L'Eclettico



Acqua come fonte di potere



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L’ACQUA COME FORMA DI POTERE

 
Visto e considerato che sono uno speleologo e lo speleologo si interessa di acqua, direi che due parole sull’argomento legato a questo elemento che scava le grotte e poi le panneggia di concrezioni si possono spendere.
La privatizzazione dell’acqua è purtroppo inquinata da agenti partitici e quindi politici o, se più vi piace, da fattori politici e conseguentemente partitici.
Stiamo comunque dirigendoci verso la perdita di sovranità da parte dello Stato, con il conseguente aumento di potere da parte di incontrollate e incontrollabili entità. Come, ad esempio, banche e multinazionali.
Argomenti sui quali si può argomentare a lungo, ma in questa occasione voglio svilupparli da un punto di vista prettamente storico.
Il medioevo italiano ha visto la costruzione di formidabili strutture difensive, le quali hanno sfidato i secoli per giungere fino a noi sostanzialmente immutate. La loro acquisizione da parte delle nuove odierne realtà comunali e il loro recupero hanno talvolta gettato raggi di luce sul passato, facendoci cogliere spaccati di vita quotidiana non così lontani dall'attuale.
Il borgo marchigiano di Gradara è tutt’oggi protetto dalla cinta muraria del XIV secolo e dominato dal castello costruito dai Malatesta di Verrucchio su precedenti fortificazioni e restaurato dagli Sforza alla fine del XV secolo.
Un recente studio sulle mura accenna al rapporto tra il borgo, proprietà dei borghigiani dal 1363, e i signori feudali proprietari del castello, denominato anche rocca: «Mentre, infatti, questa, racchiusa nel più breve circuito delle mura del girone, è di proprietà dello Stato centrale ed è completamente avulsa dalla vita dei cittadini mai chiamati a partecipare alle feste di corte né alla presa di possesso dei vari enfiteuti, le mura della terra (il centro storico vero e proprio) sono invece di proprietà della comunità e da questa orgogliosamente custodite e mantenute. E ciò dal 1363 a tutt’oggi ininterrottamente» (Bischi D., Il castello e le sue mura, in Bischi D., Cucchiarini E., Le mura di Gradara, Editrice Fortuna, Fano 1996, p. 16).
Ed ecco il punto che direttamente riguarda la fruizione dell’acqua potabile da parte del popolo: «Tacita riconoscenza ci fu, per le famiglie della terra e del borgo, solo per l’uso della cisterna all’interno della rocca. Nel 1853 il Governo Pontificio decideva infatti, per le condizioni disastrose della rocca, lo smantellamento di tutto il complesso al fine di ricavarne materiali di risulta (ornati, coppi, laterizi, ecc.).
Il periziato introito fu di scudi 7359. Per l’utilità della cisterna, che sarebbe venuta a mancare con lo smantellamento dei tetti, il comune di Gradara, fino ad allora disinteressato all’acquisizione della rocca, ne chiese ed ottenne l’enfiteusi prima e la proprietà dopo al solo scopo di salvaguardare l’approvvigionamento idrico del castello.
Impossibilitato però a garantire la gravosa manutenzione della rocca, il comune la cedette, nel 1877, riservandosi però la fruizione della cisterna che, di proprietà del Conte Alessandro Bonacossi alle stesse condizioni fu ceduta nel 1919 all’ingegnere Umberto Zanvettori di Belluno» (Ivi).
Innanzitutto mi viene da pensare che l’equilibrio mantenutosi nel tempo tra feudatari e popolo poggiasse anche e soprattutto sul fattore acqua potabile.
Se i borghigiani dovevano recarsi al pozzo del castello per l’approvvigionamento, immaginiamoci cosa sarebbe potuto accadere se gli stessi avessero contestato o si fossero in qualche modo posti in contrasto con l’autorità centrale: questa gli avrebbe, per così dire, chiuso i rubinetti e li avrebbe assetati.
Quindi al popolo conveniva stare buono e, a ben guardare in questo XXI secolo, in alcuni paesi esteri le cose non sono mutate.
 
Gianluca Padovan, giugno 2013
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