L'Eclettico



Il "Nuovo Mondo" musicale Ceco



Smetana, Dvořák e Janáček

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IL "NUOVO MONDO" MUSICALE CECO

Smetana, Dvořák e Janáček

 
Se è vero che la grande musica è universale e appartiene a tutti, è altrettanto vero che, all’atto pratico, non occorre avere un orecchio musicale particolarmente raffinato per riconoscere quanto l’interpretazione di brani espressione di una cultura nazionale risenta positivamente del fatto che a suonarli siano connazionali di chi li ha composti e che alla medesima cultura fanno riferimento.
Una sensazione che ci pare di cogliere accentuata quando si porta la propria musica all’estero.
A nostro modo di vedere ha ulteriormente confermato queste argomentazioni il concerto agli Arcimboldi dell’Orchestra Filarmonica Ceca, che rappresenta uno dei più alti vertici culturali della nazione centroeuropea ed è stata diretta dallo stesso Dvořák a Praga il 4 gennaio 1896, giorno del suo debutto.
Col suo suono davvero compatto, perfettamente amalgamato ed allo stesso tempo vivace e brillante, all’altezza della fama che la precede, questa storica compagine ha offerto al pubblico di MiTo il “nuovo mondo musicale” di fine Ottocento e inizio Novecento nel quale la propria giovane repubblica affonda le radici: La Moldava (1874) di Smetana, la Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 Dal nuovo mondo di Dvořák (che, al di là del titolo, è musicalmente pienamente debitrice alla terra natale del compositore) e la Sinfonietta (1926) di Leóš Janáček.
Brano, quest’ultimo, non così frequente come gli altri due nelle sale da concerto e perciò meritevole di qualche cenno ulteriore.
Grande rilievo vi hanno gli strumenti a fiato fra i quali spiccano ben 11 trombe disposte dal direttore dietro i contrabbassi, a loro volta non nella tradizionale posizione sulla destra ma alle spalle dell’orchestra allineati parallelamente al lato lungo del palco.
Con l’articolo La mia città (del 1927) il suo stesso autore spiegò che la Sinfonietta è una sorta di opera a programma avente come soggetto la città di Brno, in Moravia, della quale dipinge in musica alcuni dei luoghi più significativi.
È una musica con tratti che riportano alla mente la virulenza della, di poco antecedente, Sagra della primavera (1913) di Igor Stravinskij e suoni che, ci sia perdonato l’arrischiato volo pindarico, forse erano nell’aria dell’Europa dei primi del Novecento, visto che ci pare di ritrovarvi anche preannunci di qualcosa di essi captato da George Gershwin per inserirlo nel suo poema sinfonico Un americano a Parigi, del 1928 e dunque di solo due anni posteriore alla Sinfonietta.
Dopo la Fanfare d’apertura, dal carattere più arcaico-tribale che militaresco e nella quale i ricami dell’arpa riescono a ben farsi sentire anche in mezzo al fragore degli ottoni, si susseguono Il castello di Brno (il famigerato Spielberg in cui furono rinchiusi Silvio Pellico ed altri patrioti del Risorgimento italiano) nel quale nuclei danzanti, ora cullanti ora quasi “feroci” (qui è il rimando a Stravinskij) si rincorrono in continui ritornelli; Il monastero della Regina, tempo moderato che si anima nel finale con un ripetuto cromatismo discendente; La Strada che conduce al castello, la via Česká, corrispondente alla Montenapoleone di Milano; ed, infine, Il municipio di Brno nel quale torna, impetuoso e poderosamente sottolineato dal percussivo accompagnamento dei timpani, il più volte reiterato tema iniziale.
 
Giovanni Guzzi, settembre 2014
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