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Bande in Festival al Conservatorio di Milano

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CENTOTTONI? NO, DI PIÙ!

Bande in Festival al Conservatorio di Milano


Bande in Festival, fra le iniziative musicali per le quali il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano si apre alla città, è senz’altro una delle più spettacolari.
La sua seconda edizione si è articolata in un’intera settimana di appuntamenti fra concerti, convegni ed una lezione-concerto sul mondo della cornamusa.
Il tutto incorniciato, nei due sabati di apertura e chiusura della manifestazione, dalle sfilate a tempo di musica da Piazza Duomo al Chiostro del Conservatorio di diverse formazioni bandistiche lombarde, alle quali si sono aggiunte, nel “secondo turno”, l’Orobian Pipe Band (formazione bergamasca di cornamuse e percussioni scozzesi) e l’Associazione Bandistica Giuseppe Verdi di Busseto.
Abbiamo assistito alla prima delle due sfilate, nonostante il tentativo di depistarci in partenza: essendo stata, quest'ultima, prevista in realtà dal retro del Duomo e non dal suo sagrato come avevamo erroneamente pensato leggendo gli inviti. “Possibile che siano partiti senza di noi?” ci siamo chiesti per un po’, non vedendo alcuno scintillante strumento all’orizzonte.

È sempre bello, anche per i passanti non appassionati di musica, e di questo repertorio in particolare, vedere i musicisti, giovani e meno giovani, eleganti nelle loro divise ed allineati in perfetto ordine dietro i rispettivi alfieri: Corpi Musicali di Vanzago, Santa Cecilia di Nova Milanese, Giuseppe Verdi di Cerro al Lambro, Città di Corsico e Giuseppe Verdi di Buccinasco (che si presentavano assieme sotto un’unica, ferrea, direzione), e ancora... Corpo Bandistico Autonomo Giuseppe Verdi di Zelo Buon Persico e Centro Musicale Cittadino Carlo Ronzoni di Gorla Minore.
Formazioni con una tradizione che per alcuni è più che centenaria, come dimostrano la grafica d’altri tempi e le date ben leggibili sugli stendardi di ciascuno.

Ed è sempre una festa accompagnare una banda in marcia, facendole ala, o precedendola, per non perdersene neppure una nota (al riguardo si legga anche “Un’ora è troppo poco” >>>).

Peccato soltanto che, per non chiudere al traffico per pochi minuti le strade sul percorso, arrivati al cantiere di piazza San Babila la passeggiata si sia interrotta ed i bandisti siano stati costretti al “rompete le righe” e ad un trasferimento alla spicciolata fino ad arrivare all’angolo di via Conservatorio.

Da qui, imbracciati di nuovo gli strumenti, una per volta le bande si sono rimesse in marcia, sonora, per i pochi fedelissimi che le avevano seguite fin lì, avviandosi verso l’ingresso trionfale nel chiostro del Conservatorio.

Per i più curiosi (parzialmente istruiti da un recente spettacolare concerto di un virtuoso del basso tuba “Ultime file alla riscossa” leggi di più >>>) il percorso di avvicinamento è stato comunque un’interessante opportunità per chiarirsi le idee, “intervistando” i protagonisti, sulle differenze, non così facili da riconoscere per i profani, fra le diverse taglie e famiglie di strumenti.
Per capirci, fra i lettori non musicisti chi saprebbe distinguere un Flicorno baritono da un Bombardino (la più familiare denominazione del Flicorno tenore) o un Basso tuba dalla Tuba baritono?

Tornando alla musica suonata, dopo un’esibizione a rotazione sotto i portici del Conservatorio (e peccato per gli orrori che vi stazionano in mezzo: leggi di più in “Tenetevele nel giardino di casa vostra” >>>) in cui le bande facevano a gara l’una con l’altra nel dare il meglio di sé, ci si è spostati in Sala Verdi per il Concerto dell’Orchestra di Fiati del Conservatorio di Milano.
Ad avvicendarsi sul podio del direttore, il Maestro Sandro Satanassi ed alcuni allievi della classe di Strumentazione, composizione e direzione di orchestra di fiati (da programma di sala: Valerio Lucantoni, Luca Pasqua, Davide Sgobbi, Claudio Merlo e Fabrizio Bugani).

Nella sua appassionata introduzione al concerto, che ha incluso l’invito a parlare di queste iniziative diffondendone la conoscenza (e L’Eclettico, apprezzando, non si fa pregare e risponde “Presente!”) il Maestro Gianmario Bonino, anima della manifestazione, ha precisato che non avremmo ascoltato trascrizioni, come spesso accade – anche per “furbescamente” conquistarsi il favore del pubblico con melodie arcinote - ma musica d’arte originale per questa formazione.

Lo dimostra, in apertura, Air For Band, brano del 1956 dello statunitense Frank William Erickson (1923 -1996), facile da suonare e bello da ascoltare.
A seguire la First Suite in E-flat [Mi bemolle maggiore] for Military Band Op.28/No.1, scritta nel 1909 dal compositore e direttore d'orchestra britannico Gustav Theodor Holst (1874 - 1934). Costituito da una Ciaccona - variazione su 16 note, da un Intermezzo vivace nel quale si riprende parte del tema iniziale e da una Marcia conclusiva in cui variano i due temi, il pezzo è significativo anche storicamente perché è il primo originale per orchestra di fiati e non composto come musica d’occasione.

Dello stesso autore ci viene poi fatto ascoltare il brano fondamentale di questo repertorio: la Second Suite in F [Fa maggiore] for Military Band Op.28/No.2 del 1911, presentata in prima esecuzione (documentata) nel 1922 alla Albert Hall di Londra.
Rispetto alla precedente, quest’ultima è interamente costruita su melodie proprie del folklore musicale britannico ed irlandese, tra le quali spiccano motivi celeberrimi: un esempio su tutti Greensleeves nell'ultimo movimento.
Nel primo (March) i temi popolari che riecheggiano sono tre. La Morris Dance o “Il ballo del Morris”, un ballo popolare inglese nel quale gruppi di ballerini eseguono figure coreografiche variamente arricchite dall’uso di bastoni, spade, pipe e fazzoletti maneggiati dai danzatori. Il tema Swansea Town, un canto della nostalgia per l’amata di un marinaio imbarcato su una baleniera. Infine Claudy Banks: canto del ritorno di un marinaio dalla donna che l’ha atteso da lungo tempo.
La dolcissima, struggente, melodia di I'll love my love, arpeggiata da una sezione strumentale all’altra, è l’indimenticabile motivo ispiratore del secondo movimento (Song Without Words). Questo canto, originario della Cornovaglia, racconta la drammatica storia dell’amore contrastato fra un giovane, imbarcato a forza per allontanarlo dall’amata, e la sua donna che impazzisce per il dolore e però, al termine di ogni strofa, canta il ritornello "Io amo il mio amore, perché so che il mio amore mi ama!". Una fiducia ripagata perché alla fine il suo amore tornerà da lei (evviva il lieto fine!).
Si torna a squillanti fanfare col breve terzo movimento (Song of the Blacksmith). A sua volta debitore del brano popolare A Blacksmith Courted Me, fa pensare ad una sorta di imitazione del ritmico martellare sull’incudine nelle officine dove il fabbro (the Blacksmith) forgia spade.
Conclude la Suite la Fantasia on the Dargason in cui torna protagonista un ballo inglese del XVI secolo, Dargason, ispirato ad una leggenda irlandese ed il cui tema viene elaborato in successive variazioni. Nella sua sezione finale addirittura abilmente intrecciato da Holst alla sopra citata Greensleeves, in una competizione non solo melodica ma anche ritmica, visto che l’una è proposta in 6/8 e la seconda in 3/4.

Al patrimonio della musica tradizionale britannica fanno ancora riferimento anche gli ultimi due brani del programma, sempre di musicisti anglosassoni ai quali si deve lo sviluppo della musica per banda anche nell’ambito della cosiddetta “musica colta”.
Il primo di essi è Percy Aldridge Grainger (1882 - 1961), australiano d'origine ma formatosi studiando al Conservatorio di Francoforte e trasferitosi dapprima in Gran Bretagna (nel 1901) e, dal 1914, negli USA di cui divenne cittadino nel 1918 e dove si arruolò nella banda dell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale.
Al suo tempo pianista concertista di fama planetaria è oggi ricordato come orchestratore con la virtù di non essere mai noioso oltre che per essere ricercatore e raccoglitore di canti popolari.
Tradizione alla quale attinge per la sua composizione che l’Orchestra di fiati del Conservatorio ci fa ascoltare: Irish tune from County Derry che ha per sottotitolo Londonderry Air - Danny Boy.
Danny Boy è una ballata popolare che, pur appartenendo al folklore dell'Irlanda, deve il testo (un commiato rivolto a un figlio o un nipote in partenza per la guerra o per l’emigrazione) a Frederick Weatherly, un avvocato originario della Scozia che, pur non essendosi mai recato nell'isola, lo scrisse nel 1910 sulle note di un altro motivo popolare irlandese, Londonderry Air (o Derry Air, secondo la dizione adottata da coloro che non riconoscono la legittimità del nome Londonderry per questa Contea): un anthem (canto antifonico tipico della tradizione britannica) dell'Irlanda del Nord.

Ultimo “in ordine di apparizione” fra i compositori della giornata è il nome più noto anche al più ampio pubblico della musica classica: il britannico Ralph Vaughan Williams (1872-1958) che, con Holst e Granger, è il capostipite della musica per banda.
Anch’egli nutrì un grande interesse per la riscoperta dei canti popolari e su questi è basata la English Folk Song Suite (del 1923) che chiude il nostro concerto: uno degli almeno cinque capolavori che si contano nella sua musica.
La Suite è costituita da tre movimenti: una prima Marcia denominata Seventeen Come Sunday, un Intermezzo sottotitolato My Bonny Boy, e come movimento finale una seconda Marcia basata su quattro Folk Songs from Somerset.
In origine vi era un quarto movimento, Sea Songs, che era suonato per secondo ma il suo stesso autore lo escluse, pubblicandolo separatamente, dopo la prima esecuzione della Suite.

Se il primo concerto, fin qui descritto, ha familiarizzato i “profani” con le potenzialità musicali degli ottoni anche oltre le “esibizioni di strada”, il grande richiamo di Bande in Festival, e suo evento finale, è stato il quinto appuntamento di CentOttoni in Concerto. Iniziativa anch’essa ideata, voluta e guidata in tutte le sue edizioni dai Maestri Bonino e Satanassi che, sempre sul palco della Sala Verdi del Conservatorio, per la verità hanno portato ben più di 100 musicisti: visto che la conta degli orchestrali presenti ha superato il numero di 140!

Questa mega brass band (binomio inglese che identifica la “banda di ottoni”), corredata da alcuni percussionisti (fra i quali la bravissima Letizia alla quale qui esprimiamo pubblicamente tutta la nostra riconoscenza per la puntualità con la quale ogni anno ci ricorda l’appuntamento!), è una formazione ad assetto variabile che cresce di anno in anno coinvolgendo nuovi musicisti.

Il passaparola e l’amicizia allargano il cerchio dei partecipanti: studenti di conservatori e licei musicali lombardi, ex studenti ora diplomati, componenti della Brass Band 96 di Bergamo, componenti di tante bande musicali ed amici “ottonisti” che non vogliono perdersi l’occasione di far parte di una tale formazione, più unica che rara.

In scaletta un programma di tutto rispetto, con brani classici e moderni ed una sonorità spettacolare, data dalla bravura e dall’entusiasmo dei partecipanti oltre che, ovviamente, dall’entità dell’organico.
Siccome la passione per la musica non ha età, tra gli esecutori si potevano notare ragazzini imberbi e teste bianche “diversamente giovani”.
Negli ultimi due brani di questo concerto, al CentOttoni si è poi unita l’Orobian Pipe Band, diffondendo nella grande sala atmosfere d’altri tempi e d’altri luoghi.

Se lo spettacolo appassiona chiunque, dal punto di vista dei “bandisti” qualcuno più riflessivo si è però anche posto la domanda: “Perché tanta attenzione per le bande da parte del Conservatorio?”.
Forse non è un caso che questa rassegna sia alla sua seconda edizione e forse non sbaglia chi vi veda una relazione con la recente riforma della scuola che negli ultimi anni ha stabilito nuove regole per l’accesso ai Conservatori, cambiando gli equilibri e creando qualche scompenso…

Per gli strumenti a fiato presenti anche nelle bande, il bacino naturale dal quale i conservatori attingevano i propri studenti era da sempre proprio quello bandistico, a discapito però delle bande stesse: infatti ai ragazzi e alle ragazze che intraprendevano questo percorso veniva (nella migliore delle ipotesi) “sconsigliato” di continuare a frequentare l’ambiente bandistico, quasi questo potesse interferire con la qualità della loro evoluzione musicale.
Forse non è il caso di generalizzare, ma in moltissime realtà avveniva proprio questo. I musicisti in erba interrompevano così i rapporti con le bande durante gli studi ed una volta diplomati vi ritornavano come insegnanti o direttori.

Ora, invece, i conservatori tentano di recuperare un rapporto positivo riavvicinandosi a queste realtà ed anche stipulando convenzioni con le associazioni bandistiche per istituire ed incentivare iniziative di formazione pre-accademica avvicinando le giovani leve ai conservatori stessi.
Anche la qualità delle bande musicali negli ultimi anni si sta notevolmente elevando, perché sono sempre più i professionisti che vi collaborano e sempre meno le realtà dove sono i bandisti esperti a tramandare la cultura bandistica ai nuovi arrivati.

Divagazioni (doverose) a parte, l’iniziativa di Bande in Festival e CentOttoni ha senz’altro il merito di contribuire a diffondere tra i milanesi, cittadini metropolitani meno abituati rispetto agli abitanti di città meno grandi a questo tipo di esibizioni, la cultura bandistica.
Perché le bande sono una realtà di incontro e di passione per la musica alla portata di tutti e questo, spesso, viene sottovalutato.

Perciò complimenti a tutti coloro che, in qualsiasi forma, hanno contribuito all’organizzazione e alla riuscita di questa spettacolare kermesse!

Bruna Verderio e Giovanni Guzzi, ottobre 2016
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