L'Eclettico



Brera ascolta? E allora io parlo



Osservazioni su arredi e soluzioni di accompagnamento alla visita

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

BRERA ASCOLTA? E ALLORA IO PARLO

Osservazioni su arredi e soluzioni di accompagnamento alla visita


È sincera la volontà di avvicinare il pubblico, specialmente dei Milanesi, alla Pinacoteca di Brera, in più occasioni dichiarata dal suo nuovo Direttore Generale, James Bradburne?
Da quanto stiamo vedendo in questi primi mesi della sua attività sembrerebbe di sì. Lo comprova l’altrettanto ribadita sua disponibilità all’ascolto. Quest’ultima concretizzata anche in un’apposita sezione del nuovo sito che, per l’appunto, si chiama Brera Ascolta e nella quale sono proposti semplici sondaggi sul gradimento delle novità via via proposte, espressamente pensate per essere reversibili e quindi anche modificabili sulla base delle risposte dei visitatori.
Anche noi l’abbiamo dunque preso in parola e, siccome i questionari ci stanno però “un po’ stretti”, dopo averlo fatto in altre pagine de L’Eclettico con riferimento alle opere d’arte (A Brera come in casa mia, Chi ci guadagna?, ed altri) rispondiamo all’invito del Direttore Bradburne, offrendo alla riflessione sua e dei nostri lettori, un’analitica disamina anche su alcune novità di arredo ed accompagnamento alla visita che sono state introdotte in Pinacoteca contestualmente al rinnovo delle sue sale (dalla XX alla XXIII) dedicate alla pittura del Rinascimento in Emilia-Romagna e nelle Marche.
Le presentiamo nell’ordine in cui rispettivamente hanno più colpito la nostra attenzione.


I DISTANZIATORI

Proviamo un sacro timore per il suono dell’allarme che si attiva quando ci si avvicina troppo ai dipinti. Altri visitatori hanno meno scrupoli per cui i distanziatori, a Brera come davanti ad ogni opera d’arte, hanno una funzione di grande importanza. Ci è stato spiegato che era stata valutata l’ipotesi di distanziatori pressoché “invisibili” ma questa opzione (che però non sappiamo come fosse) è stata scartata per ragioni sicurezza: devono essere visibili affinché non si corra il rischio che qualcuno vi inciampi.
Chi passa tanto tempo in sala ci ha anche ricordato che i distanziatori preesistenti hanno il problema di essere modulari e quindi capita che i bambini possano sollevarne il tratto orizzontale non rigidamente fissato.
Però, per questo problema, pensiamo che dovrebbero supplire la vigilanza di chi li accompagna, genitori o insegnanti, e del personale di custodia come extrema ratio.

Tutto ciò premesso la soluzione adottata non ci convince. Non sta a noi proporre un disegno alternativo però per il colore nero lucido, la forma squadrata e le dimensioni dei suoi componenti ci ricordano troppo una staccionata e perciò li troviamo troppo “impattanti” sulla sala.

Il preesistente leggero “tondino” di ferro grigio o nero riteniamo, invece, che sia ottimo ed in ogni caso che debba essere il modello dal quale partire per eventuali sue modifiche.
Questo sia per la sua “leggerezza” sia per il suo colore.
Verificando nelle altre sale (la XXVII, per esempio) non si può proprio dire che quando ci si avvicina non si veda. In compenso, da lontano, il suo grigio-nero si confonde con lo sfondo scuro dello “zoccolo” in marmo e della fascia perimetrale del pavimento a contatto con le pareti non disturbando la percezione complessiva della sala e lasciando che la vista non sia attratta dai distanziatori ma dai quadri alle sue pareti.
Per quanto riguarda la loro mobilità, alla sala XXIV sono fissi al muro.

Un altro modello, molto simile a quelli attuali di Brera ma “a prova di vivacità di bambino” l’abbiamo visto nell’esposizione della Flagellazione di Caravaggio alla Reggia Reale di Monza.
Non altrettanto efficace era stata la scelta, nella mostra Giotto L’Italia a Palazzo Reale, di posizionare davanti ai dipinti una sorta di “gradino”: grandi e piccoli lo prendevano in effetti per quello che era e vi salivano sopra per avvicinarsi meglio ai dipinti: col disappunto dei custodi che si può immaginare!


LE TABELLE DELLE DIDASCALIE

Un discorso analogo vale per le nuove tabelle delle didascalie. Il loro colore chiaro, quando le pareti della sala sono scure (come alle XX e XXI dei Ferraresi ed Emiliani) non sta bene perché le rende troppo visibili ed ai nostri occhi, chiediamo scusa per il paragone, le fa sembrare quasi dei fazzoletti appoggiati a stendere!
Sono buone, invece, quando il loro colore non spicca troppo rispetto al fondo chiaro della sala come alla XXIV.
La proposta, quindi, potrebbe essere di prevederle di colore diverso ed intonato a quello delle pareti.

Anche come posizione, se è vero che collocate proprio al centro davanti al dipinto ne rendono comoda la lettura, riteniamo che un loro spostamento un po’ più laterale non ne renderà così meno agevole la lettura ma, in compenso, sottrarrà loro almeno un poco l’eccessiva “importanza” che hanno ora.
Che attraggano l’occhio quasi più dei quadri che illustrano ce l’ha dimostrato un bambino che abbiamo visto aggrapparvisi con forza nel tentativo di rimuoverle (chissà se perché la pensava come noi): tentativo al quale hanno comunque opposto ottima resistenza, quindi sotto questo profilo hanno superato il collaudo.

Sempre la sala XXIV è invece un esempio per noi positivo anche sotto questo profilo. Ci piace il loro essere fissate non al distanziatore ma a zanche che sporgono dal muro sotto lo Sposalizio della Vergine di Raffaello.

L’ottima alternativa, sempre mutuata dalla più volte citata mostra su Giotto, sarebbe quella di scrivere le didascalie (in questo caso per ragioni di spazio evidentemente limitate a titolo, autore, provenienza e date) in grande sul pavimento.

Un loro problema generale, a quanto abbiamo sentito condiviso da molti, è purtroppo quello della illeggibilità della loro porzione verticale.

È un peccato perché sono ben fatte sia le sintetiche presentazioni in 500 caratteri sia gli spunti (in rosso) che offrono ai non esperti d’arte un aiuto ed entrare in sintonia con l’opera che si trovano a guardare.

Un utile complemento, suggerito da una visitatrice durante una visita guidata, potrebbe anche essere quello di collocare accanto alle opere riproduzioni di immagini che permettano al visitatore di fare confronti ed attivare parallelismi. O, più semplicemente, di soddisfare la propria curiosità: ad esempio proponendo fotografie di buona qualità degli scomparti mancanti accanto ai polittici incompleti perché alcuni loro pannelli sono conservati in altri musei.

Altra novità è la presenza sulle tabelle di un testo - commento letterario che offre una chiave di lettura dell’opera.
Si tratta di un’idea interessante ma molto difficile da realizzare al meglio. Per quanto sia bravo chi li scrive, è difficile dire in poche righe qualcosa di non banale o, comunque, all’altezza dell’opera che si vorrebbe commentare. Forse solo un poeta potrebbe davvero riuscirci.
Ecco, forse affideremmo l’incarico solo a poeti. Oppure lasceremmo cadere l’idea.

Ingrid Rowland, l’autrice dei nuovi testi presentati a Brera, a nostro modesto avviso e con tutto il rispetto che dobbiamo alla sua autorevolezza di studiosa d'arte e saggista, in questa prova non è riuscita ad esprimersi all’altezza del suo indubbio valore, fatta forse eccezione per il commento alla Pala Portuense.

Le preferiamo il testo di Ali Smith che, tratto da un suo racconto ispirato alla vita di Francesco Del Cossa (Ferrara 1430 – Bologna 1477), alla sala XX occupa lo spazio destinato ai suoi santi Pietro e Giovanni Battista quando rientreranno in Pinacoteca.


LUCI

Altra novità in sala è l’illuminazione. Su quel che di essa ci piace abbiamo già scritto (Chi ci guadagna?) e qui confermiamo che la maggiore oscurità complessiva nelle sale di Emiliani e Ferraresi ci piace: perché aiuta a concentrarsi sull’opera come è stato per la sopra citata mostra di Giotto a Palazzo Reale che ha suscitato molti consensi.

Fra di suoi difetti, ai quali siamo convinti che non sarà difficile porre rimedio, dobbiamo invece constatare che la posizione delle lampade, particolarmente in presenza di cornici aggettanti, ne proietta l’ombra sui dipinti.
Se in generale il problema è limitato alle porzioni più periferiche dei quadri e consiste fondamentalmente in un brutto effetto per chi li guarda, nei casi più gravi può arrivare addirittura a nascondere elemento importanti.
È il caso, nel Polittico di Valle Romita di Gentile da Fabriano, dell’ombra di una decorazione della “macchina” nella quale è incastonato, che copre il vaso “in granitura” dell’unguento che la Maddalena regge in mano in uno degli scomparti di destra.
Ad onor del vero confessiamo che questo difetto l’abbiamo notato solo perché ci è stato “suggerito”. Quel che invece avevamo verificato direttamente è il problema della visibilità della lunetta con la Pietà sopra l’Incoronazione della Vergine di Crivelli.
Se nella collocazione precedente non la si vedeva bene perché era in alto (ed è stata una felice opportunità per vederlo da vicino la mostra sulle Pietà allestita a Brera un paio di anni orsono: Giovanni Bellini - la nascita della pittura devozionale umanistica) ora la situazione è peggiorata e si fatica davvero a vederla senza riflessi.
Da vicino vi si specchiano le luci che illuminano l’intera struttura, mentre allontanandosi ci abbagliano le luci puntate sul polittico di Gentile da Fabriano appeso sulla parete adiacente.


POLTRONCINE E DIVANETTI

E, come per chi sia arrivato a leggere fin qui ed ora è magari un po’ stanco ed ha bisogno di riposo, anche chi visita una mostra o un Museo, qualunque sia la sua età, gradisce la possibilità di trovare sedie, poltroncine e divanetti… sui quali accomodarsi per riprendere fiato o, semplicemente, per fermarsi e prendersi tutto il tempo necessario ad ammirare le opere: esattamente come quando ci si siede su un molo ad ammirare il mare o in cima ad un monte a contemplare il paesaggio sottostante.

La sistematica assenza di sedute nelle mostre abbiamo il sospetto che sia voluta: per disincentivare il pubblico dal fermarsi troppo davanti ai quadri ed, al contrario, spingerlo a percorrerne le sale il più velocemente possibile per lasciare libero il posto alle folle che premono in coda davanti alle biglietterie.

Non è questo evidentemente il caso di Brera, e lo dimostra l’ulteriore novità che abbiamo scoperto dal suo sito: il nuovo modello di divanetto ideato apposta per Brera ed offerto alla sperimentazione ed al giudizio dei visitatori alla sala VIII davanti alla grandiosa Predica di San Marco in una piazza di Alessandria d’Egitto di Gentile e Giovanni Bellini.
Incontrando il Direttore James Bradburne nel suo studio, vi abbiamo con sorpresa visto appeso il dipinto al quale si è ispirato nel commissionare il nuovo arredo: Interno della Pinacoteca di Brera, opera di Angelo Ripamonti (1850-99).
Riservandoci di aggiornare il giudizio dopo che l’avremo provata, il nostro parere in proposito, che prima di apprendere dell’iniziativa appena descritta era una delle proposte che avremmo voluto suggerire al nuovo Direttore, è l’auspicio che venga sempre mantenuto il modello "Savonarola" (*) delle belle e comode poltroncine in legno che Brera attualmente offre al suo pubblico.
Magari facendone costruire di nuove per incrementarne la presenza.
Ad esempio ricollocandone anche alla sala XXII, visto che nella precedente sistemazione almeno un paio ce n’erano.

(*) La denominazione di "sedia Savonarola" è stata coniata dagli antiquari sette-ottocenteschi per identificare la sedia a X con schienale (derivante dal vecchio modello di sedia per magistrati che invece lo schienale non lo aveva).
Il frate domenicano Girolamo Savonarola era infatti solito scrivere e meditare nella sua cella seduto su una sedia di questo tipo, che ancora si conserva al convento di San Marco a Firenze: e da qui è diventata il modello di riferimento.
Discorso analogo per il termine antiquario di "sedia alla petrarchesca", anch'esso derivante dalla sedia appartenuta a Petrarca ed ancora visibile nella casa del poeta ad Arquà Petrarca.

Giovanni Guzzi, aprile 2016
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AGGIORNAMENTO SETTEMBRE 2016

Con soddisfazione abbiamo constatato che, nel secondo lotto del riallestimento della Pinacoteca (sale dalla II alla VII), alcune osservazioni fra quelle sopra proposte sono state condivise anche dalla Direzione di Brera che ha infatti apportato alcuni aggiustamenti rispetto ad alcune delle soluzioni adottate nel primo lotto della "riqualificazione" (vocabolo da chi scrive temutissimo per gli effetti spesso nefasti che sottende).

Dunque, i nuovi distanziatori sono più "discreti" e lo sono particolarmente nelle prime sale del percorso; per intenderci: quelle dei "fondi oro".

In esse ci piace il nuovo colore delle pareti che valorizza lo splendore delle cornici (quando presenti) e delle lamine preziose sulle quali, a loro volta, risaltano le figure dei personaggi rappresentati.

Per quanto riguarda invece le tabelle, queste sono state rese meglio leggibili grazie alla distribuzione della parte più lunga del testo più concentrata nella loro parte superiore rivolta verso il visitatore.

Nella loro parte verticale, più in basso, sono invece state spostate le informazioni più sintetiche e più facilmente leggibili mentre ci si avvicina alle opere: titolo del dipinto, data della sua realizzazione, tecnica adottata e provenienza. In definitiva, un "salvataggio in corner" di un evidente, riconosciuto, errore iniziale.