L'Eclettico



Una sana idea “malsana”



L'ECLETTICO - web "aperiodico"

UNA SANA IDEA “MALSANA”

Proposta di ricostruzione del polittico di San Francesco a Cantù di Bernardino Zenale, e della sua cornice


La palma del martirio che spesso troviamo nelle mani dei Santi raffigurati in tanti dipinti antichi d’arte sacra, in certi casi dovrebbe essere assegnata non solo a quei Santi, ma alle stesse opere di cui essi sono i protagonisti.
A suscitarci questa riflessione è l’incontro con i Santi Stefano ed Antonio da Padova alla mostra Sotto il segno di Leonardo. La magnificenza della corte sforzesca nelle collezioni del Museo Poldi Pezzoli (leggi di più >>>).
Li troviamo infatti presentati uno accanto all'altro, ma ciascuno in una propria cornice, sebbene le linee prospettiche della pavimentazione del sottoportico sotto il quale vengono offerti al nostro sguardo e la porzione di arco che inquadra Stefano e si completa nel pilastro al quale si appoggia Antonio, oltre al paesaggio che si apre alle loro spalle, rendano del tutto evidente un’originaria continuità.
Una continuità che abbiamo potuto meglio apprezzare nell’allestimento permanente del Poldi Pezzoli; che oggi li riunisce opportunamente in un’unica cornice, ma in passato ha fatto anche di più.

Anche all’occhio meno esperto appare infatti chiaro che alla loro sinistra manchi qualcosa, un qualcosa che, nel 1982, proprio in questo museo è stato temporaneamente ricomposto.

Già, perché i santi Stefano ed Antonio da Padova costituiscono nel loro insieme lo scomparto laterale del Polittico dell’Immacolata Concezione, realizzato fra il 1502 ed il 1507 per la chiesa del Convento di San Francesco a Cantù da Bernardino Zenale (1450 ca. - 1526), pittore ed architetto che lavorò alla fabbrica del Duomo come ingegnere e come suo direttore, successore di Giovanni Antonio Amadeo deceduto nel 1522.

A Milano, come dimostrato da una firma rinvenuta nei primi del Novecento, aveva fra l’altro lavorato (dal 1491 al 1493) agli affreschi della cappella Grifi in San Pietro in Gessate (più info in “I Quaderni de L’Eclettico n. 3 - San Pietro in Gessate”): subentrando nell’incarico a Vincenzo Foppa (probabilmente poco interessato a questa committenza) ed in collaborazione con un altro maestro come lui originario di Treviglio nella bergamasca, Bernardino Butinone (del quale non si hanno precise notizie biografiche ma si sa che nel 1484 era già a capo di una fiorente bottega a Milano).

Con sorpresa scopriamo poi che i due santi che stavano all’altra estremità, Francesco e Giovanni Battista, non sono tanto distanti da dove ci troviamo.
Più precisamente si trovano, a poche svolte di strada e soltanto qualche centinaio di metri, in un’altra importante casa museo milanese, il Bagatti Valsecchi, dove non li avevamo mai notati prima di farvi ritorno per cercare di ricomporre, almeno mentalmente, quel che la storia ha diviso.

A parziale giustificazione del nostro senso di colpa per esserci “persi” questa santa coppia con una visita forse troppo superficiale, conforta il fatto che essi siano stati collocati come "sopracomodini" nella nella Camera Rossa di Carolina Borromeo e Giuseppe Bagatti Valsecchi separati dall’imponente baldacchino del letto matrimoniale in ferro battuto che li nasconde alla vista del visitatore.
Ed è un peccato, perché rispetto alle tavole del Poldi, dall’aspetto un po’ “ceroso” e parecchio malridotte ai bordi (osservazione che suscita la domanda su quante volte abbiano cambiato cornice, e quanti trasporti abbiano subito), i santi del Bagatti sono meglio conservati.
Onore al merito per Carlotta Beccaria che ha fatto una pulizia prudente ed accurata: restituendo smalto ai colori senza eliminare totalmente la patina antica e, soprattutto, senza raschiare e rovinare le tavole ed astenendosi dall’altrove troppo frequente pesante lavaggio a suon di acidi e solventi.
Fino al 2012 le due tavole erano invece sporchissime. Bisogna pertanto essere grati all’ADSI (Associazione Dimore Storiche Italiane) per la donazione che ne ha consentito il restauro e per aver offerto l'occasione di esporli, nella giornata dei "Cortili aperti" del giugno 2013, nel salone da ballo di Palazzo Bagatti Valsecchi, dove godevano di un'illuminazione decente.

Maggiori difficoltà comporta, invece, completare un'ideale giro di visite a tutti i pezzi del trittico. Un privilegio che può toccare ai Californiani in visita a Milano o a quei Milanesi che restituiscono la cortesia: sì, perché la pala centrale con la Madonna in adorazione del Bambino ed angeli si trova, purtroppo, oltreoceano… al Paul Getty Museum di Los Angeles.
E nel "Nuovo continente" troviamo che non sia stata trattata col dovuto rispetto.
Ci riferiamo naturalmente ai segni di una pesante pulitura a base di acidi e solventi praticata da qualche incauto restauratore statunitense, forse troppo desideroso di restituire smalto e brillantezza agli originali colori, e ugualmente ignaro della fragilità delle patine superficiali di colore e dei ritocchi a secco che in realtà conferivano preziosità all'opera.
Un gran peccato, perché si sa, Zenale, alla stregua di Bramantino e Luini, seguiva le orme di Leonardo; e con quei leggeri aloni di colore acquerellato, con quei tocchi fini di pennello, conferiva profondità prospettica, volume ai corpi e impressioni enigmatiche ai volti dei propri personaggi.
Per rendersene conto basta ingrandire l’immagine della tavola (disponibile sul sito del Getty Museum) e dare uno sguardo, per esempio, alle finiture degli abiti, all'incarnato ed ai capelli degli angioletti, alla marmorizzazione di pavimento e colonne che sono state maldestramente lavate via. I crani dei putti ed i contorni del mantello della Madonna si intravedono al di sotto delle capigliature, assottigliate al punto da divenire trasparenti. Le colonne hanno perso anche gli antichi fregi a grottesche ed è mezza cancellata persino la firma nell'iscrizione, volutamente seminascosta, dietro l'aureola dell'angioletto liutista a sinistra della Madonna. Una firma che non è di Zenale ma riconduce a Bergognone, fatto che ha orientato l'attribuzione a quest'ultimo fino a quando non si è appurato essere apocrifa.
La situazione è forse un po’ meno grave nel quadrante in basso a sinistra che racchiude la Madonna e nella porzione di pavimento corrispondente, dove l'anonima mano che ha effettuato la "pulitura" ha fatto meno danni, permettemdoci di ipotizzare che qui abbia lavorato il capo restauratore. Ciò non toglie comunque l'amara sensazione che tra i collaboratori ci siano stati degli autentici, aspiranti iconoclasti.
La condizione in cui versa la tavola dell'Adorazione lascia interdetti: e l'unica spiegazione che siamo stati capaci di darci è che presso certi popoli con poco più di due secoli di memoria storica, manchi una vera consapevolezza di quel che sia l'antico, e di che cosa voglia dire avere per le mani un oggetto con 500 anni d'età. Ne consegue che il "restauro" viene interpretato da questa gente come un'occasione per farlo tornare "nuovo fiammante". Peccato che il senso del restauro sia decisamente altro, e cioé "fare invecchiare" bene un'opera d'arte senza nasconderne i difetti. Gli anni si portano: non si cancellano.
E ciò ci porta ad aprire una parentesi. Il senso comune spinge a riconoscere ad un intervento di restauro due obiettivi: 1) aumentare la speranza di vita di un'opera; 2) conservarne/aumentarne la sua leggibilità. Se l'intervento condotto non solo non consegue nessuno di questi obiettivi ma, al contrario, ha l'effetto di ottenere l'opposto anche su uno soltanto di questi due punti, tanto vale lasciare le cose come stanno, oppure lasciare fare ad altri. Purtroppo però, guardando in casa nostra, ed in anni recenti, non c'è di che sentirsi rassicurati visto che si è parlato di "restauri archeologici", espressione che per i comuni mortali vuol dire: elimina tutto quello che sembra una sporco e ridipintura... anche se sotto poi non c'è più niente...

Chiusa la parentesi sul restauro torniamo a considerare il polittico osservando che, naturalmente, l’impossibilità di poterlo vedere oggi nella sua interezza impedisce di riconoscere il debito che l’opera di Zenale ha nei confronti di Bramante, per l’importante ruolo prospettico delle architetture, e di Leonardo per il paesaggio roccioso alle spalle della Madonna nella pala centrale (che presenta la curiosità del volto umano ben riconoscibile sulla cima dello sperone roccioso dietro il lago e la particolarità della grotta che alleggerisce la massa rocciosa consentendo di intravvedere la luce proveniente dalla valle retrostante) ed appena visibile accanto al braccio destro di Santo Stefano. Ma ancor più rende impossibile apprezzare la bellezza complessiva dell’opera.
Di tutto ciò possiamo essere grati agli operatori del mercato antiquario sul quale queste opere sono state messe in vendita nel terzo quarto dell'800. Inoltre un particolare ringraziamento dovrebbe andare al "genio" che ha avuto la bella pensata di segare le tavole degli scomparti laterali, per ricavare dall'originale trittico un set di cinque belle "figurine" da immettere separatamente nel mercato privato. Per di più ritoccandole con aggiunte e coperture pittoriche (ma anche con allargamenti della tavola centrale o segando parti di quelle laterali per adattarle alle cornici) per renderle più attraenti come opere autonome.

Il confronto tra l’insieme delle tavole del trittico (che presentiamo riportando tutti i pezzi del polittico alle giuste proporzioni reciproche, e posizionati esattamente come dovrebbero) e le "figurine" di oggi ci fa capire quale pensiero guidasse gli sciagurati antiquari dell'Italia post-unitaria: far soldi, far soldi far soldi, e ancora, far soldi. In parole povere, non si facevano scrupoli a ricorrere a operazioni di bassa falegnameria ed a compromettere l'integrità di dipinti e composizioni di carattere monumentale e scenografico. Nel nostro caso, quello che resta del trittico di Zenale, ben riassume la cronaca di un saccheggio, in cui sono stati sacrificati, pezzi di tavola contenenti parte delle architetture, il paesaggio fantastico del fondale; e di cui ha soprattutto fatto le spese la pala centrale (come vedremo più avanti).

Ma non è tutto! Quel che ci manca per assaporare appieno l’opera di Zenale è la combinazione tra l'architettura scolpita in tre dimensioni dal carpentiere e l'architettura dipinta nel quadro. Un escamotage a cui la sua bottega ricorreva spesso, per creare l'illusione ottica, e confondere lo spettatore (per mezzo della cornice) sul reale confine tra spazio "dipinto" e spazio al di fuori di esso.
Questa idea è portata alla massima espressione dall’autore del nostro Polittico di San Francesco di Cantù. E non è un caso che Zenale porti questa ricerca a livelli monumentali in una delle sue principali opere di maggior successo: il Polittico di San Martino a Treviglio, che ancora può essere ammirato al suo posto, nel duomo di Treviglio (ma d'altronde quella era stata per lui, l'opera della sua vita, alla quale dedicò la bellezza di vent'anni).

Con ben sanno i nostri lettori, il tema della ricomposizione dei polittici smembrati è caro a L’Eclettico. Abbiamo apprezzato quella andata a buon fine, seppure a prezzo di una contrattazione poco oculata da parte di Regione Lombardia, col trittico Madonna col Bambino fra i santi Giovanni Evangelista e Benedetto di Antonello da Messina (transitato proprio dal Bagatti Valsecchi, leggi di più > Prego affrettarsi: san Benedetto va a Firenze) e continuiamo ad augurarci analoga sorte per la Pesarese Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini (leggi di più > Che ci voglia la Carrà?).

Consapevoli dell’obiettiva difficoltà di poter organizzare qualcosa del genere per il Polittico di Zenale ci sopravviene, però, la “malsana” idea di elaborare un’ipotesi di sua ricostruzione che consenta ai lettori di rifarsi gli occhi e rimpiangere in cuor loro ciò che ignoranza e sete di profitto ci hanno irrimediabilmente sottratto.
Il risultato ha lasciato “parecchio contento” il suo autore (Guido Codecasa) perciò sono prevedibili in futuro analoghi fotomontaggi, magari cominciando da tante delle opere d'arte smembrate che sono ora, in alcune loro parti, conservate a Brera.

Le fotografie dei cinque pannelli sono state prima affiancate, ingrandite e rimpicciolite in rapporto alle loro dimensioni reali. Con alcuni programmi di fotoritocco sono state eliminate le deformazioni delle tavole. La posizione relativa delle cinque tavole è stata invece ristabilita in maniera filologica, allineando le linee degli elementi architettonici dipinti (colonne, pavimenti, soffitti) con le principali linee prospettiche. Sulla base dello schema prospettico così ricostruito sono stati rideterminati la "scenografia architettonica" complessiva da Zenale e le sagome originali che le tavole del trittico dovevano avere. Le parti mancanti dai pannelli, segate via dal nostro ignoto antiquario d'Ottocento, sono state integrate a mano, sempre grazie alla computer grafica.

La cornice è stata ricreata ricampionando elementi fotografati da altre cornici dello stesso periodo. Riproporzionati, moltiplicati, allungati, accorciati, non necessariamente tra loro contigui (non si tratta quindi di un semplice copia-incolla!).
La sua struttura principale appartiene ad un'altra pala d’altare dello stesso Zenale, conservata fino a poco fa nel museo del Tesoro di Sant’Ambrogio e praticamente semisconosciuta (al punto che non si sa che fine abbia fatto negli ultimi anni...).

Per la cuspide del pannello centrale, è stata invece “riciclata” la cornice del polittico di Bellini in Santa Maria dei Frari a Venezia, che ha offerto un modello di riferimento per l'aspetto complessivo della "macchina scenica".

Se ne propone anche una prima versione senza cuspide e trabeazione sopra il pannello principale. Accantonata dopo aver constatato che la tavola centrale era stata segata in alto (non ci sono infatti i segni della cornice, né tracce della fine della superficie pittorica dipinta e della base di preparato in gesso e colla animale.

Guido Codecasa e Giovanni Guzzi, dicembre 2016
© Riproduzione riservata
 

APPENDICE - Una conferma

Con innegabile soddisfazione abbiamo recentemente "scovato" un'indiretta conferma alla proposta di ricostruzione del Trittico di Cantù di Zenale elaborata da Guido Codecasa. Il suo "fiuto" ha infatti trovato positivo riscontro in un bell'esempio di cornice del XVI secolo con una struttura identica a quella suggerita per la carpenteria nella versione con la volta completa sopra il pannello centrale del Trittico di san Francesco.

Si tratta del trittico Madonna con il Bambino in trono e angeli musici con ribeca e liuto nella tavola centrale con ai lati san Francesco e il beato Angelo Carletti, santa Margherita e san Sebastiano. Autori Defendente Ferrari (Chivasso 1480-85/post 1540) e Gerolamo Giovenone (Barengo 1490 ca.-Vercelli 1555).

Il dipinto è custodito nel Museo Borgogna di Vercelli e la sua cornice architettonica è quasi totalmente originale, come risulta dai dati di restauro e dall’evidente collaborazione tra i pittori e l’autore della carpenteria i cui dettagli dell’architettura sono ripresi nella tavola centrale.
L’opera, databile intorno al 1513, proveniente dalla chiesa di Sant’Antonio a Cuneo, fu poi trasferita in Santa Maria degli Angeli nella stessa città, dove il culto per il beato Angelo Carletti, ritratto nella tavola sinistra, era molto radicato.

APPENDICE II - Obiezioni e risposte

Una gentile lettrice, esperta e storica dell’arte, ci domanda se abbiamo già considerato la letteratura scientifica relativa alla proposta di ricostruzione della carpenteria del Polittico di Cantù, ed in particolare ci suggerisce di “Leggere attentamente il capitolo relativo all’ipotesi di ricostruzione del Polittico di Cantù nel catalogo della mostra del 1982 “Zenale e Leonardo: tradizione e rinnovamento della pittura lombarda al Poldi Pezzoli” (Electa, pp. 24-49)”.
Questo allo scopo di capire se la nostra ricostruzione “sia scientificamente fondata e se apporti qualcosa di nuovo (o di diverso) alla ricostruzione del 1982”.

A tale riguardo desideriamo precisare che quanto qui proposto costituisce prima di tutto un “esercizio” di carattere divulgativo e “politico” (dove per “politico” intendiamo la dimensione civica ed etica della vita pubblica).
Evidentemente, L’Eclettico non è interessato ad invadere il campo degli storici dell’arte, ed ancor meno è interessato a sostituirsi alle loro ricerche.

Cionondimeno l’appunto ci ha incuriositi; anche perché ci ha indotti a ritornare col pensiero al 1982 quando, mentre a Milano al Poldi Pezzoli questa opera d’arte veniva finalmente ricomposta (seppure temporaneamente), chi a Milano, chi in altra regione d’Italia eravamo troppo piccoli persino per concepire che un giorno ci saremmo interessati a questo genere di ricerche.
Grazie alla cortese disponibilità del prof. Andrea Spiriti dell’Università dell’Insubria, abbiamo potuto consultare il catalogo in questione in tempi brevi trovando sostanziale conferma alla nostra ricostruzione. Peraltro Guido Codecasa precisa di aver esaminato sia le schede tecniche degli scomparti del Poldi Pezzoli, sia la scheda del Catalogo Electa-Intesa San Paolo del Bagatti Valsecchi (Stefania Buganza, 2003), che riassume i punti salienti dell’articolo del 1982 integrandoli con le successive scoperte degli ultimi trent'anni.
Sono state inoltre consultate le relazioni relative al restauro 2013 dei pannelli del polittico custoditi presso il Museo Bagatti Valsecchi (in tale occasione erano stati fatti circolare i disegni della ricostruzione del 1982).
Per quanto riguarda la cornice, in assenza di documenti scientifici certi, abbiamo preferito seguire la strada dell’analisi comparativa delle cornici antiche esistenti da un campione di circa 100 polittici del nord Italia (non difficili da reperire grazie ai motori di ricerca internet!), ed a partire da questo riferimento procedere per analogia.

Quanto la nostra ricostruzione possa essere all'altezza degli addetti ai lavori non lo sappiamo e non spetta a noi dirlo. Crediamo però di aver dimostrato che gode di basi documentarie sufficientemente solide per poter essere offerta ad un pubblico di appassionati. Per questi ultimi, la ricostruzione del polittico da noi proposta, pur non apportando significative novità (dal punto di vista delle ipotesi scientifiche), è certamente di maggior impatto, visivamente parlando, e più facile da reperire rispetto ad una pubblicazione scientifica di trent'anni fa disponibile soltanto in formato cartaceo.

Consapevoli di come la “ricostruzione” di opere d’arte possa essere un vero e proprio terreno minato, e di come su di essa si possano scontrare sensibilità diverse (quella disinibita ed a tratti impertinente dell’appassionato, e quella rigorosa e prudente del ricercatore), crediamo di avere lanciato, con una provocazione, un aperto invito a riprendere coraggio e ad “immaginare” le opere d’arte com'erano e dov'erano.

L’immediatezza e l’impatto visivo di un fotomontaggio realizzato con computer grafica, pur non dando garanzie di assoluta esattezza può infatti indurre un pubblico vasto a porsi diversamente nei confronti del nostro patrimonio artistico disperso, a prendere consapevolezza del passato perduto e, soprattutto, a tornare ad immaginare un futuro per esso, un futuro che non può e non deve appartenere solo agli specialisti (che peraltro lamentano il proprio crescente isolamento), ma ad una popolazione di cittadini sensibili al bello e rieducati alla conoscenza ed al godimento della storia del proprio territorio.