del ruolo svolto nell’educazione musicale del giovane Beethoven dal suo Kapellmeister.
Silenzi e incertezze persistenti dai quali non è immune la pur fondamentale monografia di Schiedermair le cui successive edizioni - questo è un particolare importante e rivelatore - citano il nome di Luchesi in modo progressivamente sempre più riduttivo e marginale, fino quasi a ometterlo in occasione dell’ultimo rifacimento del 1970, a cura del figlio dell’autore defunto.
Totalmente cancellato dalla storia della musica risulta Luchesi nella maggior parte dei testi sulla vita di Beethoven, a partire da quello di Walter Riezler tradotto in varie lingue, italiano compreso, che oggi è considerato un libro base per l’esegesi delle opere, nonché per l’attendibilità delle fonti informative.
In tempi più recenti Claudia Valder- Knechtges ha ripreso il discorso aperto da Henseler, allargando le premesse per una rivalutazione critica delle opere di Luchesi, un suo inquadramento più preciso nella storia della musica ed una corretta ricostruzione dell’ambiente nel quale si plasmò la personalità artistica di Beethoven. Nel 1984 la studiosa tedesca ha preannunciato uno studio particolare dedicato all’influsso di Luchesi sul giovane Beethoven, ma a questo punto per cause misteriose questa signora all’improvviso tace, senza dare seguito a quello che aveva promesso di fare a favore di Luchesi: non se n’è saputo più niente, neanche a Berlino nessuno ne ha parlato, lei non s’è vista…
A questo punto non si possono ignorare gli sforzi esplicati, a partire dall’inizio degli anni Novanta, da Giorgio Taboga al fine di accelerare il processo di riscoperta del musicista veneto attraverso convegni, concerti, libri e dischi, un’attività che continua a esercitare con grande perseveranza.
Non è però facile separare - dal cumulo di citazioni, riferimenti, ricostruzione documentarie, analisi circostanziate di fatti e personaggi, rettifiche che Taboga, nei suoi numerosi libri e saggi pubblicati e non pubblicati, riversa in questi scritti con tono quasi sempre polemico e provocatorio – l’elemento di certezza da quanto è ancora solo ipotesi, sovente logica, ma non corroborata da prove concrete.

Abbiamo oggi un’idea più precisa di chi era in realtà Andrea Luchesi e dei motivi che spinsero l’elettore Max Friedrich a chiamarlo al suo personale servizio nel 1771.
Luchesi nasce a Motta di Livenza nel 1741, da una famiglia di nobili lucchesi trasferitasi però già nel XIV secolo in questa cittadina presso Treviso.
Andrea Luchesi - si scrive pure Lucchesi, Luchese, Lucchese, Lucchezzy, Lakesi, Luckese: questo anche per dirvi quanto era conosciuto questo autore, a costo di sentirsi storpiare il nome e vederselo riprodotto in varie forme - ricevette le prime nozioni dal fratello sacerdote don Matteo, pubblico precettore e organista del Duomo locale.
La protezione del nobiluomo Jseppo Morosini gli procurò l’insegnamento dei migliori maestri presenti a Venezia: Cocchi, Paolucci, Saratelli, Gallo, e soprattutto il più conosciuto oggi, Baldassarre Galuppi, il Buranello.
Dopo la partenza di Cocchi per Londra il sedicenne Luchesi fu affidato a Bertoni, organista ed aiutante di Galuppi nella Cappella Ducale di San Marco a Venezia.
In questa città la carriera di Luchesi fu rapidissima: a vent’anni successe a Bertoni come commissario esaminatore per la classe degli strumenti a tastiera; e a ventiquattro grazie alla scuola di padre Vallotti, che fu uno dei pionieri della musica sacra del Settecento, era già un compositore sacro affermato.
Alla data del 10 agosto 1764 il Gradenigo (quello che ha scritto la cronaca di Venezia chiamata Notatorio) riferisce che il ventitreenne Luchesi, organista dei canonici di San Salvatore ha diretto la sua Messa e Vespero in occasione della visita annuale del doge al convento di San Lorenzo.
L’attività del giovane maestro spazia in tutti i campi: musica sacra in primo luogo, strumentale e teatrale, insegnamento valutazione di aspiranti organisti, inaugurazione di organi, ecc. Scrive musica per l’Ospedale degli Incurabili, per il Seminario, per vari monasteri, e Cantate per la Repubblica di Venezia in onore di ospiti stranieri. Nel ‘68 Luchesi fu considerato un possibile successore di Francesco Brusa alla direzione dell’Ospedale degli Incurabili.
La conoscenza del conte Giacomo Durazzo, conte genovese, personaggio chiave per la diffusione della musica settecentesca italiana oltralpe, gli fruttò la commissione dell’opera L’isola della fortuna su libretto di Bertati, che fu rappresentata nella primavera del ‘65 dalla compagnia di Kurz Bemardon all’Hoftheather di Vienna - Luchesi nel ‘65 aveva ventiquattro anni ma era già conosciuto a Vienna al punto che eseguivano la sua musica pur non avendone mai visto l’autore.
Durazzo era allora ambasciatore dell’Impero austriaco presso il governo della Serenissima e l’acquisto di composizioni per conto di terzi rientrava nella sua sfera di attività.

La popolarità raggiunta da Luchesi nei Paesi di lingua tedesca può essere attestata tra l’altro dalla reverenziale visita che i Mozart padre e figlio fecero al maestro di cembalo nel corso del loro soggiorno a Venezia tra l’11 febbraio e il 12 marzo del 1771; visita ricordata soprattutto per il concerto per cembalo e orchestra che il compositore italiano diede in uso al ragazzo prodigio e che il ventunenne Mozart eseguì poi a Ellwangen an der Jagst ancora il 28 ottobre 1777 sulla via di Monaco e Parigi.

Significativa la nota biografica su Luchesi, in riferimento alla sua creatività fino a tutto il 1778, del compositore e musicologo Jean-Benjamin Laborde: “Il jouit d’un avantage rare parmi les italiens, ce que ses simphonies sont recherchées en Allemagne”.

La Messa Funebre per il duca Gioachino di Montealegre, ambasciatore di Spagna a Venezia, eseguita il 4 luglio 1771 nella chiesa di San Geremia, una delle più pompose e magnifiche esequie perché “voluta con pompa et dispendio” (sempre il Notatorio) conclude in bellezza la fase veneziana della carriera di Luchesi: questi lascia la città alla fine dello stesso anno il ‘71 pochi giorni dopo aver preparato la rappresentazione nel teatro San Benedetto del Matrimonio per astuzia, sua ultima opera buffa scritta per l’Italia.
Ha accettato l’invito del principe elettore Max Friedrich di venire a Bonn come Musikmeister pagato attraverso la sua cassa privata.
È una soluzione provvisoria che il Principe ha adottato per aggirare l’ostacolo del Kapellmeister ufficiale “a vita”, Ludwig van Beethoven senior il nonno di Beethoven il quale - il professor Taboga lo ha messo molto bene in rilievo - non era compositore non avendo mai scritto niente. Dunque il genio della posizione non è venuto per sangue, Beethoven l’ha preso da qualcun’altro, non certo dalla famiglia: il padre era un debosciato e questo é scritto in tutte le biografie, un tenore alcoolizzato; e il nonno un cantante d’opera, con voce di basso. In un’opera buffa di Luchesi, composta ed eseguita poi a Bonn nel 1773, il nonno di Beethoven canta una particina di basso e manca il padre Johann tenore, tolto dai ruoli attivi per la scarsa qualità della voce.

Max Friedrich ha dovuto subire Ludwig van Beethoven senior, musicista di formato ridotto in un momento di grave crisi finanziaria, gli costava poco: ma ora vuole che la sua musica sacra sia all’altezza del primo Stato religioso di Germania.
Galuppi gli ha segnalato il “celebre Luchesi della Motta, giovane artista versato in tutti i campi, specialmente nell'insegnamento”.
Il Notatorio Gradenigo XXXI, alla data del 5 dicembre ‘71, conferma che Luchesi fu chiamato da Max Friedrich con un incarico didattico: “Il signor Andrea, veneziano, giovane assai perito et commendato dell’arte filarmonica passa dalla propria patria al servigio di Massimiliano Federigo, vescovo ed elettore di Colonia, ed ivi si tratterrà per alcuni anni, bene accolto et stipendiato da quel principe mecenate generoso delli virtuosi e letterati et amante dell’armonia musicale”.
Accompagnano il trentenne maestro a Bonn un soprano, due tenori, il primo violino Gaetano Mattioli e un grammatico per l’apprendimento dell’italiano ai cantanti. Luchesi, Mattioli e Bennati, uno dei due tenori, erano i soli assunti con incarico triennale: nessuno dei tre però intendeva [stabilirsi] a Bonn. Solo la morte dell’anziano Ludwig van Beethoven, avvenuta il 24 dicembre ‘73, permise a Max Friedrich di offrire la carica vacante a Luchesi, con la prospettiva certa di una nomina a vita dopo il tradizionale triennio di prova.
Così dal 1774 Luchesi è Kapellmeister a pieno titolo, pagato dalla cassa statale; e dal 1777, superato il periodo di prova, inamovibile. L’altro candidato alla successione era stato il figlio del defunto, Johann van Beethoven.

Per Luchesi la decisione di stabilirsi definitivamente a Bonn e divenire suddito del principe fu agevolata dal suo legame con Antoinette D’Anthoin, figlia di un consigliere di corte, che diverrà sua moglie nel 1775.

In brevissimo tempo la Cappella di Bonn compie un salto di qualità sorprendente: stando al “Musicalischre Almanach auf das Jahr 1782”, che in realtà reca notizie riferibili agli anni ‘78-‘79, essa risulta - pochissimi anni dopo che c’era Luchesi - al terzo posto nell’elenco delle migliori Cappelle musicali tedesche, preceduta dalla Cappella di Mannheim gloriosissima, e seguita - notate, seguita - dalla Imperial Regia Cappella di Vienna che si trova in quinta posizione.
Parte del merito spetta certamente anche al primo violino Mattioli, che Luchesi ha convinto a fermarsi a Bonn e al quale verrà affidata la direzione dell’orchestra e la funzione di intendente amministrativo.
Il Kapellmeister poté cosi dedicarsi anche e soprattutto alla composizione di musica sacra che starà molto a cuore, dopo la morte nel 1784 dell’elettore Max Friedrich, anche al successore Max Franz, ultimogenito dell’imperatrice Maria Teresa.

È logico che l'adolescente Beethoven con questi precedenti abbia trovato in tale eletto ambiente musicale le condizioni migliori per sviluppare i suoi talenti grazie ai quali - sicuramente più che all’intercessione del padre - entrò a far parte della Cappella dapprima come vicario dell’organista titolare Christian Gottlieb Neefe, durante l’assenza di questo e, dall’aprile ‘83 al maggio ‘84, come suo sostituto.
Neefe, giunto a Bonn nel novembre ‘79, aveva occupato nel giugno 1782 il posto di organista del defunto Gilles van den Eeden.

È comprensibile che Beethoven potesse nutrire un certo rancore verso Luchesi, in quanto rivale prima del nonno e poi del padre e in generale quindi verso i compositori italiani. Ciò può forse spiegare il giudizio negativo espresso su questi ultimi nella sua corrispondenza e il silenzio nei confronti del proprio maestro veneto.
Mancano d’altronde indicazioni precise su tutti i suoi pedagoghi, salvo quelle contenute in una - del resto molto discussa - lettera inviata nel ‘92 a Neefe e non conservata. Ne parla soltanto Neefe: “Se un giorno diventerò un grand’uomo, lo sarà anche per merito Suo”, avrebbe scritto Beethoven, una citazione troppo interessata per non sollevare dubbi sulla sua autenticità.

Il mutismo di Beethoven sull'istruzione ricevuta da Andrea Luchesi non cancella peraltro il fatto che questi abbia presieduto, in prima persona e in primo luogo come era nelle sue competenze e nei suoi doveri di Kappellmeister, alla formazione del grande allievo.
In ogni caso non è realistico pensare che Neefe divenne “nel 1780 o nel 1781 l’unico maestro significativo di Beethoven, fino a che il giovane lasciò Bonn nel novembre del ‘92”: questo l’ha scritto Maynard Solomon nel suo “Beethoven” (tradotto in italiano nel 1986) e gliel’ho “rinfacciato” al convegno di Berlino.
O che “fu il solo musicista di rango tra i maestri di Beethoven”: questo invece è dovuto a Carl Dahlhaus, “Beethoven und seine Zeit”, pure tradotto in italiano nel 1990.
I due studiosi tedeschi sono quindi convinti che Luchesi, nella biografia di Beethoven, non è né importante né è degno di qualsiasi citazione.

Una rapida rassegna dei musicisti e compositori presenti nella Cappella Elettorale negli anni della prima giovinezza di Beethoven comprende - oltre a Luchesi e all’organista Neefe, tutti e due compositori - il violinista Ferdinand D’Anthoin, il tenore Ferdinand Heller, il violoncellista Joseph Reicha (di cui esistono CD molto interessanti), il conte Ferdinand Waldstein (quello famoso della Sonata): Fra questi sicuramente Joseph Reicha è una figura sul piano creativo sicuramente più rilevante di Neefe, che si è limitato quasi esclusivamente a comporre dei Singspiel.
Su tutti dominò incontestabilmente Luchesi, creatore poliedrico di opere il cui valore, a giudicare dai pochi esemplari che vengono ai nostri giorni faticosamente strappati all’oblio, è indiscutibile.
Quanto Beethoven ne sia stato influenzato, allo stato attuale degli studi, è difficile dire, dovendosi innanzi tutto procedere al reperimento delle composizioni del maestro veneto sparse in tutta Europa.
Il problema è aggravato dal dubbio, come nel caso di Giambattista Sammartini e di altri artisti dell’Italia settentrionale in particolare Lombardia e Veneto, che Luchesi abbia venduto a talune Cappelle nobiliari tedesche (Cappelle naturalmente nel senso di orchestre) attraverso il canale Durazzo sinfonie e musica da camera consentendone l’intestazione ad altri autori: una pratica abbastanza frequente nel Settecento come conferma il noto episodio del conte Walsegg per il Requiem di Mozart.
Può essere significativo il fatto che, a partire dal 1771, Luchesi non risulta avere più prodotto musica strumentale sotto il proprio nome.
Da fecondo compositore che era - di sinfonie rinomate in tutta la Germania e di opere soprattutto comiche - a Bonn d’improvviso tace, nell’archivio musicale del Principato non figurano più lavori a lui intestati.

Le fortune della Cappella di Bonn sotto il principe Max Franz durarono fino al 1794, anno in cui il principato fu occupato dalle truppe francesi. Pensionato, ma non sostituito, il Kapellmeister Luchesi rimase nella sua città di adozione fino alla morte, sopraggiunta nel 1801, a sessant’anni, dimenticato dal mondo musicale come fu il destino di molti artisti di transizione tra le formule del Settecento e il discorso romantico.
Ebbe tuttavia modo di assistere da lontano ai primi successi viennesi di Beethoven, uscito dalla sua “bottega” come Ferdinand Ries, Andreas e Bernhard Romberg, Antonin Reicha (nipote di Joseph Reicha) ed altri musicisti.

Le opere di Luchesi riemerse negli ultimi anni non danno ancora la misura dell’influenza esercitata su Beethoven, salvo alcune pagine sacre come il Requiem per Montealegre (ambasciatore spagnolo a Venezia) opera che fu eseguita anche a Bonn per le esequie di Max Friedrich (il primo principe elettore): il carattere profondo di alcune parti di questa Messa lasciano trapelare uno spirito soggettivo che annuncia l’Ottocento.

Quanto alla musica strumentale è troppo presto per trarre qualche conclusione data la confusione che regna in materia. Non è ancora stato accertato a quale anno risalgano le parti di sinfonie anonime giacenti a Modena presso la Biblioteca Estense e provenienti dall’archivio musicale di Bonn.
In vari casi il nome dell’autore è stato visibilmente cancellato.
Una quarantina di parti di sinfonie corrisponde a note opere di Haydn o di Mozart (per esempio la Jupiter). Sono presumibilmente delle copie ma solo l’esame calligrafico e cartaceo può darne la conferma assoluta.

Luigi della Croce. Conferenza del giorno 25 gennaio 2000. pp. 105-115
per Associazione Mozart in Italia Brescia I Martedì. Quaderni. Conferenze 1999/2000
in http://www.andrealuchesi.it/andrealuchesi.it/link/p1.htm