L'Eclettico



Scene da un matrimonio: Raffaello, Perugino (e il terzo incomodo)



L’allievo sfida e supera il maestro nello Sposalizio della Vergine

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SCENE DA UN MATRIMONIO

Raffaello, Perugino (e il terzo incomodo)


Nel “vivere” le opere d’arte – specialmente nel campo delle arti figurative – ci capita spesso di renderci conto della grandezza di un artista solo nel momento in cui lo contestualizziamo nel suo tempo e lo paragoniamo con la produzione dei suoi contemporanei. Diversamente i capolavori dei geni sono talmente eccezionali da sembrare del tutto normali, da far pensare che non ci voglia nulla a realizzarne di analoghi e che chiunque sarebbe in grado di farlo.
Fra gli infinti esempi che potremmo proporre sul tema uno di essi può diventare esperienza concreta per i lettori che vorranno andare a Brera ad ammirare lo Sposalizio della Vergine nelle due versioni dipinte rispettivamente nel 1503 da Pietro Perugino e, nel 1504, dal suo allievo, l'allora ventunenne Raffaello.

Triste quel maestro che non è superato dall’allievo”, se ben ricordiamo quest’affermazione appartiene a Leonardo da Vinci, che fu profeta di tristezza per sé stesso. Perugino invece, stando a quanto abbiamo sotto gli occhi, “se la ride” di gusto! Al punto che una visitatrice accanto a noi esclama: “Povero Perugino, con questa mostra non gli hanno fatto un bel servizio”. Con tutto ciò l’opera di Perugino è tutt’altro che meritevole di disprezzo e, vedendola da sola, non c’è chi non la definirebbe un gran bel dipinto.

La storia della sua commissione risale all’arrivo a Perugia, nel 1473, di una reliquia pregiata: l’anello nuziale della Madonna (un cerchietto di calcedonio che la tradizione dice essere stato consegnato dalla Madonna all’apostolo Giovanni)!
A portarlo in città fu il frate Vinterio di Magonza che l’aveva sottratto ai confratelli di Chiusi. Nonostante successive dispute sulla proprietà che si trascinarono per decenni, questi non lo riebbero più indietro perché il papa Innocenzo VIII lo assegnò definitivamente a Perugia nel 1499.
Si pensò allora di dargli degna collocazione dedicandogli, nella cattedrale cittadina, la cappella già “proprietà” di san Bernardino (sulla storia dell’anello leggi di più >>>).
Per completare il lavoro occorreva una pala d’altare e questa venne commissionata a Pietro Perugino: uno dei più affermati pittori del tempo e che nel decennio precedente aveva partecipato alla realizzazione degli affreschi sulle pareti della Cappella Sistina in Vaticano.
Da uno di questi, Consegna della chiavi a Pietro, Perugino “recupera” la forma del tempio, con i due archi delle “appendici” laterali, l’ambientazione all’aperto ed il gesto di Gesù che consegna le chiavi per quello di Giuseppe che infila l’anello al dito di Maria.

Con le spoliazioni napoleoniche il dipinto venne sottratto a Perugia per essere portato al Louvre dove, tuttavia, non rimase e venne “dirottato” al Musée des beaux arts di Caen.
Analoga sorte toccò allo Sposalizio di Raffaello che però non arrivò fino in Francia ma si fermò a Milano dove ora, due secoli dopo aver lasciato il Centro Italia, maestro ed allievo si ritrovano l’uno vicino all’altro rendendo possibile dal vero un raffronto altrimenti limitato alle immagini stampate sui libri o a quelle digitali: che sono tutta un’altra cosa.

Infatti, alcuni anni fa, un’operazione analoga fu tentata proiettando sulla parete di fronte allo Sposalizio di Raffaello una successione di immagini che ne mostravano i presupposti artistici, inclusa la pala di Perugino.
Lodevole iniziativa, anche per la scelta della musica diffusa come sottofondo: eccellente e coerente col periodo.
Attenzione apprezzabile e da non dare per mai scontata: ricordiamo ancora più che come una sciocchezza come una vera follia la “famigerata” britannica Greensleeves riproposta a ciclo continuo da postazioni pc nel percorso di Palazzo Ducale a Venezia!
Nel caso dell'installazione di Brera il risultato fu però comunque paradossale e molto divertente da osservare come studio sul comportamento umano. Infatti l’attenzione dei visitatori, non appena entravano nella sala, veniva subito catturata dai suoni e dalle immagini proiettate ed in movimento del confronto virtuale.
Così vi stazionavano per un qualche tempo soffermandosi a guardarle a naso in su… ma dando le spalle al capolavoro originale! Che alla fine non degnavano d’uno sguardo perché, una volta stanchi del video, passavano direttamente oltre dirigendosi verso la sala successiva.
Occorre essere molto prudenti e stare sempre sull’avviso per non cadere in simili insidie, che si nascondono in ogni allestimento tecnologico. Non è fortunatamente il caso del raffronto che stiamo descrivendo. E non usiamo deliberatamente il vocabolo “dialogo” che comincia a diventare troppo abusato al punto da risultare fastidioso.

Torniamo allora a Raffaello che, proprio negli stessi anni in cui Perugino lavora per Perugia, riceve da Filippo Albizzini un analogo incarico per la cappella dedicata a San Giuseppe nella chiesa di San Francesco a Città di Castello.
È chiarissimo che deliberatamente si pone in competizione col maestro facendo preciso riferimento alla sua composizione ma rielaborandola con grande personalità. Consapevole di averlo superato di slancio ostenta la sua firma sul punto più visibile del tempio e vi appone la data di consegna: il 1504, quando aveva soltanto 21 anni e segnava in questo modo la sua raggiunta maturità artistica.

Vasari, confrontando i due dipinti, parla di passaggio “dalla maniera secca alla maniera moderna” ed afferma che alle figure di Raffaello “mancavano solo il moto e il fiato”.

Come si diceva in principio, il confronto aiuta a capire quali sono i sottili dettagli che permettono di trasformare in un capolavoro un bel dipinto dai colori vivaci, di ottima fattura e dall’impostazione originale ed innovativa.

Raffaello infatti affina Perugino sotto diversi profili. Ne ammorbidisce i colori e semplifica l’abbigliamento dei personaggi, soprattutto nei copricapi maschili, non più così ricchi e di foggia elegante e ricercata.
Cambiano anche altri dettagli come la cima fiorita del bastone di Giuseppe, che non sporge più sopra la sua testa ma quasi si confonde sullo sfondo degli abiti dei pretendenti.
Scompaiono gli alberi più grandi ai lati del tempio e resta solo la vegetazione, molto più distante nella valle. Allo stesso modo vengono rimpiccioliti e compattati fra loro i personaggi in secondo piano.
Sparisce l’uomo pensieroso seduto sui gradini del tempio e l’altro semisvestito accanto ad un pretendente che cerca di spezzare sul ginocchio il suo ramo. In compenso compare un mendicante che riceve l’elemosina nel cappello da un altro gruppo di persone. Ovviamente non ci azzardiamo ad ipotizzare alcun significato per queste scelte limitandoci ad osservarne l’effetto pittorico.
Il tempio viene allontanato dalle figure in primo piano, la sua rappresentazione per intero, la forma più regolare (senza le appendici laterali), il maggiore numero di gradini e le linee radiali della pavimentazione contribuiscono a dare maggior respiro a tutto l’insieme rispetto alla versione di Perugino che risulta compressa e schiacciata.
Senza poi ripetere quanto scrivono tutti sulla disposizione del gruppo di personaggi in primo piano, ci limitiamo ad osservare che la più evidente marcatura della differenza abissale fra le due prove è data dal modo di trattare il sacerdote che celebra il matrimonio. Se i tratti del suo volto sono pressoché identici, a cambiare radicalmente sono il volume del corpo, reso da Raffaello inclinandone la linea delle spalle, ad assecondare la sua semi-rotazione verso Maria, ed il capo inclinato.
Il risultato è che se in Perugino vediamo una figura rigida e piatta ritta al centro del dipinto, in Raffaello la si percepisce animata da un movimento che è proprio anche di tutte le altre figure che le stanno attorno.

Forse il “tocco” in più che resta a Perugino è la mano di Maria appoggiata sul grembo dall’evidente significato simbolico… che ad un piccolo visitatore fa chiedere ai genitori se Maria ha “mal di pancia”!

Infine, vedendo la maggior parte dei visitatori intenti a scattare fotografie viene in mente che, all’epoca di questi artisti che stiamo ammirando, non avevano le fotocamere per fissare il lavoro dei contemporanei e svilupparlo come ha fatto Raffaello col modello del suo maestro.
Questo fa pensare che, sarà pur vero che la tecnologia rende possibili operazioni che altrimenti non si potrebbero condurre, però è altrettanto vero che le difficoltà aguzzano l’ingegno e fanno emergere i veri talenti.

Completa questa bella mini-mostra (non occorre accumulare centinaia di opere per offrire un serio servizio culturale) il dipinto che ha “risarcito” Perugia per la sottrazione del suo “Sposalizio”. È, ovviamente, un’ulteriore versione dello Sposalizio della Vergine Maria, opera del 1822 di Jean Baptiste Wicar (1762 Lille – 1834 Roma) pittore incaricato di sovrintendere il sequestro delle opere d’arte durante le dominazioni napoleoniche in Italia (e prima anche in Olanda).
Ancora oggi questo dipinto si trova nel Duomo di San Lorenzo.

Piena espressione dello stile neoclassico, come stretto legame con gli altri due dipinti in mostra mantiene la fisionomia del sacerdote che benedice gli sposi adornati da coroncine di fiori intrecciati in testa: il suo naso è proprio sempre lo stesso!
Dietro la tenda scostata da un altro sacerdote - che lascia intravedere una Menorah, il candelabro a 7 bracci della tradizione ebraica – si notano poi quattro grandi colonne tortili: senza alcun dubbio sono un diretto riferimento alle colonne in bronzo del baldacchino di Bernini nella basilica di San Pietro.
Richiamata anche dall’architettura sullo sfondo, è testimonianza del soggiorno romano dell’autore e della sua ammirazione per le opere d’arte (fortunatamente non “asportabili”) che vi si trovavano.

Giovanni Guzzi, aprile 2016
© Riproduzione riservata

 

APPENDICE

Per un approfondimento sul dipinto e sulle sue vicissitudini, inserite nel contesto della storia della Pinacoteca di Brera, si suggerisce la lettura di "Da un quadro di Raffaello" - Guido Codecasa, 2016 - n. 1 de "I Quaderni de L'Eclettico" leggi di più >>>.