Fano Jazz By The Sea
Con la prua rivolta verso nuove rotte
L'ECLETTICO - web "aperiodico"
FANO JAZZ BY THE SEA
Con la prua rivolta verso nuove rotte
Partiamo dal finale: “con l’edizione 2014 di Fano Jazz By The Sea si chiude un ciclo di 22 anni”…
Quando Adriano Pedini, mente e braccio del prestigioso Festival adriatico, pronuncia queste parole dal palco del Teatro della Fortuna presentando l’ultimo concerto della stagione, un brivido accompagnato da un senso di sgomento attraversa gelido il pubblico (incluso chi scrive).
Ma niente paura, gli amanti del jazz possono stare tranquilli, non si tratta di una resa ma di una pacifica “dichiarazione di guerra” a favore della cultura, come precisa immediatamente dopo con ferma convinzione. La nuova sfida che Adriano ed il suo coeso e motivato staff di appassionati collaboratori (fatto anche di giovani volontari disponibili 24 ore su 24) vogliono ora vincere è, infatti, quella di fare sì che il Festival possa assumere un ruolo centrale nella politica culturale della città di Fano.
Nell’affrontare questa impresa Pedini e i suoi sanno che il pubblico è dalla loro parte e non ha mai mancato di far sentire loro il suo sostegno. Ne è riprova il fatto che, nonostante quest’anno l’organizzazione abbia dovuto affrontare problemi non trascurabili a causa dei quali Fano Jazz ha avuto “qualche” difficoltà ad avviarsi, e di conseguenza anche la comunicazione promozionale è partita in ritardo, il bilancio finale è positivo e gli spettatori presenti hanno superato quelli dell’anno precedente. Un “recupero” al quale hanno contribuito anche gli “strateghi” di web e social media che a loro volta si sono così guadagnati un pubblico encomio!
Tutto ciò dimostra che il Festival può dare un contributo alla cultura e alla ricchezza della comunità, ricchezza anche in senso strettamente economico creando occupazione e costituendo un’attrattiva per il turismo con un’offerta di qualità. L’obiettivo è dichiarato e, continua Pedini senza cercare alibi: “se lo mancheremo la responsabilità sarà soltanto nostra”.
Ed è la città tutta che ha soltanto da guadagnare da una realtà come questa. L’ha raccomandato anche il Vescovo Trasarti nella sua predica durante la Messa celebrata sotto il Faro per la consueta Festa del Mare di inizio agosto: occorrono fantasia e coraggio per ideare iniziative valide che portino gente a Fano, ma anche nel suo entroterra, creando sinergie di mutua collaborazione fondate sulle eccellenze che non mancano certo e che ogni parte del territorio può offrire alla “causa comune”.
Questo invito Fano Jazz l'ha già raccolto e messo in pratica da tempo, anche con diverse iniziative collaterali.
Ad esempio Street Jazz in Town, che ha proposto una serie di concerti all’ora di cena fra le piazze e gli scorci più suggestivi della città, offerti agli avventori dei locali che hanno collaborato all’iniziativa ed ai passanti che semplicemente si sono accomodati, per limitarci ad un appuntamento fra i tanti, sui gradini dell’antica basilica del patrono cittadino San Paterniano ad ascoltare il repertorio in stile jazz manouche (ovvero di ascendenze gitane) col quale un trio costituito da due chitarre e contrabbasso ha reso omaggio al “monumento del genere”: il grande chitarrista Django Reinhardt.
E ancora il consueto appuntamento a ingresso libero che porta gli appassionati verso la montagna, alla Golena del Furlo (ottima l’idea di istituire un servizio “navetta” per il pubblico non automunito). Personalmente ancora rimpiangiamo di esserci persi la potente energia funky che, ci è stato confermato da chi c’era, è stata dispensata senza risparmio dal trombone di Fred Wesley, storico partner di James Brown, con i suoi New JBS.
Fra le collaborazioni non strettamente musicali, ma comunque di promozione-valorizzazione del territorio, sono state apprezzate le degustazioni di vini D.O.P. offerte al termine di alcuni concerti grazie all’Istituto Marche di Tutela Vini e merita un particolare elogio la significativa partecipazione a Fano Jazz del Liceo Artistico Apolloni di Fano - Polo Scolastico 3, i cui allievi si sono cimentati come fotografi di scena e realizzeranno un servizio fotografico sul festival.
Per chi scrive dunque l’obiettivo di Pedini & C. è già pienamente raggiunto e Fano è già oggi riconoscibile anche per il Fano Jazz By The Sea, un festival che ha nella felice scelta grafica della tromba disegnata da una gomena con i galleggianti arancioni per tasti il suo marchio di fabbrica.
Un logo che è bello vedere sui manifesti che ci accolgono non appena arriviamo in città uscendo dalla stazione ferroviaria e sui quali subito ricerchiamo gli appuntamenti che vorremmo poter seguire tutti proprio per vivere appieno l’atmosfera della rassegna.
Un logo quest’anno davvero emblematico visto che Fano Jazz 2014 è stato proprio all’insegna della tromba ospitando due grandi virtuosi italiani che allo strumento affidano, ciascuno col proprio specifico talento, l’espressione del rispettivo mondo interiore di interpreti: Paolo Fresu in apertura e Fabrizio Bosso nel concerto finale.
BREVE DIARIO "PERSONALE" DEL FESTIVAL
Bosso, la cui carriera è cresciuta col Fano Jazz, all’organizzazione ed agli affezionati spettatori arrivati al Teatro della Fortuna per ascoltarlo ha dedicato un riconoscente apprezzamento: “Questa è un’isola felice, qui il pubblico non deve essere conquistato brano dopo brano come succede altrove… qui ci siete subito!”.
E subito, con l’amico di lunga data Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, c’è stato anche Bosso, fin dalle prime note di But Not For Me di George Gershwin, in una continua alternanza di momenti lirici (personalmente da chi scrive più apprezzati) e spettacolari assoli proseguiti sulle atmosfere brasiliane della Bossa Nova di Tom Jobim (Luiza), nel pianismo sincopato di Dizzy’s Blues, attraversando la canzone d’autore italiana con le calde note di Estate…
In una contaminazione di generi arrivata fino alla conclusiva Ninna nanna di Brahms, dopo un bis in cui Mazzariello è tornato sul palco a “tempestare” i tasti del suo pianoforte o estrarne metallici rasgueados sfiorandone direttamente le corde a mani nude, mentre Bosso sorprendeva il suo stesso collega di volta in volta apparendo inaspettato ospite degli spettatori di un palchetto o attraversando la platea fra i suoi ammiratori adoranti come se fosse una “divinità” musicante!
Atmosfere più rarefatte erano state presentate qualche giorno prima dal progetto Silence. Di esso ci incuriosiva ascoltare come sarebbe stata risolta la sperimentazione delle potenzialità espressive ottenute accostando il suono acustico a quello elettronico.
A proporlo un trio di grandi individualità: Danilo Rea, fra i maggiori pianisti in Italia ed Europa, Paolo Damiani, compositore, direttore d’orchestra e titolare della classe di jazz al Conservatorio di Roma, al violoncello e Martux_M all’elettronica.
Se l’inizio ritardato da un problema al computer di Martux_M ha rafforzato in noi il convincimento che ci fa prediligere gli strumenti non bisognosi di amplificazione, occorre dire che le perplessità e la diffidenza che avevamo per la tecnologia prima del concerto sono state progressivamente fugate via via che la musica prendeva quota nella notte stellata della Corte Malatestiana.
Certo un ruolo importante a favore del nostro personale gradimento non si può negare l’abbia giocato il pianismo sempre cantabile e melodico di Rea, sia nelle sue composizioni originali come Passi Nell'Acqua e Silence in via Panisperna sia nelle parafrasi di spendidi brani immortali come le riconoscibilissime anche all’orecchio meno affinato Across the Universe e Norvegian wood dei Beatles.
Opportunamente per questi brani Martux_M si spostava dalla consolle intrecciata di cavi a una più jazzisticamente classica composizione fondamentale della batteria acustica costituita da rullante, charleston e piatto ride, percussioni suonate anche più lievemente con le spazzole. Ma quando nel resto del concerto, e particolarmente nella sua musica, come Xcape, tornava dietro le sue “diavolerie”, anche ad un appassionato delle armonie barocche come il sottoscritto non sono affatto dispiaciuti gli “alveari” di elettronici tamburi tribali che accompagnavano il dialogo musicale fra pianoforte e violoncello.
Presente nel trio ad assolvere il ruolo del basso, ma anche con funzione di voce autonoma e non soltanto ritmica, purtroppo il violoncello è risultato per diversa parte del concerto un po’ sacrificato dalle sonorità naturalmente potente del pianoforte ed amplificata dell’elettronica.
Le sue peculiarità di strumento che più si avvicina alla voce umana ed il virtuosismo di chi lo imbracciava sono invece emersi quando diventava protagonista di assoli o nei brani di Damiani Rumori Mediterranei e Passi, bis dedicato al maestro Charlie Haden morto a inizio estate: introdotto da un arpeggio a solo di violoncello, trattato quasi fosse una chitarra o un sitar prima dell’entrata degli altri strumenti.
Un'affinità con la chitarra che è stata presente anche in altri pezzi in cui Damiani l’ha suonato quasi “spennando” come se stesse usando una chitarra ritmica. Abbiamo invece apprezzato di meno altri effetti come il pizzicato su ostinato di sé stesso ripetuto ciclicamente in loop (usato anche da Fabrizio Bosso) o la “forzatura”, del mallet (bacchetta di batteria con la punta ricoperta da un feltro morbido) infilato fra le corde del violoncello percorse dall’archetto.
Un panorama sonoro completamente diverso è stato invece protagonista del terzo dei concerti del programma principale di Fano Jazz 2014 che siamo riusciti a seguire e che, causa maltempo, come altri di questa stagione è risuonato sotto gli stucchi neoclassici del Teatro della Fortuna anziché fra le architetture rinascimentali della Corte Malatestiana.
Un incontro all’insegna dell’organo Hammond, un suono tipico della musica degli anni ’60-’70 di fronte al quale le ricerche dell’era digitale non hanno potuto far altro che constatare l’impossibilità di riprodurlo.
Principale attrazione di una lunga serata Pop il tastierista britannico Brian Auger padrino dell’Acid Jazz col suo “fratellino” (a dire il vero un po’ attempato) Alex Ligertwood voce, fra altre rockstar, per Carlos Santana.
Ad accompagnarli la band di Auger: gli Oblivion Express, fra essi, alla batteria, anche il figlio Karma.
In repertorio il Jazz Rock degli anni ’70 che affonda le sue radici nel Jazz di Duke Ellington, John McLaughlin e John Coltrane che, a conclusione del programma ufficiale, è stato rievocato dal celeberrimo “mantra” «A Love Supreme ... A Love Supreme».
Davvero coinvolgente è stato infine il bis eseguito a band riunite assieme ai pesaresi Log2, unica tribute band in Europa che dagli anni ’70 esegue musica di Brian Auger e che lo aveva preceduto sulla scena nella prima parte del concerto.
Durante la sua performance più volte Auger aveva reso loro omaggio citandoli esplicitamente quando presentava i suoi pezzi e sono state davvero palpabili la loro emozione e la carica profusa nel dare tutto di sé suonando assieme al proprio idolo, viene da dire quasi meglio della band ospite. Senza nulla togliere agli altri della formazione locale, ci è piaciuto molto il suono del chitarrista Claudio Cardelli.
Peccato invece per la voce solista dei Log2, un po’ bassa nella loro parte di serata, forse per problemi tecnici di audio legati agli spostamenti di palco causa pioggia di cui si è scritto, o forse perché potenza e sonorità della musica pop-rock, nel contesto di un teatro d’opera, oltre che inusuali non sono del tutto adatte alle sue caratteristiche costruttive.
Un problema tuttavia del tutto trascurabile per Auger che, anzi, sempre prodigo di gentilezza tutta britannica nell’inchinarsi e ringraziare a più riprese il pubblico per tutta la serata, si è dichiarato onorato di suonare in un luogo simile, aggiungendo un’espressione di compiaciuto stupore al pensiero che sia stato realizzato appositamente per i musicisti.
Ed un problema inesistente per i suoi fans che a fine concerto l’hanno circondato agitando davanti a lui LP originali in vinile appositamente portati per farli autografare dal proprio beniamino.
Non siamo certi che fra questi ci sarà stata la turista bergamasca conosciuta facendo la fila al botteghino, sappiamo però che come lei diversi altri (noi compresi) già attendono di tornare al mare nell’estate 2015 per la prossima edizione di Fano Jazz By The Sea.
Ed allora buon lavoro ad Adriano Pedini ed ai suoi collaboratori che già vi si stanno dedicando, cominciando dalla ricerca di sponsor che credano ed investano nell’iniziativa consapevoli che, come si è detto più sopra, la cultura può anche pagare.
Da parte nostra, col racconto di questo diario del Festival che abbiamo personalmente vissuto, confidiamo di aver spezzato una buona lancia che possa incoraggiare nuovi suoi potenziali sostenitori.
Giovanni Guzzi, agosto 2014
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FOTO
Maurizio Tagliatesta