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Tagliare l'erba, con cura



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TAGLIARE L’ERBA, CON CURA

 
Da un geometra ci si aspetta che sappia distinguere una porta da una finestra. Da un medico che conosca l’uso delle siringhe. Da un ingegnere che sia capace di fare i calcoli giusti per far stare “in piedi” ponti e case. Ogni attività lavorativa, dalla più semplice alla più complessa, richiede adeguate competenze e presuppone, nell’esercitarla, che siano effettivamente messe a servizio dell’opera che ci si accinge a compiere, meglio se con cura e passione. Regola alla quale non sfugge il taglio dell’erba.
L’avvio della nuova stagione di sfalci, dopo che le prime piogge, hanno favorito la ricrescita primaverile, ci suggerisce di proporre qualche riflessione sull’argomento.
Ma perché mai dedicare un articolo ad un’operazione la cui esecuzione appare del tutto elementare?
Se teoria e buon senso sembrerebbero rendere superfluo lo scriverne, quel che si vede nelle nostre città dimostra, invece, quanto sia necessario farlo; se non altro per stigmatizzare una censurabile “leggerezza” ancora troppo comune e colpevolmente sottovalutata.
In particolare ci preme riferirci al taglio dell’erba nei tornelli e negli spazi verdi che ospitano anche alberi. Operazione per la quale il decespugliatore è entrato a pieno titolo fra gli strumenti dell’attrezzatura dei manutentori del verde da almeno un paio di decenni, ed i cui effetti si vedono ormai tutti con grande evidenza al colletto degli alberi, specie di quelli coevi a questa innovazione tecnologica.
 
Sulle cortecce ancora giovani e sottili, le ripetute “frustate” che, anno dopo anno, ad ogni “taglio” ritornano periodicamente a colpire il punto già ferito, hanno un effetto devastante e distruttivo. Purtoppo noi “umani” fatichiamo a renderci davvero conto di ciò che le nostre azioni provocano agli alberi. Sull’argomento in discussione ci potrebbe forse essere d’aiuto provare a percorrere anche solo qualche metro a gambe nude fra i rovi… e sperimentare l’effetto che fa il passaggio di una nuova spina nella ferita aperta dal tralcio precedente!
Oltre l’inciso “didattico”, resta il fatto che sono innumerevoli gli alberi sui quali l’azione dei decespugliatori ha lasciato segni profondi, permanenti ed irreversibili. Un danno irreparabile ad un “arredo urbano vivente” il cui valore (anche monetizzabile) continua ad accrescersi giorno dopo giorno in proporzione alla sua età: purché, però, sia mantenuto in condizioni vegetative ottimali.
Ed invece l’incisione del decespugliatore spesso arriva a mettere a nudo la porzione più interna del tronco fino a raggiungere il legno morto, che è perciò facilmente attaccato da agenti atmosferici, funghi e xilofagi. Fanno “tenerezza”, attorno a queste lesioni, i reiterati e più o meno estesi cordoni di reazione che l’albero tenta di produrre come estremo tentativo di autodifesa: vanificato dal successivo passaggio dell’operatore.
Nonostante la “miracolosa” capacità degli alberi di sopravvivere anche quando la ferita è un anello quasi completo su tutta la circonferenza del tronco e l’unico collegamento fra apparato radicale e chioma è limitato ad un esiguo “istmo” di legno vivo che permette il passaggio dei fluidi vitali, si tratta di un grave danno che può innescare problemi di stabilità con rischi per cose e persone. Non sembra possa arginare il problema quanto previsto dai capitolati d’appalto, in genere dettagliatissimi nello specificare inadempienze e relative penali che, tuttavia, restano per lo più disapplicate. Né sembra risolutivo proteggere il colletto degli alberi più giovani con fasce di gomma o tubi in plastica: attrezzature di utilizzo occasionale (anch’esse costano) e di effetto paesaggistico non proprio gradevole.
In alternativa, per contrastare naturalmente la crescita dell’erba e tenere lontano l’operatore armato della micidiale falce a motore, si potrebbero piantare attorno al tronco altre essenze erbacee o con portamento cespuglioso e radici non in competizione nei confronti di quelle dell’albero.
In ogni caso è indispensabile che le imprese coltivino meglio la formazione professionale dei propri operatori addetti allo sfalcio, lavoro che richiede cura ed attenzione e non va considerato di “bassa manovalanza”. Se poi anche i funzionari pubblici esercitassero un più puntuale controllo sull’operato delle ditte appaltatrici non ne guadagnerebbero soltanto gli alberi… ma noi tutti.
 
Giovanni Guzzi, maggio 2013
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