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Messaggi dal clima che cambia: Il Permafrost



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MESSAGGI DAL CLIMA CHE CAMBIA: IL PERMAFROST

Il gelo perenne che ora non dura più!


L’estate appena trascorsa, pur calda e asciutta, non sarebbe sufficiente da sola a provare l’esistenza del riscaldamento del Pianeta. Lo sono invece le sistematiche variazioni di temperatura di grandi masse d’acqua continentali, come quelle dei laghi prealpini, ad esempio, o le variazioni di volume dei ghiacciai.

Una prova altrettanto significativa, e che si sta manifestando con sempre maggior frequenza, sono i crolli di importanti porzioni di versanti di montagna per innalzamento di quota del limite del permafrost.

Risale alla fine dello scorso mese d’agosto (ore 9.30 di mercoledì 23 agosto 2017) la frana di 4 milioni di metri cubi di roccia caduta dal versante settentrionale del pizzo Cengalo (foto a lato) e che ha percorso per un dislivello di circa 2.000 m tutta la val Bondasca, fino alla confluenza con la val Bregaglia (Cantone dei Grigioni - CH).
Otto escursionisti sono stati travolti mortalmente; sono state messe in crisi le comunicazioni lungo la strada cantonale che collega Chiavenna con St. Moritz e l’Engadina; l’onda di torbida trasportata dal torrente Mera ha gravemente compromesso le acque del lago di Mezzola, fino al Lario.

Come nella lontana Siberia e nelle regioni circumpolari, anche in alta montagna la temperatura media giornaliera dell’aria, con il trascorrere delle stagioni, passa da valori un poco sopra lo zero (0°C) a valori di pochi gradi sotto.
Nelle stesse località la temperatura media annua è inferiore a 0°C e le oscillazioni stagionali si riscontrano solo negli strati superiori del sottosuolo (da pochi centimetri a pochi metri di profondità), mentre più in basso la temperatura non varia stagionalmente, ma solo con cicli assai più lunghi, dell’ordine dei secoli o dei millenni.

In realtà, a partire dalla profondità ove la roccia non risente più delle variazioni di temperatura diurne e stagionali, inizia a farsi sentire il riscaldamento proveniente dal nucleo terrestre, con incremento medio di temperatura (gradiente geotermico), nella crosta continentale in cui ci troviamo, di circa 3°C per ogni 100 metri di aumento di profondità.

Al di sotto della fascia di terreno interessata da variazioni stagionali di temperatura, l’umidità contenuta è presente nel sottosuolo sotto forma di ghiaccio perenne (perma-frost), e il disgelo primaverile-estivo interessa solo la parte sovrastante.

Anche nelle aree alpine e di alta montagna in generale, l’umidità che imbibisce le rocce subisce l’alternanza gelo-disgelo stagionale solo in superficie, mentre in profondità, per uno spessore da pochi metri ad alcune decine di metri, rimane allo stato solido fin nelle più minute fessure della roccia, ove serve anche da legante.

Però, con l’innalzarsi in quota del limite del permafrost, sui versanti un tempo interessati in profondità dal ghiaccio perenne si instaura, anche in profondità, l’alterna vicenda del gelo invernale e del disgelo estivo: nella stagione calda il ghiaccio nelle fessure passa allo stato liquido, ne viene meno la funzione legante, si creano condizioni favorevoli per il distacco di blocchi e per veri e propri franamenti;
nella successiva stagione invernale l’acqua, infiltratasi nelle più minute fessure, torna allo stato solido, con aumento di volume, progressivo allargamento ed estensione delle fessure stesse, e accresciuta pericolosità dei versanti per l’estate che verrà.

Versanti in equilibrio in presenza di permafrost divengono instabili in seguito all’innalzamento del limite, con distacchi per gravità di singoli blocchi, che possono innescare franamenti di grosse dimensioni anche in assenza di quelle precipitazioni copiose che, sui versanti a minor altitudine, sono la causa determinate degli episodi franosi che già conosciamo.

Franamenti causati dall’innalzamento del limite del permafrost diverranno sempre più frequenti e saranno accompagnati da danni sempre maggiori alle cose e alle persone.
Essi saranno localmente prevedibili solo a seguito di approntamento di sofisticate procedure di individuazione e controllo delle fasce di versante potenzialmente interessate dal fenomeno, con osservazioni geologiche, geomorfologiche e strutturali accompagnate da misure di livello su piezometri e di temperatura di aria, acqua e suolo.

Si tratta, a mio parere, di un sistema di allarme ancor più complesso di quello installato per il controllo di franamenti di differente origine, come ad esempio quello predisposto a protezione del bacino del Vajont, prima del tragico 9 ottobre 1963; purtroppo, nell’occasione, pseudo “interessi” industriali avevano indotto i responsabili a minimizzare i chiari segnali lanciati dal sistema, vanificandone l’impiego.

Probabilmente in qualche distretto alpino si riuscirà a predisporre un efficiente sistema di allertamento per evitare danni alle persone. Il riscaldamento globale continuerà però a mietere disastri, dissesti e vittime in tutto il mondo, mentre politici, imprenditori e semplici cittadini, iper-informati ma poveri di senso civico, non solo in Italia e in Europa, pur riconoscendolo, continueranno ad ignorarlo nei fatti, battendo la strada senza uscita della ripresa della produzione “vecchia maniera” (trainata dal settore automobilistico!) e dei consumi.

Umberto Guzzi, ottobre 2017
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