L'Eclettico



A risentirli su Clari.net



Rossini e gli standard Kletzmer, il meglio di un giovedì al Bagatti Valsecchi

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

A RISENTIRLI SU CLARI.NET

Rossini e gli standard Kletzmer, il meglio di un giovedì al Bagatti Valsecchi

 
Quest'oggi in Milano almeno su un museo si può fare affidamento: è il Bagatti Valsecchi, casa museo dove siamo ormai “di casa” e dove ci aspetta il concerto di un giovane quartetto di clarinetti.
Salda nel presente per il nome prescelto “Clari.net”, questa formazione, costituita da tre clarinetti in si bemolle ancorati all’ottava inferiore di un clarinetto basso (un po’ più lungo di un fagotto e terminante in una campana simile a quella del sassofono), propone un programma che, snodandosi cronologicamente dagli albori dello strumento fino ad arrivare alle soglie del Novecento, si presenta vario sia storicamente sia stilisticamente.
Fra gli ultimi strumenti ad essere inventati (successivo risulta essere soltanto il sassofono), il clarinetto nasce, nella sua forma più antica, a Norimberga a fine ‘600 e subito conquista pubblico e compositori. Fra questi anche Mozart (1756 – 1791) ed è proprio una trascrizione del primo movimento della sua arcinota “Eine Kleine Nachtmusik” ad aprire musicalmente la serata. Nonostante l’interpretazione dinamica e ricca di sfumature di tutto l’ensemble, nella quale emergono i fraseggi melodici di Michele Mazzini e gli slanci nei passaggi contrappuntistici al basso di Daniela Fiorentino, personalmente l’arrangiamento non convince del tutto chi scrive (opinione condivisa da altri fra i presenti).
Al secolo successivo si arriva con Isidoro Rossi (1813-1884), un didatta dello strumento del quale viene eseguito il “Quartettino”: una composizione nella forma classica tripartita, molto probabilmente scritta a scopi didattici e comunque apprezzata dal pubblico che non attende che termini per applaudirla.
Si prosegue con l’“Ouverture” da “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini (1792 – 1868). “Da Rossi a Rossini”, la annuncia con facile battuta Michele Genovese, esibendo brillanti doti di intrattenitore del pubblico, nella presentazione dei brani via via eseguiti, oltre alla tecnica virtuosistica che dimostra quando passano al suo strumento i temi trascinanti di uno dei brani più celebri del repertorio operistico italiano; eseguito in una trascrizione decisamente più riuscita rispetto alla “Piccola Serenata” di apertura, entrambe opera di Marco Mazzini.
Ultimo brano del repertorio classico-romantico in programma, il “Quartetto n. 2” di Ernesto Cavallini (1807– 1874) ci fa conoscere uno dei più grandi interpreti e didatti dello strumento, ed un concittadino.
Nasce infatti a Milano dove compie gli studi musicali e tornerà a fine carriera per suonare nell'orchestra del Teatro alla Scala e per insegnare in Conservatorio dopo aver suonato in tutta Italia ed Europa ed aver trascorso gran parte della sua vita in Russia.
Qui fu invitato nel 1852 a far parte dell'orchestra italiana dell'Opera di San Pietroburgo e, tre anni più tardi, divenne clarinetto principale dell’orchestra dello Zar nel Teatro Imperiale.
Soprannominato “il Paganini del clarinetto” e molto apprezzato da Giuseppe Verdi, che per lui scrisse l'assolo all'inizio del terzo atto de “La forza del destino”, è sepolto al cimitero Monumentale.
Un labile legame, soltanto geografico, con la citata permanenza russa di Cavallini lo ha, infine, il repertorio che chiude il concerto: standard Kletzmer, ovvero brani che non nascono come pezzi scritti e fanno riferimento alla tradizione popolare della cultura ebraica Ashkenazita.
Per intenderci quella relativa all’ambito geografico dell’Europa centrale (Ashkenaz significa Germania) e dell’est (Polonia e Russia) e caratterizzata dalla lingua Yiddish: un misto tra ebraico e tedesco.
Eseguiti nell’arrangiamento del maestro Alberto Serrapiglio per Clari.net, alternano momenti più lirici e melanconici ad improvvise impennate su ritmi vorticosi. Gli uni e le altre assecondati anche fisicamente dalla mimica dei musicisti: a volte portati a quasi inginocchiarsi dietro i loro leggii, seguendo i registri più gravi, per repentinamente balzarne fuori, strappati verso l’alto dalle melodie ascendenti.
StruggenteNigun”, graffiante di suoni rauchi “Sher”, “epicamente biblica” “Ani Ole l’Yerushalaim”, che vede Daniela Fiorentino finalmente libera di scatenarsi nell’inseguire gli arabeschi delle melodie dopo aver lasciato il basso a Francesco Bertuccio, meritevole di un particolare elogio per aver brillantemente sostituito Federico Calcagno, quarto componente della formazione originale, in sala ma impossibilitato a suonare.
Un cenno in più è dovuto a “The Wedding Dance”, brano molto romantico in tre sezioni: azzardiamo l’interpretazione che nella prima l’esposizione del tema esprima la nostalgia della vita lasciata per il matrimonio, in quella centrale le voci dei solisti si intrecciano dando vita ad una nuova realtà e nella finale torna la malinconia del primo tema che riecheggia, ma più da lontano: ora i due sposi non sono più le persone che erano prima.
E per concludere con i fuochi artificiali il brano scelto per il gran finale è una composizione contemporanea in stile kletzmer scritta dal clarinettista Béla Kovács come omaggio a Giora Feidman, il più grande clarinettista e improvvisatore di musica kletzmer: “Shalom Aleichem, Rov Feidman”: la pace sia con te maestro Feidman!
Cosa dirne? Nient’altro che il rimpianto che non sia stato eseguito come bis (ottima intenzione dichiarata dai musicisti dalla quale li ha purtroppo distolti un’improvvida voce levatasi dal pubblico a favore del Mozart iniziale, per fortuna ripetuto senza ritornelli), e l’invito a chi ci legge a cercarlo ed ascoltarlo, magari in una nuova esibizione dei Clari.net che non si mancherà di segnalare da queste pagine elettroniche.
 
Giovanni Guzzi, maggio 2015
© Riproduzione riservata