Aligi Sassu è tornato, seppure indirettamente, a trovare i suoi affezionati ammiratori monzesi. L’interessante appuntamento è andato in scena allo Sporting Club Monza di Viale Brianza 39 (nei pressi della Villa Reale) dove il prof. Pier Franco Bertazzini, critico d’arte e noto personaggio della vita politica e culturale cittadina, ha ancora una volta presentato l’artista al quale fu legato da sincera amicizia.
I due si conobbero nel 1967, quando il pittore (nato a Milano nel 1912 ma presto trasferitosi con la famiglia in Sardegna) si trasferì a Monticello Brianza con la moglie, l’ex cantante lirica, Helenita Olivares. Le loro frequentazioni si intensificarono soprattutto fra il 1970 e il 1983, mosse da stima e ammirazione reciproche. Ne abbiamo avuta una diretta testimonianza dallo stesso prof. Bertazzini, che di Sassu conserva un vivo ricordo, sia come uomo sia come artista, incontrandolo in occasione della mostra “Aligi Sassu, ritorno a Monza” ospitata a fine 2015 alla Galleria Civica di Monza quando, a cura dell’Archivio Aligi Sassu di Carate Brianza, una trentina di sue opere (dipinti, sculture ed opere su carta) sono state di nuovo esposte all’ammirazione dei monzesi e proprio nello stesso luogo in cui, cinquant’anni fa, ebbe luogo la mostra antologica delle sue opere grafiche.
Questo artista, che da adolescente frequentò i futuristi con Marinetti, può essere considerato uno dei più grandi del secolo scorso con la sua vasta produzione ricca di pitture, sculture, incisioni e ceramiche realizzate con varie tecniche: inchiostro, matita, acquerello, acrilico.
Uno dei suoi soggetti più noti è la rappresentazione dei cavalli: bianchi, rossi, “arrabbiati” (titolo di un suo soggetto), in bianco e nero o dipinti durante la corrida. Essi emergono dai ricordi d’infanzia nella sua Sardegna e si consolidano nelle esperienze del periodo vissuto a Maiorca. Il mare e il pino sardo fanno da sfondo ai suoi paesaggi, la sua terra infatti rimane la maggiore fonte di ispirazione, oltre alla Spagna, alle donne - delle quali troviamo molti ritratti – ed ai caffè, altro tema ricorrente dopo il viaggio che lo condusse a Parigi.
La realizzazione delle opere di Sassu è molto precisa con uno studio meticoloso che segue l’idea di partenza. Per esempio le figure di Giunone e Venere presentate in mostra, eseguite con la tecnica della sanguigna, sono nate sulla carta come preparazione per sculture. Dai disegni emerge tutto il lavoro dell’artista: l’analisi dei volumi, dei tratti, della posa, la conoscenza approfondita della letteratura e della mitologia che portano alle rappresentazioni simboliche delle due donne, la prosperità di una e la bellezza dell’altra.
I suoi colori di elezione sono il rosso e il blu, che apprezziamo nel quadro più emblematico: “Il tavolo a scacchi”, olio su tela del 1942, donato dall’autore al Comune di Monza nel 1965, in occasione della precedente mostra già citata.
Un’interessante sezione di quella più recente è stata poi dedicata alle opere inedite di grafica, nelle quali l’espressione del colore avviene in seguito a due processi produttivi: quello della mente dell’artista che lo progetta e quello impersonale della macchina da stampa che ne imprime le tonalità.
Anche le forme sono importanti per il Maestro, ce ne rendiamo conto nella continua ricerca della perfezione delle linee e nelle diverse realizzazioni delle teste di cavallo che risalgono soprattutto agli anni trenta.
Significativa, infine, anche la possibilità di ammirare in mostra un pannello con la foto del murale in ceramica di 150 mq. “I miti del mediterraneo”, realizzata fra il 1992 e il 1993, che si trova presso la sede di Bruxelles del Parlamento Europeo.
La biografia dell’artista ci racconta che durante il fascismo Aligi Sassu fu addirittura imprigionato, vicenda che tuttavia non arrestò la sua produzione. Dopo la reclusione fu ancora sottoposto al regime di sorvegliato speciale e solo nel 1941 poté allestire la sua prima “personale” a Milano nella quale, per la prima volta, furono esposti i dipinti del ciclo “Uomini rossi”, mediante i quali Sassu volle rappresentare la giovinezza e il senso dell’esistenza.
Quanto sia ancora moderna la sua visione artistica risulta evidente leggendone questa citazione del 1957:
“Dalla prima "Deposizione" del 1931 ad oggi il tema della morte del Cristo è ricorrente nel mio lavoro, con una insistenza ossessiva. È questo un tema attorno al quale la mia fantasia lavorava, quasi un configurarsi della tragica urgente condizione dell'uomo della nostra epoca. L'uomo nasce nudo dinanzi al creato e poi affronta la società, in cui è costretto, con la fede, con la generosità della giovinezza, con la purezza dell'alba: l'uomo investito dalla luce del sole, la quale traspare nel corpo ed illumina il sangue, che è vita e poi sarà morte. Quel ponte che dalla nascita dell'uomo ci conduce passo passo alla morte è come una vena viva di sangue che si rivela in tutti i suoi elementi di sacro, ma sempre lo specchio della nostra umanità, della nostra ansia di vero, dell'essere uomini veri, tra gli altri uomini veri... Queste premesse di ordine estetico non sono staccate dal grave e profondo contenuto di questo problema veramente universale che è la Via Crucis”.
Valido corollario alla mostra è Calend’Arte, iniziativa arrivata alla sua diciottesima edizione e che, nel calendario 2016, ripropone le opere di Aligi Sassu esposte in Galleria Civica.