L'Eclettico



In viaggio nell’inverno di Schubert… e nostro



La poesia in musica del Winterreise

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

IN VIAGGIO NELL'INVERNO DI SCHUBERT... E NOSTRO

La poesia in musica della Winterreise


Dopo averlo visto per diverse serate sempre affollato di strumenti ed orchestrali, fa effetto vedere sul palco solo un cantante, il tenore Christoph Prégadien, accanto al pianoforte di Michael Gees, al cospetto di un pubblico che riempie soltanto per un terzo la Sala Grande del Conservatorio.

Peccato per chi non c’era: ci voleva - e fa bene - dopo tanto “clamore” sinfonico, il ritorno alla semplicità di una voce sola a librarsi sulle gelide note emesse dai tasti bianchi e neri: gocce di ghiaccio in cui si cambiano le lacrime che scorrono sulle gote del protagonista del Winterreise di Schubert, nonostante fossero sgorgate roventi dal suo cuore e pronte a sciogliere il rigore dell’inverno, come conclude in crescendo dinamico nel Lied n. 3. Gefror’ne Tränen.

Un viaggio d’inverno nel vuoto esistenziale di questo ciclo di Lieder con versi di Wilhelm Müller che Schubert scopre su una rivista nel 1827, a poco più di un anno dalla morte.
Agli amici dichiara essere quelli a lui più cari e ad essi si dedica fino ai suoi ultimi giorni rivestendoli di una musica cupa e drammatica, seppure sempre serena anche quando canta il fallimento di una speranza con una voce che sembra venire da un altrove ignoto:

Buona Notte (1. Gute Nacht)

Come un estraneo sono comparso,
come un estraneo me ne vado.
Maggio mi è stato benevolo,
con qualche mazzo fiorito.
La fanciulla parlava d'amore,
la madre addirittura di matrimonio;
ed ora il mondo è tanto triste,
la strada è sepolta nella neve.

Per strada vado da solo
in questa oscurità
e l’ombra al chiaro di luna
mi è sola compagna…

Non ti turberò nel sonno,
voglio la tua pace;
camminerò in punta di piedi,
pian piano chiuderò la porta!
E mentre parto scrivo
“Addio” sul tuo portone:
Così che tu capisca
che ancora pensavo a te.

Musica che diventa poi irruenta e vivace nel vento che gioca con

La banderuola (2. Die Wetterfahne)

Notar dovevo invece, molto prima
lo scudo altero che era sul portone:
e mai cercare lì avrei dovuto
in quella casa fredda un fido amore.

Curiosamente a poco a poco, pur sostanzialmente ignorandola, chi ascolta si trova a comprendere anche la lingua tedesca ed un arpeggio nel registro grave, apparentemente caldo, conduce al contrario l'abbandonato ad essere preda del falso Torpore (4. Erstarrung) che comincia ad avvolgere chi è in via di assideramento:

Invano cerco tra i ghiacci
traccia del suo cammino,
quando al mio braccio stretta,
vagava per la verde campagna.

Dunque portar non posso
da qui nessun ricordo?
Quando tacerà il mio dolore,
di lei chi parlerà?

Il mio cuore è quasi morto,
la sua immagine è lì ghiacciata;
ma se il mio cuore dovesse sgelarsi,
anche il suo amore svanirebbe!

Anche le modulazioni dal minore al maggiore non sono veri squarci di luce ma soltanto struggente nostalgia del passato, e sole consolatrici sono le fronde del Tiglio, sempre fedele e disponibile amico (5. Der Lindenbaum)

Alla fonte, davanti al portone,
vi è un tiglio;
disteso alla sua ombra,
facevo sogni dolci un giorno

Ora, varie ore di cammino
mi separano;
e ancora lo sento mormorare:
là troveresti la pace!

Come tutta la natura anche la neve del disgelo partecipa al dolore dissolvendosi fra i

Flutti d’Acqua (6. Wasserflut)

Neve, sai dei miei tormenti:
dimmi, dove va il tuo corso?
Segui solo il mio pianto
e presto arriverai al fiume.

Con lui arriverai in città,
ne vedrai le vie animate;
ma quando sentirai le mie lacrime bruciare,
là è la casa della mia amata.

E solenne, al ritmo di accordi appoggiati al basso, è il paesaggio Sul Fiume (7. Auf dem Flusse) che sta gelando ma, sotto la superficie ghiacciata, si gonfia per il dolore come il cuore di chi gli parla

Tu che scorrevi lieto
fiume irruento un giorno

… di dura e rigida corazza,
Ti sei ricoperto già
freddo e immobile resta
fra le pietre il tuo cammino.

Nella tua coltre incido
con una pietra aguzza
il nome del mio amore,
e l’ora e il giorno ancora:

Il giorno del primo incontro,
il giorno della partenza;
e intorno a nome e date
un anello spezzato.

Rivedi la tua immagine
in questo fiume o cuore?
Se anche sotto la sua lastra di ghiaccio
anch’egli si gonfia e soffre.

Poi, come una drammatica scossa tellurica, volgendo lo sguardo indietro alle Memorie (8. Rückblick) il viandante senza pace ripensa alla città volubile ed ingannatrice che prima l’aveva invitato e poi respinto e cacciato via.

Non vorrei più tirare il fiato
prima che le torri mi scompaiano dagli occhi.

Su quanti sassi ho già inciampato,
tanto mi affrettavo via dalla città!

Quanto diversamente mi avevi accolto,
o città dell'incostanza!
Con canti e trilli dalle tue linde finestre
dell’allodola e dell'usignolo.

Fioriva allora il vasto tiglio,
mormorava allegro ogni ruscello,
gli occhi di lei lanciavano bagliori,
e per me fu finita, allora!

Quando ricordo ancora quel giorno,
indietro vorrei, da lei tornare.
Tornare ancora ad inciampare,
su quel portone, muto, restare.

Però quando si fa una pausa nel cammino (10. Rast), è allora che sopraggiunge la stanchezza

Solo ora mi accorgo di quanto sono stanco,
al momento di distendermi per riposare;
il vagare mi teneva sveglio
sulla strada inospitale.

Anche tu, mio cuore, così audace e forte
nella lotta e nella tempesta,
ora nella calma il tarlo sai
che ti tormenta e brucia.

Ed anche in mezzo al gelo, su una musica leggiadra e cristallina e giunge un Sogno di Primavera (11. Frühlingstraum) ma l’atmosfera cambia improvvisamente, quando sopraggiunge la disillusione.

Sognavo di fiori variopinti,
così come fioriscono in maggio;

Con il canto dei galli
però mi svegliai;
ed era freddo, e buio.
Un corvo allora gracchiò.

Ma ai vetri delle finestre,
quei fiori chi mai dipinse?
Ridete, vero, del sognatore
che scorge al freddo i fiori?

Sognavo di amore puro,
d'una beltà la fede,
d’amore e dei suoi baci,
d’incanto e felicità.

Dei galli con il canto
il cuore mi si svegliò,
ma qui ora siedo solo,
e penso al sogno ancora.

Se gli occhi miei richiudo,
batte ancora caldo il cuore:
ritorneranno i fiori alla finestra?
Ancora stringerò fra le braccia il mio amore?

Ed invece è

Solitudine (12. Einsamkeit)

Così per la mia strada
con passo lento vado:
le gioie altrui attraverso,
da solo e senza amore.

Vana è l’attesa di uno scritto (13. Die Post) nel dialogo col proprio cuore invocato ad ogni strofa mentre la musica richiama l’arrivo della carrozza postale.

Suonò col corno il postiglione:
Cos'hai da sobbalzare così,
o mio cuore?

Non uno scritto egli ha per te.
Tu fremi ancora: dimmi, perché,
mio cuore?

La posta è qui, ma prima passò
dalla città dove avevo il mio amore,
mio cuore!

Potresti almeno dare un'occhiata
e chiedere che vita si conduce là,
mio cuore?

Ed il tempo, crudele, sembra essersi fermato

(14. Der greise Kopf)

La brina ha un candido mantello
sul capo mio versato;
Credetti vecchio d’esser già
e me ne rallegravo.

Il sole lo sciolse via però;
bruno sono ritornato,
e detesto la mia giovinezza.

Tra l’alba e il sole del mattino
più d’uno s’è imbiancato.
È strano, non accadde a me,
pur in sì lungo viaggio!

Resta una tenue Ultima Speranza (16. Letze Hoffnung) fra i colori dell’autunno instabile su un ritmo variabile

Guardo ed appendo ad una foglia,
la speranza del mio cuore;
Con la foglia gioca il vento,
io tremo da morire, allora.
Ahimé, la foglia cade a terra,
crolla con essa la mia speranza;
e la piango morta.

Su un modulo ritmico ripetuto ed ossessivo al basso, riecheggiato all’estremo opposto della tastiera, si guarda con distacco la notte sul villaggio dal quale arriva l’abbaiare dei cani che allontanano chi ormai non vi appartiene più.

(17. Im Dorfe)

Già dorme la gente tranquilla nei letti,
e sognano, in molti, di ciò che non hanno,

Ma ogni mio sogno da tempo è finito:
fra questi dormienti che vale restare?

Tuttavia volentieri ancora si cede all’Illusione.

(19. Täuschung)

Ahimè, chi è triste come io sono,
si lascia ben sedurre dal miraggio,
che dopo ghiaccio, notte e orrore
gli mostra un chiaro e caldo focolare.
E, lì vicino un caro amore...
ma per me questa è un'illusione!

Ma la tristezza di nuovo incombe nell’incertezza del marinaio che non sa dove andare e per il quale nessun vento è favorevole. Né è chiaro l’unico Segnale stradale (20. Der Wegweiser) che sembra additare una strada diversa da quella che percorrono gli altri viaggiatori.

Sulle vie stanno i cartelli,
additando le città;
ma io viaggio senza posa,
senza pace, che pur cerco pace.

Un cartello ho visto stare,
saldo qui, davanti a me;
devo andar per una strada
dalla quale nessuno mai tornò.

In un soprassalto di energia tuttavia il viandante si ribella alla sua condizione e si impone Coraggio (22. Mut) rivendicando, beffardo, la propria divinità di fronte al Dio che gli si nasconde.

Se la neve mi sferza il volto gelida,
io giù la scuoto via.
Quando in petto mi parla il cuore,
io canto con voce chiara e allegra.

Quel che mi dice non lo ascolto:
non ho più orecchie per i suoi lamenti.
Il dolore non sento più,
lamentarsi è da stolti.

Con gioia vado per il mondo,
contro vento e intemperie!
Se non c'è nessun Dio sulla terra,
noi stessi siamo dei!

Ma è solo un ultimo colpo di coda, siamo ormai alla fine, non si sa perché l’amore sia finito e le nozze non sono state celebrate. Quello che si sa non convince, non a sufficienza, forse la realtà nasconde qualcosa di indicibile come quando si guarda in cielo e il bagliore del sole è tanto forte da accecare, figurarsi quando alla stella si accostano Altri soli (23. Die Nebensonnen): gli occhi dell’amata, che però vi tramontano sfumando musicalmente nel desiderio della notte.

Tre soli in cielo ho visto levarsi,
li ho visti a lungo lì,
restare così immobili,
come attendessero proprio me.
Come se non volessero allontanarsi da me.
Miei questi soli non sono più
rivolgersi vogliono a qualcun altro.
Finora potevo vederne tre;
ma i due più belli sono già fuggiti via.
Sparisse, andasse via anche il terzo!
La notte molto meglio sarebbe per me.

E tutto si perde, rubato dall’ombra spettrale del Suonatore d’organetto (24. Der Leiermann), dolorosa melodia introdotta da acciaccature del pianoforte nella quale riecheggia un antico canto ebraico. Quando entra la voce il piano la riprende, quasi ossessivo, in eco a diverse altezze.

Il suonatore vaga sul ghiaccio a piedi nudi,
il piatto resta vuoto,
nessuno lo vuole ascoltare,
i cani lo cacciano…

Ma lui continua a suonare senza mai fermarsi e sottovoce, in un soffio, facendo attendere l’ultimo verso sospeso nell’indeterminatezza delle quinte vuote… il canto gli chiede “allor con te verrò? Vuoi tu suonare le mie canzoni?".

Come abbiano fatto alcuni (anche noti personaggi della cultura milanese ubiquitari sulla stampa ed onnipresenti in conferenze su qualsiasi tema) ad alzarsi per andarsene proprio in questo momento... è difficile da capire…

Per oltre un’ora Prégadien e Gees hanno tenuto incatenati alle poltrone e col fiato sospeso i presenti in sala. Nessuno (Dio sia lodato!) ha mai azzardato un applauso che quasi dispiace levare ora, quasi sarebbe stato bello uscire di sala nel più assoluto silenzio verso la notte milanese di settembre… Ma un applauso, per i due artisti è dovuto, ed arriva, scrosciante, dagli spettatori in piedi acclamanti con entusiasmo: Bravo! Bravi!
A noi resta un pensiero riconoscente per Franz Schubert, che ancora oggi ci regala simili emozioni pagate al prezzo della sua vita difficile e sofferta.
 

Giovanni Guzzi, ottobre 2015
© Riproduzione riservata