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L'eco di Giotto a Milano



Missione compiuta: ritrovata l'antica chiesa perduta

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L'ECO DI GIOTTO A MILANO

Missione compiuta: ritrovata l'antica chiesa perduta


Tempo fa un lettore, in concomitanza con la mostra “Giotto l’Italia”, a Palazzo Reale ha scritto a L’Eclettico:

“C’è una "cosa" che vorrei la interessasse…

È chiaro che i saggi dell'arte, ufficiali e non, tutte queste cose le sanno, e meglio di me; allora le domande sono:
1 Perché non ne hanno parlato in occasione della mostra?
2 Gli affreschi non ci sono mai stati e allora io sono matto?
3 Non ci sono più. E allora quando sono scomparsi? In passato, e le notizie sono solo storiche e letterarie? O in epoca moderna?
4 Ci sono, ma sono impresentabili, soprattutto in occasione della mostra?
4.1 Perché allora non li hanno restaurati ? Vogliamo che non si potessero trovare i soldi tra un'abbuffata etnica e l'altra della Fiera del "food" (EXPO 2015 – ndr).
4.2 O, infine, sono impresentabili e irrestaurabili?
Ci vorrebbe un giornalista d'inchiesta, se l’argomento le interessa e ne saprà qualcosa mi tenga informato.”

Pierluigi Raule, Milano

Archiviata la richiesta, che ovviamente ci ha incuriositi ed in relazione alla quale ci riservavamo di attivarci interessando conoscenti che sappiamo competenti in materia di arte, storia ed architettura della città di Milano, quasi guidati da una “mano provvidenziale” proprio poco dopo aver ricevuto queste richieste siamo inaspettatamente capitati proprio a proposito nel luogo dal quale abbiamo poi scoperto che altri, ben più qualificati di noi, sono stati allontanati.

Ma riprendiamo il racconto con ordine.
Brera, sabato 12 marzo, ore 11, abbiamo in programma di seguire una delle ottime visite guidate che i Servizi Educativi della Pinacoteca offrono ai propri visitatori.
Per sfruttare al meglio il tempo, arriviamo sul posto con buon anticipo: prima di salire in Pinacoteca contiamo infatti di recarci nella sala Teresiana dell’adiacente Biblioteca Braidense per vedere alcuni suoi fondi temporaneamente esposti al pubblico.
Riusciamo ad incrociarne appena qualcuno (sono bellissimi!) prima che un’incaricata ci allontani, anche se non c’è nessuno: “La visita non comincerà prima delle 10.30, prego ripassare!”.

Tuttavia a volte capita che un diniego diventi un’opportunità, e questa è una di quelle volte. Così, tornando nei corridoi dell’Accademia, scopriamo che le aule, generalmente chiuse, sono aperte per l’Open Day ed animate da un continuo “va e vieni” di possibili futuri allievi.
Approfittando della circostanza intrufoliamo anche il nostro “naso curioso” in un paio di laboratori di scultura e nelle aule adiacenti lo studio di Hayez, purtroppo al momento chiuso. Uscendo da queste ultime, notiamo sulla parete di fronte la targa: “aula di Scenografia”. “Andiamo un po’ a vedere dove ha studiato la Stefania…”, pensiamo e, subito dopo, leggiamo un’ulteriore indicazione: “ex chiesa di Santa Maria in Brera”. “Ah, eccola dunque!” esclamiamo ricordando il quesito posto dal lettore.

Entriamo con circospezione, sono in corso delle presentazioni e ci sembra di essere fuori posto... ci guardiamo attorno… pareti posticce suddividono lo spazio in due aule. Svoltando in quella di destra, fra modellini di scene teatrali, maschere appese al muro, armadi, tavoli e materiali vari… ecco due arche marmoree appoggiate alla parete settentrionale e colonne con base ad anelli e sormontate da capitelli ornati da volti umani alternati a figure di leoni ed uccelli dal lungo becco arcuato e con le ali dispiegate.
Spostandoci nell’aula di sinistra sono ben visibili affreschi con figure di santi dipinti nel sottarco che si attraversa per accedere ad un’ingombra navata nord nella quale altri resti di affreschi sopravvivono su alcune vele del soffitto.
Ci sembra di capire che il presbiterio fosse sulla parete est mentre quella meridionale presenta mattoni a vista (saranno originali?) ed altri marmi. Ancora notiamo nella muratura nicchie con archi a tutto sesto nelle quali sono inscritte coppie o loro multipli di archetti a sesto acuto o trilobati e, fra gli uni e gli altri, decorazioni murali fra le quali risalta l’impresa visconteo-sforzesca del sole radiante (la cosiddetta “razza”).
Meno ricca di "sopravvivenze", ma anch'essa chiaramente appartenente all'antica chiesa, è l'adiacente aula in cui sono conservati gessi ridotti a mal partito da inequivocabili testimonianze dell'"intelligenza" di studenti (?!) troppo politicizzati. Nonostante la sua architettura sia in prevalenza neoclassica con volte a botte, all'occhio attento non sfuggono infatti le nervature con costoloni dipinti di una volta gotica che facciamo notare ad un'addetta che negava quanto le stavamo illustrando.
Successivamente ci è stato riferito che il buon Daverio aveva cercato di filmare questi interni durante la bella puntata dedicata a Brera ed ai suoi istituti di un suo noto programma televisivo. Ma era stato scacciato in malo modo dai docenti ed intimato a non fare riprese: perciò anche lui si è dovuto accontentare di recuperare su commissione alcuni scatti di macchina fotografica.
Vicenda che un amico ha commentato come segue: “L'Accademia di Belle Arti ha lasciato andare a scatafascio tutto ed, evidentemente, si vergogna di far trapelare lo stato disastroso in cui versano monumenti e spazi dati in gestione. Anche se... qualcosina sta adesso migliorando: gessi finalmente restaurati, e qualche iniziativa in più per condividere col pubblico le opere d'arte del proprio patrimonio”.
In proposito un cortese assistente dell’Accademia ci informa dell’esistenza di un progetto di valorizzazione e restauro di questo ambiente. Ci si augura possa essere presto avviato e rapidamente portato a termine. Magari un deciso impulso in questo senso potrà venire dalla nuova Presidenza di recente nomina?

Soddisfatta in questo modo la principale curiosità del lettore, procediamo quindi a completare l’opera. Mai appassionati alle date, ne riconosciamo tuttavia l’importanza in ambito storico, specialmente quando ci è chiesto di rispondere a quesiti quali quelli posti in apertura. Dunque, prima di proporre qualsiasi altra argomentazione, è utile riordinare un poco la cronologia degli artisti citati.

Il periodo milanese di Giotto (1267-1337) è ipotizzabile o nella prima metà del 1335, o nel corso del 1336. Proprio alla vigilia della morte, l’8 gennaio dell’anno seguente. Quindi posteriore agli affreschi nella Cappella degli Scrovegni, completati fra il 1303 e il 1305.
Della presenza a Milano di Giusto de’ Menabuoi, pittore di origine fiorentina (Firenze, notizie 1363 - Padova prima del 1391), abbiamo notizie certe grazie alle sue opere firmate e datate: la Madonna Schiff (oggi a Pisa al Museo Nazionale e Civico di S. Matteo), certamente parte centrale di un polittico eseguito nel 1363 per suor Isotta Terzaghi, appartenente ad una ricca famiglia di mercanti milanesi, ed il cosiddetto “altarolo” (foto a lato), Trittico dell'Incoronazione della Vergine (ora alla National Gallery di Londra), un piccolo tabernacolo risalente al 1367 ed ultimo suo lavoro milanese noto, come attesta un’iscrizione sullo scomparto centrale: «Justus pinxit in Mediol[ano]».
Se ne è accertata la morte prima del maggio 1391, invece la sua nascita è ipotizzata attorno al 1320, o dopo. Risulta documentata la sua presenza a Padova nel 1370 (data di costruzione della chiesa degli Eremitani nella quale affrescò la cappella della famiglia Cortellieri) mentre gli affreschi nel battistero accanto alla Cattedrale cittadina sono del 1375-78.

Con queste precisazioni cominciamo ad escludere la coesistenza-collaborazione a Padova fra i due artisti suggerita dal lettore. Se anche per quella presunta a Milano forse Giusto de' Menabuoi era un po’ troppo giovane, resta il fatto che a Giotto, come ascendente della sua pittura, rimandano sia la scuola che ne riconosce i riferimenti iconografici nel Giotto "padovano", sia quella che lo colloca fra i cosiddetti "dissidenti giotteschi", un gruppo di artisti fiorentini attivi a Milano, dove si erano trasferiti per fuggire la peste nera di Firenze del 1348.

Proprio nel milanese, in effetti, si è voluto vedere l'inizio dell'attività di Giusto de' Menabuoi: più precisamente nel tiburio dell'abbazia dei Santi Pietro e Paolo in Viboldone, presso San Giuliano Milanese, sulle tre pareti dove sono raffigurati il Giudizio universale e gli apostoli. Solitamente datate al 1349 - anno che si legge sotto la grande lunetta, sulla quarta parete, con la Madonna in trono e santi, che è però di altra mano -, le pitture potrebbero meglio collocarsi più avanti, nel corso del sesto decennio. Soprattutto nella scena del Giudizio è comunque evidente il modello giottesco della cappella padovana dell'Arena.
Cronologicamente potrebbero seguire gli affreschi, molto rovinati, della prima campata sinistra della stessa chiesa, che sono il precedente più vicino alle Storie della Genesi nella cupola del battistero padovano.

Questi dipinti, insieme alla Madonna Schiff e all'altarolo di Londra sopra citati, attestano dunque una lunga presenza di Giusto de’ Menabuoi a Milano nel settimo decennio del Trecento, probabilmente preceduta da uno o più soggiorni in terra veneta, e cioè a Padova e, forse, a Venezia.
Un’attività milanese legata, come si è visto, alla committenza degli Umiliati: una congregazione monastica formata da monaci, monache e laici che conducevano vita di preghiera e di lavoro attorno alle proprie chiese.

In Lombardia gli Umiliati avevano diverse proprietà. Fra queste, oltre al citato complesso di Viboldone (fondato nel 1176 e da loro completato nel 1348), in questa sede ci interessa ricordare un altro loro convento menzionato per la prima volta proprio nella bolla con cui nel 1201 il Papa approvava la regola del movimento. Dalle campagne a sud della città ci spostiamo dunque in centro, al Palazzo dove hanno sede la Pinacoteca e l'Accademia di Belle Arti e che deve il suo nome, Brera, al termine di origine germanico-longobarda "braida" indicante un prato, uno spiazzo erboso.
Nel 1201, infatti, questo luogo oggi così rinomato era una bera o braida, ovverosia un terreno incolto, un’ortaglia ai confini cittadini di proprietà di un tale Algiso Guercio che lo donò all’Ordine degli Umiliati e sul quale essi costruirono un proprio convento.
Naturalmente non vi poteva mancare una chiesa: Santa Maria in Brera, di cui sopra abbiamo scritto come l’abbiamo “scoperta”.

Da fonti bibliografiche abbiamo appreso che era sviluppata su una pianta rettangolare, priva di transetto e terminante in tre vani absidali quadrati corrispondenti alla ripartizione interna in tre navate: intervallate da eleganti colonne in serizzo, con basi modulate ad anelli e capitelli ascrivibili alla scultura lombarda del tardo Duecento per il repertorio figurativo a decorazioni zoomorfe.
Le navate laterali contavano undici campate ciascuna ed al di sopra dell'ultima campata orientale si innalzava la torre campanaria, oggi sede dell’Osservatorio Astronomico di Brera.
Nel 1346 Giovanni di Balduccio (Pisa, ca. 1300 - 1349), allievo di Giovanni Pisano (Siena, ca. 1248 - dopo il 1314, forse 1320), venne chiamato da Pisa per lavorare al rifacimento della facciata.
La comune appartenenza all'ordine degli Umiliati e la notevole affinità di elementi strutturali e decorativi di Santa Maria di Brera con San Pietro a Viboldone suffragano con buone ragioni la convinzione che questi affreschi milanesi siano stati dipinti nel 1348 e da considerare, molto probabilmente, la prima opera lombarda di Giusto de’ Menabuoi.
Stando alla ricostruzione prevalente, dunque, sono suoi gli otto Santi della Chiesa milanese che abbiamo visto raffigurati entro spazi polilobati nel sottarco della campata antistante la cappella sinistra del presbiterio. Questi dipinti presentano, infatti, alcuni degli elementi distintivi della sua “prima maniera”: come la considerevole ricerca di effetti tridimensionali e una tavolozza molto ricca e caratterizzata dalla predilezione per le tonalità chiare, sua vera e propria cifra ricorrente almeno fino alla decorazione del battistero di Padova.

Lasciando a questo punto la pista giottesca milanese (ripresa con ulteriori ricerche in Sulle tracce di Giotto e dei suoi seguaci in Milano e dintorni. Nel contesto storico della Signoria dei Visconti), è il caso di ricordare che in questa chiesa, nel 1485, Vincenzo Foppa realizza la cosiddetta Madonna del tappeto, affresco strappato (tecnica diversa dallo "stacco", più invasiva per le architetture, comportando la rimozione della muratura, ma che garantisce una migliore conservazione dell'opera), riportato su tela ed oggi conservato nelle collezioni della Pinacoteca di Brera. Vi sono raffigurati la Vergine con Bambino affacciati ad un parapetto da cui pende un tappeto a motivi geometrici vivacemente colorato ed è inquadrata in un arco monumentale con volta a marmi policromi che suggeriscono lacunari, al di fuori del quale stanno i santi  Giovanni Battista ed Evangelista.
L'importanza data all'architettura, e la sua rappresentazione "da sotto in su", è forse legata alla originaria collocazione dell'opera: sopra la porta della sacrestia della chiesa (locale dove nel 1884 risulta si trovasse la scuola di prospettiva dell'Accademia). Inizialmente attribuita a Bramantino, è stata a lungo considerata l'esempio più evidente di ripresa di motivi bramanteschi mentre oggi si ritiene di leggervi un più chiaro riferimento alle architetture di Leon Battista Alberti: in particolare all'arco trionfale del vestibolo (ingresso laterale) della basilica di Sant'Andrea a Mantova di cui sembra una libera elaborazione.
Dal portale www.artericerca.com apprendiamo altre informazioni sull'antica chiesa. Dell'affresco, in un ambiente dell’Accademia di Brera che dobbiamo ancora individuare, esiste tuttora la sinopia. Un recente restauro al quale è stata sottoposta ha permesso di scoprire che ha dimensioni leggermente maggiori rispetto all'affresco. Risulta infatti "staccata a massello e dunque la sua attuale collocazione non è quella originaria, ma risale alla ricostruzione di Santa Maria di Brera attuata dal Richini intorno al 1690. Sotto alla cornice in stucco che la racchiude sono emersi brani di affresco originale; un particolare di essi - una sorta di panno appeso al parapetto - farebbe pensare che l’affresco ornasse in origine la cappella della Vergine, dove si custodiva la reliquia della fascia usata dalla Madonna per portare il Bambino durante la fuga in Egitto".

La Pinacoteca di Brera custodisce anche altre tele ed affreschi che ornavano l'interno di Santa Maria in Brera, opere ancora di Foppa oltre che di Bernardino Luini, Bernardino Zenale e Bartolomeo Suardi (il Bramantino).
Fra le queste, parte dell’apparato pittorico dell’altare della famiglia Busti o, secondo altri, della famiglia Tonsi, originaria di Pisa e trapiantata a Milano alla fine del Trecento.
Poiché nella chiesa non c'erano cappelle, gli altari erano addossati direttamente alle pareti, ed in corrispondenza del primo di sinistra, secondo la testimonianza di Lomazzo, Vincenzo Foppa affrescò il San Sebastiano, un San Rocco (disperso) ed una composizione centrale perduta sulla quale, probabilmente perché compromessa dall’umidità, nel 1521 intervenne Bernardino Luini sovrapponendovi una sua Madonna col Bambino, Sant'Antonio Abate, Santa Barbara e angelo musicante.
Sull’altare, sempre di Bernardino Luini, era collocata una pala firmata e datata 1515, raffigurante la Madonna col Bambino santi e donatori. Quest’ultima (forse nei depositi, perché nella collezione permanente non l'abbiamo vista) ed il San Sebastiano sono a Brera.

L’affresco di Luini è invece in deposito nel Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.
Tempo addietro la configurazione originaria col Padreterno soprastante era stata riproposta in un allestimento (documentato nella foto a lato) che vedeva i due affreschi posizionati sulla parete di una sala del museo secondo la loro corretta relazione.
Purtroppo attualmente le opere non sono più esposte stabilmente al pubblico per ragioni di sicurezza.
Ci è stato però assicurato che si sta valutando quali soluzioni adottare per il futuro in modo da restituirlo alla vista dei visitatori. Intanto, dal luglio 2018, questi affreschi, assieme ad altri sempre da Santa Maria in Brera ed anche dall'Incoronata di Corso Garibaldi e da altre chiese di Milano e dintorni, fanno da cornice (ma per noi sono l'elemento di maggior richiamo ed interesse) a Leonardo Parade, esposizione temporanea dei modelli di macchine ed invenzioni leonardesche che perdurerà fino al 13 ottobre 2019. L'auspicio è che il Museo trovi il modo di esporli in forma permanente.

I trasferimenti di dipinti descritti affondano le proprie radici al tempo della Controriforma: il 7 febbraio 1571, con una bolla di papa Pio V, l’Ordine degli Umiliati venne soppresso e, nel 1572, nel complesso di Brera subentrano i Gesuiti, incaricati dal Cardinale Carlo Borromeo, allora Arcivescovo di Milano, di istituirvi una scuola di istruzione superiore per il clero e la nobiltà.
In questo stesso anno comincia quindi la ristrutturazione dell’edificio ad opera di Francesco Maria Richini che lo porta ad assumere l’attuale assetto solido e austero.
All’interno della chiesa, invece, l’unico intervento certo fu all’inizio del Settecento ed interessò l’altare maggiore, che venne rinnovato.

Nonostante i Gesuiti avessero creato a Brera una grande scuola umanistica che raggiunse apici di considerazione nel mondo della cultura e nella quale si insegnavano il latino, la retorica, la filosofia, la teologia, ma anche le scienze e l’astronomia, nel 1773 la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti, decisa da papa Clemente XIV, costrinse i padri ad andarsene.
Al momento non ci è chiaro se Santa Maria in Brera venne sconsacrata già in questo momento o, qualche anno dopo, alla fondazione della Repubblica Cisalpina (nel 1797). Altre fonti indicano che questo avvenne nel 1806.
In ogni caso siamo in piena epoca napoleonica, col Bonaparte appena incoronato Re d’Italia nel Duomo di Milano (26 maggio 1805) con la “corona ferrea”, portata da Monza per l'occasione, e rivestito del Manto Reale verde e argento oggi custodito al Museo del Risorgimento, dove è visibile assieme ad altri cimeli dell'Incoronazione come la "Mano della Giustizia" in avorio innestata sul bastone di bronzo, la Corona reale e lo Scettro sovrastato del leone di San Marco armato di spada. Il tutto sotto la nuova illuminazione della vetrina con luci a led di intensità pari a 50 lux che, ci ha spiegato la Conservatrice, dott.ssa De Palma, sono "più idonee per la conservazione della seta del manto".

Sta di fatto che l’antica chiesa contigua al Palazzo delle Arti e delle Scienze (che in questi anni conserva ancora la facciata gotica in stile pisano) funge da magazzino e punto di scalo per le opere requisite dai francesi e che vi sono temporaneamente depositate prima di essere smistare tra Parigi, Bologna e Milano.
Al suo interno affluiscono infatti pale d’altare di chiese e conventi sgomberati da Emilia-Romagna, Bergamasca e Veneto. Quelle che non sono state ancora caricate su carri militari e spedite attraverso la nuova strada del San Gottardo fino al Louvre, continuano ad aumentare in prospettiva del nuovo museo che proprio in quegli anni stava prendendo forma : la Pinacoteca di Brera.

È dunque questo il contesto storico-politico nel quale, nel 1808, si decise di suddividere lo spazio verticale di Santa Maria di Brera con un tramezzo in modo da potervi ricavare nuove sale in cui esporre il bottino di guerra dell’Empereur per la gioia del popolino di Milano capitale.
La progettazione è affidata all'architetto Pietro Gilardoni che fa montare all’interno delle navate della chiesa duecentesca un soppalco per ricavarvi un secondo piano di calpestio.
Mentre al pianterreno della vecchia chiesa trova sede il nascente Museo di Antichità Lombarde (cioè i calchi in gesso e le sculture), il primo piano così ottenuto viene destinato ad accogliere la nuova Galleria dei Quadri.
I lavori si protrassero fino all'anno successivo ed i quattro grandi ambienti colonnati che conosciamo come “Sale Napoleoniche” - dominati dal grande gesso di Napoleone come Marte pacificatore, realizzato da Antonio Canova - vennero inaugurati il 15 agosto 1809 in onore del compimento del quarantesimo anno di vita di Napoleone.
L'evento però fu solo temporaneo; l'effettiva apertura della galleria delle statue e delle pitture sarebbe avvenuta solo il 20 aprile 1810.

A "pagare" il prezzo più caro dell'operazione è la splendida facciata trecentesca, unico esempio a Milano di gotico pisano, che sorgeva sul lato orientale dell’odierna “piazzetta” di Brera.
Per uniformare le altezze, l’architetto Gilardoni, fa infatti scoperchiare il tetto della vecchia chiesa per rialzare gli archi rampanti sopra le navate laterali ed i pilastri di sostegno del vecchio tetto (i bombardamenti inglesi della seconda guerra mondiale, rimetteranno a nudo le tracce di interventi alla muratura) e ne fa demolire la facciata per sostituirla con l’anonimo fronte finestrato che oggi incombe alle spalle della statua di Francesco Hayez realizzata nel 1890 da Francesco Barzaghi.

Approfittando della cortesia del personale di portineria del condominio che si affaccia sulla piazzetta, varcatane la possente recinzione, subito dietro l'angolo della facciata dell'edificio di Brera si riesce ancora a vedere, nella parte bassa della muratura, una pur minima superficie dell'originale rivestimento policromo a fasce alterne bianche e nere.

Proseguendo lungo lo stesso muro perimetrale siamo riusciti a "scovare" ancora altre tracce di affreschi: nella decorazione della fascia interna di piccole finestre circolari e, più in fondo, in quel che resta di due vele parzialmente murate con mattoni collocati approssimativamente (un lavoro che ci ricorda la qualità degli edifici realizzati dall'architetto egizio Numerobis che chiede l'aiuto dei Galli in Asterix e Cleopatra).
Ancora non ci è chiaro se queste ultime corrispondessero al transetto, ad una cappella o ad una navata laterale: indagheremo.

Al distruttivo intervento sopra descritto prese parte anche l’architetto Luigi Canonica che, nella sua qualità di membro della Commissione d’Ornato, ebbe la possibilità di recuperare dal cantiere parte del materiale scultoreo di spoglio che riutilizzò in due suoi progetti realizzati entro il primo decennio del XIX secolo: nella Torre gotica di Villa Tittoni Traversi a Desio e negli apparati decorativi della Cascina San Fedele del Parco Reale di Monza (su un’altura poco a est della Scuola Agraria).

Nella graziosa facciata di quest’ultima (foto sopra), il cui avancorpo principale è rivestito con marmi bitonali bruni e grigi, le finestre, ogivali, sono arricchite da bifore recuperate della demolita Chiesa di Santa Maria in Brera e ricomposte in gusto neogotico.

Alcune parti del portale di Santa Maria in Brera sono state ricollocate nel Museo d'arte antica del Castello Sforzesco di Milano, dove ancora oggi sono visibili assieme a bassorilievi e sculture della facciata in fondo al primo salone di ingresso attorno all’unica sua raffigurazione finora nota: un'incisione settecentesca di Giorgio Giulini.
Purtroppo si tratta proprio di pochi resti dell’arco e dei pilastrini basali del suo lato sinistro.
Di due dei tre pannelli centrali sopra l’architrave con scolpiti a bassorilievo sant’Agostino (a sinistra) e san Gregorio (a destra) dei quali si leggono i nomi in alto, assieme a quello di chi li ha scolpiti: Giovanni di Balduccio.
Di un angelo e della coppia “angelo annunciante ed Annunciata” che coronavano l’ingresso.

Aspetto accostabile a quello della vecchia chiesa lo ha, infine, la parrocchiale di Bellano, sul lago di Como, dedicata ai santi Nazaro e Celso.
Di antica fondazione (con tracce del V sec, notizie del X sec e prime certezze del XIII sec) deve la sua conformazione attuale, con la decorazione a liste orizzontali bianche e nere, a Giovanni da Campione (Campione d'Italia, ca. 1320 - ca. 1375) Antonio da Castellazzo e Comolo da Osteno - omnes tres magistri de muro et de lignamine – artefici della sua riedificazione ed ampliamento voluti, dopo che era stata danneggiata da un’alluvione, dai Visconti nel XIV secolo, e precisamente nel 1348, un anno dopo Santa Maria in Brera.

A conclusione di questa indagine si può perciò affermare che, per quanto sia stata del tutto inglobata all'interno del palazzo di Brera, a partire dalle sue strutture originarie che sono ancora visibili e si possono ancora individuare (alcune campate di fondo, parte del presbiterio e la base del campanile) e ricomponendo su di esse i suoi vari frammenti sopravvissuti in posto o conservati a poca distanza da dove sorgeva, chi è dotato di fantasia potrà trovare soddisfazione nel ricostruire nella propria mente la perduta chiesa di Santa Maria in Brera.

Giovanni Guzzi, settembre 2016
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CREDITI FOTOGRAFIE TUTELATE DA DIRITTO D'AUTORE

Madonna con Bambino, sant'Antonio Abate, Santa Barbara e angelo musicante: ©2012 Alessandro Nassiri | Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci