O Grande Mistero
La messa dell'antico spagnolo
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O GRANDE MISTERO
La Messa dell'antico spagnolo in Sant'Ambrogio
Ho passato la mattinata ad ascoltare le parti di ciascuna delle voci che formano la polifonia della Messa cinquecentesca con la quale oggi si è pregato in Sant’Ambrogio. È una Messa Parodia, nel senso che, anziché utilizzare come tema musicale di partenza una semplice melodia preesistente, il suo autore, per costruire il complesso castello delle parti fisse della messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), ha scelto di rielaborare una composizione a più voci.
In questo caso il mottetto O magnum mysterium che egli stesso aveva composto in precedenza di cui è ben riconoscibile la melodia nel meraviglioso Kyrie iniziale.
Questa messa fu scritta per la festa della Circoncisione di Cristo che appartiene al tempo natalizio del calendario liturgico, ma anche oggi per la liturgia è una festa: l’esaltazione della croce. Quella croce prefigurata nell’antico testamento dal serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto per salvare gli Ebrei, avvelenati dal morso dei veri serpenti, che gli avessero rivolto lo sguardo. Proprio quello stesso serpente che, così racconta la tradizione, oggi è innalzato su una colonna in pietra sul lato sinistro della navata centrale di Sant’Ambrogio.
Come si vede l’ambito in cui nasce questa musica è molto connotato religiosamente. A comporla, infatti, è un religioso, lo spagnolo di Avila Tomás Luis de Victoria, entrato a far parte dei padri Oratoriani di San Filippo Neri e che in tutta la vita, diversamente dai grandi musicisti suoi contemporanei (Palestrina, Orlando di Lasso ed i veneziani), non compose altro che musica sacra.
Questo non significa che nelle sue opere non si possano riconoscere espedienti tecnico espressivi appartenenti all’ambito profano.
Un esempio? Il passaggio al tempo ternario sulle parole tertia die del Credo rafforzato dalla riduzione da quattro a tre voci.
La messa O magnum mysterium è esemplare per delineare la personalità di un musicista connotato da discrezione, grande cura dei dettagli e perfezione formale rese in modo splendido dal Budapest Monteverdi Choir che ha impressionato per la sonorità vellutata, morbida e densa che ha offerto all’ascolto dei fedeli.
Fedeli già allineati in un lungo serpentone (simbolo oggi davvero ricorrente) la cui coda si avvolgeva in numerose spire ben oltre il chiostro della basilica e fin sul suo sagrato con grande anticipo sull’orario d’inizio della messa (cosa rara per le celebrazioni ordinarie domenicali!).
Eh già, perché questo di oggi non è un concerto che si svolge in chiesa anziché in teatro.
È una vera e propria messa con musica scritta apposta per la liturgia che permette alla bellezza della musica sacra di tornare nella sua casa.
Iniziativa senz’altro approvata da Sant’Ambrogio stesso le cui spoglie riposano sotto l’altare d’oro e che, ai suoi tempi, parlava di “fides canora” ovvero di popolo di Dio che canta, diversamente da oggi che, purtroppo, soltanto ascolta.
Ambrogio, com’è noto, compose musica e testi poetici di inni di grande valore musicale ancora oggi eseguiti proprio nella basilica che ne porta il nome (durante la messa domenicale vespertina) e che, con molta probabilità, furono anche motivo della conversione di Sant’Agostino che vi arrivava per ascoltare la predicazione del suo vescovo.
Abilità, questa di Ambrogio, per la quale i suoi avversari gli rimproveravano di essere un seduttore del popolo ed ai quali replicava che l’unico incantatore è Cristo, l’unico che, con la croce, può dare senso al grande mistero del male e del dolore innocente.
Un mistero che, come nella musica di De Victoria, è cantato in tutta la Bibbia seppure senza trovarvi risposta se non nel riconoscere che all’uomo non è dato di capire ma soltanto di fidarsi, di lasciarsi abbracciare dal mistero di un Dio che non toglie il male dal mondo ma lo condivide. Che chiede ad ogni cristiano che vuole seguirlo - come ha ricordato il celebrante, don Giovanni Marcandalli, riportando il pensiero di San Gregorio Magno - di saper “scoppiare a ridere” conservando la suavitas e la hilaritas in ogni circostanza, conservando la serenità seppure nella sofferenza.
Affidandosi con la preghiera “Padre, nelle tue mani la mia vita, nella tua volontà la mia pace”, lasciandosi abbracciare dal suo amore, lasciandosi accarezzare dalla sua tenerezza.
Un mistero che la musica può avvicinare, perché una musica come questa di De Victoria è una porta aperta sull’infinito che permette di toccare il trascendente, di gustare il brivido santo del Mistero, e dona il presentimento di essere sfiorati da Dio presente nel mistero della bellezza.
Giovanni Guzzi, settembre 2014
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