L'Eclettico



Verdelot batte Machiavelli



L'ECLETTICO - web "aperiodico"

VERDELOT BATTE MACHIAVELLI

La musica di scena della Mandragola risulta più attuale del testo che doveva incorniciare


Il principe Miskin avrebbe riso delle beffe ai danni di uno sprovveduto per quanto cinico ed umanamente riprovevole? No di certo e, se devo essere sincero, neppure a me questa Mandragola di Machiavelli fa così ridere. Forse mi sono creato troppe aspettative io, forse ha esagerato chi ha presentato quest’opera come tanto divertente. Forse, più semplicemente, faceva ridere al tempo in cui è stata scritta per la corte Medicea del 1515 dove venne rappresentata, nell’ambito dei festeggiamenti per le nozze di Lorenzino de’ Medici, con le musiche di scena composte per essa da Philippe Verdelot, attivo in quegli anni a Firenze e considerato “padre” del madrigale italiano.

Ed il fatto che, dopo 500 anni, la Mandragola sarebbe stata di nuovo messa in scena completa della sua “colonna sonora” originale è quel che più mi ha attratto nel voler ad ogni costo assistere a questo spettacolo allestito per MiTo 2015. Sarà che amo più la musica del teatro, però il solo testo non avrebbe suscitato in me tutto l’interesse dichiarato da tanti per una vicenda sotto la quale si celerebbero riferimenti alle vicende politiche del tempo, che non mi sembra il caso di dovermi mettere a studiare per poterne trarre un pieno giovamento intellettuale. Non mi ha fatto mutare opinione neppure la lettura di un’intera monografia sulla Mandragola, estremo tentativo per verificare se sono davvero tanto incolto nel non riuscire ad apprezzarla.

Stando alle considerazioni fin qui esposte, a leggere le note di sala, secondo le quali se il pubblico non si diverte la responsabilità è di chi predispone l’offerta teatrale, sembrerebbe che gli interpreti non siano riusciti nel loro intento. Ed invece no.

Pur da “profano” del palcoscenico ho trovato molto bravi gli attori e perfettamente condivisibili le scelte della regia di estrema sobrietà nei costumi e nella scenografia; pressoché inesistente e di fatto costituita dagli stessi artisti.
Attori e cantori dell’ensemble Diagonale per tutta la durata della commedia sono rimasti infatti sempre in scena, quando non in azione accomodati sulle sedie poste a semicerchio davanti al pubblico: talmente sorpreso nel vederseli di fronte all’apertura iniziale del sipario dal rimanere spiazzato ed in dubbio se applaudirli o meno. Incertezza subito spazzata dal vertiginoso monologo iniziale di Siro, il servitore del protagonista Callimaco.

Mi è piaciuto il ritmo col quale via via si alzavano da esse, con abbigliamento assolutamente ordinario e contemporaneo e su un palco affatto “desolatamente” spoglio di qualsiasi arredo, lasciando alla fantasia degli spettatori la libertà di ricostruire l’ambientazione scenica dalle loro parole. Per un po’ mi sono chiesto a chi servissero le due sedie senza proprietario, e ne ho capito nel prosieguo della commedia la funzione di unici attrezzi di scena assieme alla bussola in cui far mettere le “limosine”.
Relativamente ad essa mi è risultata un po’ stancante e fastidiosa la troppo sottolineata ironia sul malcostume ecclesiastico che le veniva riferito. Forse ai tempi di Machiavelli era più che legittima, ma trovo non lo sia più per i nostri tempi nei quali, per quanto la si possa anche a ragione criticare, la Chiesa resta alla fine il luogo al quale vanno a bussare i bisognosi, come ogni prete ben sa. Personalmente non ho mai visto mendicanti davanti alle sedi delle organizzazioni che la criticano ed ho qualche dubbio sulla generosità di chi mostra di divertirsi tanto per queste troppo facili ironie.

Mi è ancora piaciuta molto la già citata compresenza in scena, spalla a spalla e variamente frapposti gli uni agli altri, degli attori e dei cantanti. Molto bello è stato il modo in cui è stato studiato il loro avvicendamento al proscenio. Come nel movimento di una danza d’altri tempi gli uni cedevano il posto agli altri attraversandone le linee disponevano a sottolineare, con musiche davvero splendide, i commenti del coro a conclusione di ogni atto. Nel gruppo vocale a voci miste spiccava, non solo per il nome esotico, la soprano Alena Dantcheva ritrovata, per la gioia delle nostre orecchie, in altri due successivi appuntamenti di MiTo.
Peccato soltanto non avere sott’occhio il testo di questi davvero meravigliosi madrigali; ci auguriamo vivamente di avere altre occasioni per riascoltarli dal vivo. E bene ha fatto chi, per seguirli al meglio, si è portato da casa il libretto: come una professoressa di lettere in pensione che incontriamo ad ogni appuntamento e che, da parte sua, contrariamente a chi scrive, è stata del tutto entusiasta anche della parte letteraria di questa commedia.

Giovanni Guzzi, ottobre 2015
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