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Omaggio a Gerry Mulligan



Un Americano a Milano

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OMAGGIO A GERRY MULLIGAN

Un Americano a Milano


Ci sono parole che si sono perse nel linguaggio contemporaneo, bellezza, grazia, nobiltà…” All’insegna di questa affermazione di Gerry Mulligan, grande sassofonista jazz che ha dato dignità di strumento solista al sax baritono, Mario Marzi ha voluto la serata di MiTo 2015 in onore di questo artista dotato di umanità e signorilità pari al suo talento.
Marzi ricorda ancora con commozione il giorno in cui trovò ad attenderlo nel foyer della Scala, quasi un’ora dopo il termine dello spettacolo, quel signore alto e gentile che voleva congratularsi con lui, all’epoca diciannovenne, per la musicalità dimostrata nel solo al sassofono dell’opera Cardillac di Hindemith.
Visione lungimirante, quella di Mulligan, visto che oggi Marzi è uno dei più affermati sassofonisti italiani ed internazionali.

Dopo un incontro occasionale in aereoporto con Zubin Metha, che lo spinse ad esplorare i sentieri della composizione per orchestra sinfonica “non è altro che una Big Band moltiplicata per 5” - gli disse -, e frequentando le prove di Muti alla Scala, per apprendere i segreti del suono dell’orchestra, Mulligan si affacciò anche a questo genere di cui il concerto Un Americano a Milano – Omaggio a Gerry Mulligan ha proposto una carrellata di brani sconosciuti ai più. Una non conoscenza che ha abbastanza influenzato il gradimento del pubblico, per lo più arrivato in sala con l’idea di riascoltarne il repertorio jazzistico, nel caso di chi scrive conosciuto a partire dalle esperienze con Paul Desmond ed il trio di Dave Brubeck.

Octet for Sea Cliff, per sax baritono ed ensemble da camera (i 4 archi, con fagotto, corno clarinetto e oboe), pur raffinato quanto si vuole ha lasciato il pubblico perplesso ed, al termine del brano, dubbioso se avviare o meno un incerto applauso. Viene da dire che in questi giorni di MiTo abbiamo ascoltato di meglio.
Analogo giudizio per Momo’s Clock, per orchestra sinfonica ed ispirato alla celebre fiaba di Michael Ende, di cui non si capiva se fosse finito o meno.
Con Sax Chronicles, per sax baritono ed orchestra sinfonica, gli arrangiamenti di Harry Freedman ci hanno proposto celebri melodie di Gerry Mulligan arrangiate di volta in volta nello stile di vari celebri compositori classici: Sax on the Rhine, con echi del Tannhäuser e del Lohengrin; Sax and the Rosenkavalier, dove Strauss è evocato nel valzer pizzicato dagli archi, col sax più sommesso; Sax in Debussy’s Garden, in cui fioriscono le risonanze dei notturni per orchestra del più impressionista fra i compositori ed infine Sax and the Rite of Igor, dagli evidenti riferimenti a Petruska ed a Le Sacre du primtemps.

Ma il primo vero colpo d’ala lo abbiamo colto in chiusura del primo tempo con Étude for Franca, per sax soprano e orchestra d’archi, dedicato alla moglie – presente in sala - , fortunata destinataria di una composizione in cui crediamo più emerga, rispetto alle composizioni di finora si è detto, la vera anima cantabile di Mulligan: qui più sinceramente sé stesso in un brano che evidentemente davvero gli appartiene.

Il pubblico comincia a scaldarsi nel secondo tempo aperto da Entente per sax baritono e orchestra sinfonica, fra i suoi primi brani di approccio alla musica sinfonica negli anni ’80 e già convincente e coinvolgente nell’esposizione del tema fiorito di abbellimenti e poi ricorrente.
Infine, con l’ingresso sul palco di Achille Succi come solista al sax, ecco la più attesa sezione del concerto: quattro standard jazz di Mulligan per quartetto jazz, solo o assieme all’orchestra sinfonica, nei quali viene concessa la “rivincita” a contrabbasso e batteria che assurgono al ruolo di co-protagonisti: Walkin’ shoes, Song for Strayhorn, As Catch Can, K-4 Pacific e Great Spirit, il bis (tristemente non richiesto dal pubblico che nemmeno richiama gli artisti sul palco a fine concerto!) con i due solisti assieme ai sax tenore e baritono, sono stati la conferma che il meglio di sé Mulligan lo ha riservato al jazz.

Giovanni Guzzi, ottobre 2015
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