L'Eclettico



Il raro Mozart incompiuto



Con La Fenice di Venezia risorge in San Marco la Messa in do minore K427

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IL RARO MOZART INCOMPIUTO

Con La Fenice di Venezia risorge in San Marco la Messa in do minore K427


PROLOGO: l'arrivo e l'attesa

La scelta di offrire musica colta eseguita durante la liturgia per la quale è stata composta è una felicissima intuizione di MiTo Settembre Musica che meriterebbe di essere emulata anche da altri per tutto l’arco dell’anno. Un tempo in San Marco a Milano questa era una tradizione consolidata nei tempi di Quaresima e Avvento. Oggi, purtroppo, la proposta si limita al festival citato e generalmente non ce la lasciamo sfuggire.

Quest’anno, seppure a malincuore, avevamo tuttavia deciso di rinunciarvi: la Messa per soli coro e orchestra in do minore K 427 di Wolfgang Amadeus Mozart era infatti annunciata in Duomo; luogo sicuramente di grande prestigio per artisti ed organizzatori ma dall’acustica pessima per la musica. Ricordiamo ancora con sofferenza come, anni fa, vi siano risultati irriconoscibili perfino i mitici Tallis Scholars. Si può quindi immaginare con quale soddisfazione abbiamo letto il comunicato stampa in cui si avvertiva dello spostamento nell’ormai tradizionale sede della basilica in zona Brera!

Inforcata la bici eccoci dunque per strada già pregustando le grazie spirituali e culturali che ci avrebbero benedetti. Arrivati a destinazione curiosamente abbiamo constatato come diversi altri ciclisti incrociati lungo il percorso avessero la stessa nostra meta! È ottima cosa che si stia diffondendo la consapevolezza che “è tutta un’altra musica” quando ci si reca in bici ad ascoltarla!
Il risvolto negativo della medaglia è che in piazza san Marco e dintorni per le bici non c’è tutto il posto che occorrerebbe. Portabici non ve ne sono, ogni palo, grata o ringhiera è preso d’assalto. Perfino le reti del cantiere sul fronte della chiesa. C’è addirittura chi arriva ad appendere il proprio velocipede ai ferri delle balaustre sul perimetro della piazza come fosse un quarto di bue in macelleria… approfittando della forma di gancio del suo manubrio da corsa. Da parte nostra, approfittando della catena lunga, assicuriamo la bici “in doppia fila” sovrapposta ad un’altra… beninteso lasciandole lo spazio per l’uscita nel caso il proprietario se ne dovesse andare prima del nostro ritorno.

Se c’è affollamento di mezzi meccanici all’esterno figurarsi il pubblico in chiesa: “Abbiamo fatto il tutto esaurito!” ci dice l’addetta stampa mentre vi entriamo anche noi.
L’orchestra del Teatro La Fenice di Venezia e il suo direttore Diego Matheuz sono un richiamo suggestivo e la fantasia ci porta ad immaginare che in via Fatebenefratelli invece che le auto scorra il Canal Grande.
Con fortuna analoga a quella dell’automobilista che trova immediato parcheggio grazie ad un’auto che libera il posto proprio al suo arrivo, anche noi riusciamo insperatamente a sederci vicini all’altare, seppure nel poco ambito posto dietro ad una colonna che cela alla nostra vista direttore e solisti. Ma quel che più conta della musica è ascoltarla, quindi va benissimo così. Per di più, nel corso dell’esecuzione scopriremo un curioso effetto stereofonico generato dalle voci soliste che ci arrivano prevalentemente da sinistra dalla colonna mentre il suono di orchestra e coro, che parzialmente vediamo, ci giungono dalla destra!

I minuti che trascorrono in attesa del tintinnio di campanelli che annuncia l’ingresso del sacerdote nell’aula e l’inizio della celebrazione li trascorriamo divertiti assistendo alla lotta senza quartiere di una signora che, seduta accanto a noi, è agguerrita come una mangusta nel difendere il territorio per tenersi libero il cono visivo. Giovani e adulti, anziani e bambini… chiunque sopraggiunga a frapporsi fra lei ed i musicisti è cacciato con veemenza e senza alcuna pietà! Viene da dire anche che non ha tutti i torti…
Poiché i maleducati non finiscono mai, prosegue per quasi tutta la Messa l’andirivieni di chi continua a sopraggiungere a dare uno sguardo e scattare foto piazzandosi davanti a chi è arrivato col dovuto anticipo per trovare un posto confacente alle proprie aspettative. Davvero non si finisce mai di stupirsi nel constatare quante persone siano convinte di essere consanguinee dell’… uomo invisibile!
Finalmente arriva una coppia che, prendendo atto della totale saturazione degli spazi lungo le pareti della chiesa e l’inaccessibilità delle balaustre in marmo delle cappelle laterali, già da tempo occupate, si siede a terra ed impegnando fisicamente lo spazio, impedisce stazionamento e transito di nuovi potenziali usurpatori… con gran sollievo della signora sopra citata!


LA MUSICA: storia e "cronaca"

Venendo alla musica, questa Messa è ben diversa dalla Missa brevis in Fa maggiore KV 192 del 1774 ascoltata sempre per MiTo, sempre qui in San Marco nel 2014. Tanto drammaticamente dolente è questa quanto quella era quasi una sorta di camuffamento sotto il quale Wolfgang “nascondeva” la sua libertà di ispirazione per aggirare i severi dettami dell’Arcivescovo Colloredo (si legga I violini di Mozart? Non a messa).

Incompiuta come il Requiem, fatto inusuale per Mozart, è composta nel 1783, quando il ventisettenne Wolfgang sta tentando di affermarsi a Vienna come concertista e compositore autonomo dalla benevolenza di principi ed ecclesiastici. Da appena un anno ha sposato Konstanze (il 4 agosto 1782), nonostante molti ostacoli e la disapprovazione del padre Leopold. Per questa ragione esprime il voto di comporre una Messa se riuscirà a portarla a Salisburgo come legittima consorte.

Il viaggio auspicato avviene poco dopo la nascita del primogenito Raimund Leopold a Vienna il 17 giugno 1783 dove viene lasciato mentre i due arrivano a Salisburgo. Il voto viene perciò onorato e la Messa composta… ma il suo carattere e la tonalità d’impianto non sembrano trasmettere la gioia che ci si sarebbe attesi per un desiderio finalmente avverato. Forse l’autore presente la tragedia che lo colpisce per la morte del bambino che avviene il 18 agosto, con i suoi genitori lontani. La Messa, non ancora terminata e che non lo sarà mai più, viene eseguita a Salisburgo il 26 ottobre con Konstanze nel ruolo di soprano solista.

È impossibile esplorare a dovere tutte le linee musicali di questa costruzione nella quale l’autore stravolge ogni formula precostituita affidando alla musica, che è la massima espressione di libertà, la speranza che ascoltandola siamo aiutati a capire qualcosa di Dio ma anche di noi stessi, specialmente nei momenti di maggiore difficoltà.

È un’opera nella quale si intrecciano fede e disperazione.
Il Kyrie, solennemente doloroso, a volte sommesso, a volte assertivo, è un Andante moderato in cui, introdotto da figure discendenti degli archi, il soprano dialoga col coro invocando pietà.

Nel Gloria ogni versetto è un modulo musicale autonomo. Un colpo di timpano dà il via al coro per l’Allegro vivace iniziale che diventa un gioioso Allegro aperto con i leggeri gorgheggi del solo soprano nel Laudamus te. L’Adagio Gratias agimus del coro è una vera invocazione di grazie dopo il quale soprano e mezzo soprano duettano l’Allegro moderato Domine Deus.
Il Largo doppio coro del Qui tollis arriva con arcate solenni in ritmo puntato e davvero dal profondo dell’anima, la musica tocca il pianissimo nella richiesta di misericordia - miserere nobis umile come solo chi davvero sa di averne bisogno la può chiedere - per crescere di volume sempre ancorata sui bassi degli archi nella preghiera che la supplica sia accolta.
L'atmosfera si fa più leggera per l’Allegro nel quale, in trio, soprano, mezzo soprano e tenore si alimentano vicendevolmente in progressioni che affermano la Santità di Dio nel quale riporre la fiducia di essere salvati.
E di nuovo è un colpo di timpano a restituire al coro la parola nell’Allegro fugato Cum Sancto Spiritu in cui entrano anche i fiati fino al solenne Amen finale dopo il quale il pubblico è bravo a trattenere l’applauso che verrebbe spontaneo ma sarebbe inappropriato a celebrazione ancora in corso.

Nell’Allegro maestoso del Credo in Do maggiore, ipotizziamo che Mozart abbia voluto dare al coro il compito di rassicurarlo sulla bontà della Trinità che una scala discendente infine accompagna fra gli uomini nella sua discesa dai Cieli.
Delicato, di una dolcezza infinita, è l’Andante, introdotto da flauto ed oboe, dell’Et incarnatus; cantato dal soprano solo che si propone in ripetuti, acuti, vocalizzi - contrappuntati dai legni - sulle parole “et homo factus est” per far capire bene che è in queste che risiede il “succo” di tutto.

Di nuovo il colpo di timpano, questa volta accompagnato dalle fanfare dei fiati, ed il doppio coro incede nell’Allegro maestoso del Sanctus, dapprima solenne e via via in crescendo fino ad una progressione molto orecchiabile e quasi da musica “popolare” nell’intonare il versetto Pleni sunt coeli et terra gloria tua.
Dopo la fuga dell’Hosanna il Benedictus per quartetto di solisti e coro è proposto come finale anche della celebrazione liturgica.
È un Allegro comodo, ricamato da archi in stile veneziano, che è davvero intreccio di libertà e speranza al quale il pubblico può finalmente tributare un battimani infinito, trattenuto fino a questo momento, implorando il bis che, ovviamente, non può essere concesso.

Una mattinata di grande bellezza, dunque, con una sola perplessità suscitata dall’ascolto sul sagrato di una conversazione al cellulare di una spettatrice appena uscita di chiesa: “... Diciamo che era “interrotta dalla liturgia” anch’io mi aspettavo solo la musica!
Un’affermazione che fa pensare e sulla quale sarà opportuno tornare a riflettere. Non mancheremo di farlo.

Giovanni Guzzi, settembre 2015
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