L'Eclettico



Irruenza, introspezione ed una corsa a perdifiato



Tre letture del pianismo di Chopin e Skrjabin

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IRRUENZA RUSSA, INTROSPEZIONE NIPPONICA ED UNA CORSA A PERDIFIATO ITALIANA: TRE LETTURE DEL PIANISMO DI CHOPIN E SKRJABIN

I pomeriggi pianistici nell'accogliente sala Puccini del Conservatorio


Avete presente un caro amico sul quale si può sempre contare? Ebbene, nell’ambito di MiTo, i concerti di giovani pianisti del tardo pomeriggio sono proprio una bella analoga certezza, apprezzata dal pubblico che interviene in buon numero.
Di essa siamo sicuri che approfittano anche tanti spettatori che vengono da fuori Milano. Dopo nove anni di assiduità al festival ormai fra i più affezionati ci si conosce bene, anche per nome, perciò non è difficile notare chi arriva in città per gli appuntamenti più di richiamo del dopo cena e, già che deve fare il viaggio, si gode anche i concerti pomeridiani come progressive tappe di avvicinamento: dapprima nelle chiese-monumento cittadine per poi arrivare in sala Puccini del Conservatorio. Un luogo accogliente e dall’ottima acustica che permette di godere al meglio la nobile sonorità del pianoforte.

Altra nota ambientale meritevole di citazione è il fatto che anche le luci del palco risplendono finalmente tutte sopra i giovani concertisti: simbolico auspicio di un radioso futuro per le loro carriere che auguriamo altrettanto brillanti. Si è fatto uso dell’avverbio finalmente perché in anni precedenti ricordiamo di averne notate alcune spente, alcune tremolanti ed altre che si spegnevano durante il concerto!
Aspetto non secondario è poi la comodità delle sedute che danno diversi punti all’adiacente, più rinomata, grande sala Verdi.

Tanto comodo è l’ambiente e tanto cullante è la musica che a qualche spettatore, non necessariamente ai più avanti con l’età, capita di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo… fatto di per sé non gravissimo, se non fosse per l’involontaria sonora manifestazione della propria presenza!
Un cedimento, quello descritto, non certo attribuibile all’interpretazione dei musicisti ma nel quale può aver avuto forse un qualche ruolo l’ostinata permanente vibrazione di una lamella metallica in uno dei condotti di aerazione. A volte il ruolo della stampa è molto meno eroico di quanto ai suoi protagonisti piace dipingerlo, e tuttavia può avere una qualche efficacia pratica per queste piccolezze, per cui la nostra segnalazione ai gentilissimi addetti stampa ed al personale in sala (subito spalleggiata da numerosi spettatori), ha ottenuto l’effetto sperato: al terzo dei concerti pianistici che abbiamo seguito il problema era stato risolto.

Resta, purtroppo, quello dell’intemperanza del “pubblico 2.0”, ovvero di chi non può fare a meno di interagire con la musica prendendovi parte con la suoneria del proprio telefonino: un malcostume ormai tanto dilagante che richiede di essere trattato col dovuto approfondimento, per cui ce ne occuperemo in altra sede.

Venendo alla musica il tema affidato quest’anno ai giovani pianisti era il confronto Chopin – Skrjabin, nel centenario della morte del secondo al quale è stato affiancato il romantico polacco sia per ragioni artistiche di confronto sul pianismo dei due, sia – crediamo – anche per avere comunque un nome di richiamo per il pubblico più generico, scelta opportuna vista la natura e la finalità di MiTo.
Divertente è perciò stato l’esercizio di giocare ad individuare l’autore dei brani eseguiti senza guardare il programma di sala.
Impresa non così difficile, anche per chi non conosca approfonditamente il repertorio pianistico, se non altro per esclusione dando per scontato che il virtuosismo romantico di Chopin è un carattere distintivo inimitabile.

A dire la verità, in tutti e tre gli interpreti che abbiamo ascoltato è un po’ mancato il cosiddetto “jeu perlé” che ci si attende di ritrovare in chi esegue questo repertorio. Una tecnica nella quale eccelleva Horovitz: questa delle note sgranate più veloce che si può, come una sorta di glissando ma eseguito con il polpastrello anziché con il dorso della mano… un po’ come il “non legato” bachiano di Glenn Gould che sfruttava l’inerzia del tasto che risale.

Abbigliata con i colori di una poetessa arcade dipinta in veste di musa da Angelika Kauffmann, la russa Galina Chistiakova rivoluziona il programma e, dapprima, propone Chopin cullando il pubblico col Notturno in si maggiore op. 62 n. 1 e le Tre mazurche op. 59, poi lo stupisce con le vertiginose scale ascendenti e discendenti dello Studio in fa maggiore op. 10 n. 8. Continua col tremolo alla mano destra e la melodia al basso con la sinistra per lo Studio in sol diesis minore op. 25 n. 6 per arrivare ai due colori dello Scherzo n. 4 in mi minore op. 54 che alterna momenti vivaci a passaggi più meditativi ed introduce i drammatici ed impegnativi Dodici studi op. 8 di Skriabin con i quali conclude il suo concerto senza concedere bis.

Marie Kiyone, dal Giappone, parte invece con Skrjabin: subito decisa nell’Allegro con fuoco dalla Sonata n. 1 in fa minore op. 6 avanza poi navigando nei Préludes op. 74 dai titoli descrittivi che accompagnano o sostituiscono del tutto le indicazioni di tempo. Il primo, Douloureux, déchirant, inizia subito dissonante, l’Allegro drammatico fa pensare ad un uomo che avanza correndo ed inciampando sotto la pioggia, il Lent, vague, indécis in un primo momento evoca Debussy ma poi se ne discosta non avendone la tipica “liquida” sonorità. Passando a Chopin col Preludio in do diesis minore arriva in sala un po’ di luce, come se venissero scostate delle tende che oscurano le finestre di una stanza chiusa da anni. Sensazione incrementata col passaggio ai brani impiantati su tonalità maggiori: l’Improvviso n. 3 in sol bemolle maggiore op. 51 e la Barcarola in fa diesis maggiore op. 60. Nel complesso un programma più introverso, rispetto a quello più virtuosistico della russa ascoltata il giorno precedente, eseguito, forse, col limite di non aver mai dimostrato la padronanza anche del “pianissimo” e concluso due bis ancora di Chopin: una mazurka il primo ed un notturno il secondo, ma perché non annunciarli? Sarà pur vero che la musica vale per il suono e non per il titolo, ma allora dovrebbero risultare inutili anche i programmi di sala.

Il nostro personale trittico pianistico si è concluso con Alessandro Tardino che ha infilato Skrjabin e Chopin alternandone rispettivamente Poemi e Mazurche (molto bella la n. 3 in do diesis minore op. 63) in un’esecuzione proposta tutta di filato senza lasciare spazio ad alcun applauso fra un brano e l’altro e nella quale il tentativo di battere le mani sembrava quasi una fucilata sparata per abbattere una lepre in corsa impossibile da fermare altrimenti!
Particolare l’assortimento di una serie di 19 brevissimi Preludi da diversi numeri d’opera di Skrjabin, non facili da riconoscere (farebbe comodo l’orecchio assoluto) ed anch’essi contraddistinti anche da denominazioni variamente fantasiose (Doloroso, Patetico, Elevato…) ed inclusivi di divertenti errori nell’uso della lingua italiana (Patetico con delizio e Festivamente) quando era la lingua internazionale della musica.
Bei tempi! Chissà perché oggi compositori contemporanei italianissimi scrivono pezzi titolandoli in inglese... forse per sfondare sui mercati esteri? Mah.

Giovanni Guzzi, ottobre 2015
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