Nel corso di diversi anni di frequentazione assidua della Pinacoteca di Brera, sempre guidati dagli esperti e competenti operatori ed operatrici dei suoi Servizi Educativi, abbiamo appreso che, in origine, è stata pensata a servizio degli allievi dell’Accademia. Per questa ragione, nella scelta dei dipinti da esporre in permanenza e nella loro suddivisione fra le sale, i criteri seguiti sono stati (e sono tuttora) quelli cronologico e della suddivisione per “scuole geografiche” o, comunque, per ambiti territoriali omogenei.
Una scelta che, come tutte le scelte, deve fare i conti anche con altre esigenze contingenti come le dimensioni delle opere e gli spazi disponibili, ma che suscita in noi una domanda di fondo: per decidere la collocazione di un quadro a cosa si fa riferimento? Alla località di nascita o della bottega di chi l’ha dipinto? Oppure al luogo della committenza o a dove era stato destinato?
In caso di non coincidenza fra i criteri citati, forse il più corretto è quest’ultimo. Che ci permette di collocare anche personalità geniali e difficilmente “classificabili” in rigide schematizzazioni come Raffaello: marchigiano, visto che nasce e comincia a lavorare a Urbino, ma che riceve commissioni anche da città dell’Umbria (come lo Sposalizio della Vergine qui in Pinacoteca) e si sposterà poi fino a Firenze e Roma.
Seguendo questo ragionamento, e collegandolo ad una riflessione su chi ha perso e chi ha beneficiato dal recente nuovo allestimento delle sale dalla XX alla XXIV della Pinacoteca (avviata con A Brera come in casa mia e James Bradburne come il Duca di Wellington? che qui proseguiamo), la Romagna è ancora presente con una delle opere più belle di Brera: la Madonna col Bambino, sant’Anna e santa Elisabetta, Sant’Agostino e il Beato Pietro degli Onesti. Monumentale dipinto del ferrarese Ercole de Roberti ma proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Porto a Ravenna, e per questo conosciuta anche come Pala Portuense.
Si tratta di un quadro stupendo, sul quale tuttavia non ci soffermiamo in dettaglio in questa circostanza: se non per ricordare i meravigliosi volti delle sue protagoniste nei quali riconosciamo i tratti delle donne romagnole e, forse con un eccesso di fantasia, in quello della Madonna il volto dell’attrice Sandra Ceccarelli nel film Il mestiere delle Armi!
L’opera era già celeberrima ai suoi tempi, al punto da ispirare miniature sulle pagine di antichi volumi. Ci ha suggerito questa considerazione l’avere inaspettatamente riconosciuto i lineamenti della Madonna e la particolare forma del velo che porta in testa in una miniatura del XVI secolo su pergamena esposta nella sala Castellana del Castello Sforzesco nell’ambito della mostra Splendori rinascimentali nelle corti dell'Italia settentrionale organizzata dall’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana. A noi sembra che sia proprio una sua palese citazione l’immagine (sopra) del Codice Trivulziano 1440: Diplomi dei duchi di Ferrara a favore della Certosa di San Cristoforo (cogliamo l’occasione per invitare chi l’avesse persa a gustarla grazie all’ottimo servizio offerto dal sito grafiche in comune).
Lo spostamento di questo dipinto alla sala XXI è uno dei capisaldi del riallestimento. Chi presidia quotidianamente la Pinacoteca ci ha detto che, nonostante vi fossero posizionate davanti le sedie, era pressoché ignorato nella precedente collocazione alla sala XXII: “troppo piena” e considerata “di attraversamento” dai visitatori che, forse, arrivati fin qui dopo aver percorso una ventina di sale, cominciano ad essere un po’ stanchi.
A dire la verità non sappiamo quanto la nuova posizione sia efficace nel calamitare il loro sguardo: nel momento in cui annotiamo questi appunti, sulle sedie di fronte alla Madonna di De Roberti sono seduti un ragazzo ed una ragazza, ciascuno intento a guardare lo schermo del proprio smartphone. Peccato… per loro!
Per quanto ci riguarda, a noi quest’opera non era “sfuggita”, ed anzi le abbiamo sempre dedicato una sosta ammirata ad ogni nostro ritorno in Brera. Confessiamo invece che alle altre non avevamo mai riservato particolare attenzione finché non siamo stati condotti a farlo da un itinerario didattico espressamente dedicato a Marco Palmezzano (Forlì, 1459 – 1539). A riprova di quanto sia importante, più di ogni altra iniziativa di comunicazione o tecnologica, potenziare il servizio di accompagnamento “umano” del visitatore.
Dell’attuale soluzione apprezziamo la luce bassa della sala, che alcuni giudicano insufficiente per ammirare al meglio le opere, ma che a noi pare idonea ad aiutare la concentrazione singolarmente su ciascuna di esse. Sulle prime, volendo seguire fino in fondo la logica del riallestimento, avremmo addirittura lasciata la Pala Portuense da sola sulla parete. Oppure l’avremmo affiancata con quadri per dimensioni e per stile più vicini ad essa (compatibilmente con le opere disponibili, ma come era in precedenza) per offrire al visitatore una più omogenea visione d’insieme.
Troppo più piccoli e troppo diversi da essa ci sembrano, invece, L’allegoria profana della calunnia di Leon Bruno, alla sua sinistra, e la Resurrezione di Lazzaro di Ludovico Mazzolino alla sua destra. Per quanto, ad esempio la seconda, sia interessante per la vivacità dei colori e della composizione: con Lazzaro che non viene richiamato in vita da una grotta (come usualmente rappresentato) ma estratto da una cisterna, e per via dei curiosi atteggiamenti dei presenti; come il personaggio che si tura il naso per il cattivo odore emanato dal morto, esplicita citazione del Vangelo.
A questa nostra obiezione un’assistente di sala replica tuttavia che il monocromo di Leon Bruno non è così estraneo alla Pala Portuense richiamando, nel soggetto e nella scelta coloristica, i monocromi e le storie profane raffigurati da De Roberti nei pannelli alla base del trono della Madonna, sotto le colonnine sulle quali si eleva.
Altri dipinti “promossi” dallo spostamento si trovano alle pareti di ingresso ed uscita della medesima sala XXI. Sulla prima L’Annunciazione del bolognese Francesco Raibolini, detto il Francia (Zola Predosa o Bologna, 1450 – Bologna, 5 gennaio 1517), sulla seconda due opere giovanili di Correggio: Adorazione dei Magi e Natività. Tutte e tre, costrette com’erano nell’angusto corridoio antistante i depositi a vista della sala XXIII e con una luce che ne disturbava la visione, davano l’impressione di esservi quasi “in castigo”: cosa che mi induceva a pensare che non fossero opere di particolare valore.
Nel passaggio alla successiva sala XXII è molto bello il cono prospettico costruito proponendo al visitatore, già da lontano, la vista del Polittico di San Domenico (o Trittico di Camerino) di Carlo Crivelli, con le sue caratteristiche decorazioni in rilievo che tanto stupiscono ed incuriosiscono sempre il pubblico. Una scelta che già preannuncia il tripudio aureo che lo attende dalle pareti rilucenti di fondi oro.
Ottima anche la decisione di esporne, sotto i pannelli laterali, i due scomparti della predella che Brera possiede.
Positivo, a nostro modo di vedere, è poi l'aver spostato in questo ambiente il Polittico di Valle Romita di Gentile da Fabriano, precursore degli altri presenti in sala.
Ammettendo che chi scrive è affetto da “horror vacui” osiamo proporre che, se in deposito vi fossero altre opere coerenti con quelle esposte, visto che ancora un po' di posto c'è... noi le porteremmo alla luce!
Infine, tornando a riflettere sulla considerazione che questa sala XXII era vissuta dal pubblico come luogo di passaggio, forse la profusione d’oro può in effetti trattenervi di più i visitatori anche se la “percezione” descritta potrebbe però avere una causa soltanto geometrica: visto che i punti di passaggio verso le sale precedente e successiva sono disposti agli estremi della sua diagonale.