Come animali allo zoo
La triste sorte di troppi dipinti
L'ECLETTICO - web "aperiodico"
COME ANIMALI ALLO ZOO
La triste sorte di troppi capolavori della pittura
Molti dei dipinti esposti nei musei (ed ancor più in molte mostre, specialmente quelle che godono di unanimi cori di consenso) a mio modo di vedere sono, per lo più, un po' come animali da zoo dentro una gabbia.
Si tratta spesso di quadri famosi che, per la maggior parte, provengono da altre città e da altri luoghi rispetto a quello nel quale si trovano, e dai quali sono stati presi strappandoli alla loro sede d'origine.
Per quanto prestigiosa possa essere la nuova collocazione non sono più in relazione con lo spazio per il quale erano stati concepiti e che contribuivano a definire.
Questo comporta che, nonostante conservino la capacità di offrire piacere alla vista ed il valore storico-artistico dell'iconografia, si perda il senso di quel lavorio di persone e di generazioni che hanno vissuto attorno ad essi e vada perduto anche quel senso di "genius loci", o di anima del luogo, o di realtà in trasparenza che trasmette l'arte quando è al suo posto, quando è collocata nel luogo pensato dall'intelligenza che l'ha creata.
Per queste ragioni mi trovo assolutamente d'accordo con chi critica lo spostamento delle opere dal luogo per il quale erano pensate.
Ribadisco il concetto esposto in apertura: a me, i musei che nascono dal "raccatto o saccheggio" di altri luoghi ricordano sempre gli zoo e i quadri al loro interno mi fanno pensare a degli animali in gabbia strappati dal loro habitat naturale.
A meno che non trovino una nuova "casa" si sente sempre questo terribile vuoto, questa terribile pagina bianca e, per limitarmi a contesti milanesi come Brera e l'Ambrosiana, certi quadri, i più fascinosi, attraggono proprio perché sembrano chiedere al visitatore "da dove vengo?" e richiamano un altrove.
Purtroppo, anche laddove avrebbero potuto esserci le premesse per costruire un luogo nuovo, spesso accade che i progettisti non siano capaci di produrre altro che qualche specie di supermarket con quadri disposti in rastrelliera e su scaffale.
Ricordo in proposito una citazione di Georges Henri-Rivière, trovata per puro caso e in un luogo impensabile (ne scriverò in altra occasione):
"Il successo di un museo non si valuta in base al numero di visitatori che vi affluiscono, ma al numero di visitatori ai quali ha insegnato qualcosa. Non si valuta in base al numero di oggetti che espone, ma al numero di oggetti che i visitatori hanno potuto vedere ambientati nel loro contesto umano. Non si valuta in base alla sua superficie ma alla quantità di spazio che il pubblico avrà percorso traendone un vero beneficio. Questo è il museo. Se non possiede tali caratteristiche. è solo una sorta di mattatoio culturale".
Al contrario, una bellissima operazione particolarmente rivelatrice, e attuata nei nostri non sempre necessariamente vituperabili tempi, è stata fatta alla Schola Grande di San Marco a Venezia, con la
ricostruzione del ciclo pittorico della Sala dell'Albergo smembrato dai soliti "liberatori" di turno.
Si tratta di un obiettivo raggiunto montando stampe su tela in scala reale ed alta definizione del ciclo di Bellini, oggi in parte a Brera ed in parte alle Gallerie dell'Accademia.
Come in questo caso ci sarebbero innumerevoli altre interessantissime ricostruzioni di tesori ai quali dedicarsi, non solo su carta, ma nella realtà: pale d'altare
di cui esistono tutti i pezzi (persino le cornici originali e gli elementi scultorei passati a privati), e che ancora possono NON definirsi irrimediabilmente dispersi.
Questo potrebbe essere il futuro della divulgazione, per la sensibilizzazione.
Il senso di riscatto e della sfida legati ad una simile impresa non mancherebbero di determinare una maggiore attrattiva, ed avere maggior mordente rispetto alle oziose considerazioni dei salotti buoni in cui bazzicano critici, sovraintendenti e manager di fondazioni.
Tanto per cominciare si potrebbe recuperare il senso dello spazio in queste opere d'arte: non tanto lo spazio "disegnato" dal pittore quanto la sua capacità di plasmare e definire il luogo dell'osservatore, cosa che invece la cosiddetta arte del XX secolo (sacra ma anche profana) ha completamente rinunciato a fare: definire luoghi, definire spazi pubblici... ma qui, per il momento, mi fermo.
Guido Codecasa, maggio 2013
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