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Piove sul bagnato



Il caso emblematico del Seveso a Milano

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PIOVE SUL BAGNATO

Il caso emblematico del Seveso a Milano

 
A furia di vederlo da decenni allagare Niguarda, viene naturale domandarsi cosa mai succeda al Seveso nel momento in cui, da nord, varca il confine cittadino ed entra in Milano.
 
La prima immediata osservazione che può fare chiunque è che, non appena oltrepassa il punto nel quale sorgeva il vecchio Dazio, questo corso d’acqua a regime torrentizio (ovvero soggetto a variazioni di portata che dipendono dal regime delle piogge) è costretto ad un percorso sotterraneo dal quale riemerge a sud della città, a San Donato Milanese.
Per ogni sua esondazione, evento la cui frequenza ormai gareggia con quella dell’acqua alta a Venezia, al solito si invoca lo “stato di emergenza”.
Ma, anche se negli ultimi tempi sulla stampa va di moda parlare di “bombe d’acqua”, le piogge accusate di determinare il problema, seppure intense, non sono nubifragi.
Nell’autunno 2010 (quando il Seveso ha inaugurato la metropolitana Lilla arrivando a Zara attraverso il nuovo tunnel allora in costruzione!) sono caduti da 100 a 120 mm di pioggia nelle 48 ore, con massimi orari attorno a 10 mm/ora (Aggiornamento 2014. Dati analoghi sono stati misurati in concomitanza con i più recenti significativi allagamenti che hanno raggiunto il quartiere Isola: 60 mm di pioggia in 6 ore circa nelle prime ore di martedì 8 luglio).
Poiché nel bacino idrografico del Seveso sono stati registrati con cadenza almeno biennale valori anche superiori, i veri problemi sono altri.
Prima di tutto occorre dunque rimarcare che la totale compromissione del reticolo idrico superficiale minore e l’organizzazione delle reti fognarie dei comuni attraversati fanno sì che nel Seveso siano recapitate non solo le acque del suo naturale bacino idrografico bensì anche acque che dovrebbero defluire verso altri bacini; ad esempio quelle di Cinisello Balsamo.
 
A questo problema si sommano poi, ovviamente, le conseguenze della progressiva, incessante sigillatura del territorio.
Perversa abitudine a parole ormai stigmatizzata da tutti ma quotidianamente tuttora praticata in piccoli e grandi interventi in ambito sia pubblico e sia privato, alla quale si accoda anche chi gestisce i parchi naturali della zona ed impermeabilizza le superfici di percorsi interni e parcheggi invece di essere d’esempio nel salvaguardare la funzione di assorbimento idrico dei terreni naturali.
Passando ad esaminare il profilo dell’idraulica fluviale è risaputo che il Seveso a Milano (all'imbocco del tunnel) ha una sezione che consente una portata massima “ufficiale” di 40 mc/s (metri cubi al secondo), mentre la sezione è più ampia nella tratta ad alveo scoperto a monte della tombinatura e consente una portata fino a 100 mc/s.
Un parziale supporto lo offre a Palazzolo di Paderno Dugnano uno scolmatore che consente di evacuare verso il Ticino una portata di 30 mc/s.
Considerando un contesto quale quello fin qui delineato è facile capire perché precipitazioni per nulla eccezionali mettono in crisi tutto il sistema di gestione delle acque.
Basta infatti poco a far sì che la portata del Seveso ecceda i 40 mc/s, all’inizio della tratta tombinata nella periferia nord di Milano (Niguarda), e ogni volta che questo accadrà non potrà che verificarsi sistematicamente una esondazione delle sue acque che, attraverso le fognature, risaliranno in superficie allagando le cantine e riversandosi nelle strade che vengono così a svolgere la funzione in passato assolta dal reticolo idrico superficiale che l’urbanizzazione ha cancellato.
Qui, come altrove, si vorrebbe risolvere il problema realizzando nuovi canali scolmatori che, incrementando la portata di quello esistente, dovrebbero portare l’acqua nell’alveo del Ticino e del Lambro (che già soffrono i loro, analoghi, problemi).
E si accusa l’inerzia di chi tarda a realizzare queste opere, visto che per sostenere i loro costi, piuttosto rilevanti, sarebbero già state accantonate le necessarie risorse economiche.
 
Così facendo, però, è stato osservato che si contaminerebbero Ticino e Lambro con acque fortemente inquinate, che lo sono ancor di più proprio durante le piene: sia perché in queste circostanze le acque reflue sono scaricate direttamente in corso d’acqua saltando i depuratori, il cui funzionamento verrebbe danneggiato a causa del carico organico troppo diluito, sia perché aziende disoneste approfittano di questa situazione fuori controllo per riversare in fognatura anche ciò che non sono autorizzate a scaricare.
Dal punto di vista idraulico questa presunta soluzione è solo un trasferimento del problema su altri bacini idrografici ed aggrava, per la città di Pavia e il Sud-Est milanese, il rischio di piene distruttive.
Senza voler negare l’utilità, e talvolta la necessità, di importanti opere ingegneristiche, siamo convinti che, come spesso accade, le soluzioni più semplici e meno dispendiose siano le più efficaci.
Fra queste, specialmente per le zone densamente urbanizzate, un ruolo determinante può essere svolto dal verde urbano, inteso non solo in senso ornamentale; un tema che approfondiamo qui.
 
Giovanni Guzzi, marzo 2013
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