Bellini, bravo... bis!
L'ECLETTICO - web "aperiodico"
BELLINI, BRAVO... BIS!
Repetita iuvant
Rimini, gennaio 2014, mi aggiro per il locale Museo della Città quando, varcata la soglia di una sala, vedo qualcosa di splendido: quattro meravigliosi angeli-bambini sorreggono il corpo del Cristo morto stando in piedi su una fascia di colore che, per la sua larghezza, fa più pensare alla pietra dell’unzione che a una parete del sepolcro.
Non sono un esperto d’arte e non ho piena memoria fotografica dell’immenso patrimonio pittorico nazionale ma non ho dubbi sull’autore: non può che essere Giovanni Bellini.
Solo il suo pennello poteva dipingere dei volti perfetti come quelli di questi quattro stupendi ragazzini alati. Anzi tre, visto che uno di essi è seminascosto, piegato dietro il corpo del Cristo per opporre tutto sé stesso al suo peso morto che cerca di sostenere.
Chi altri ne avrebbe potuto rendere con tanta perfezione la finezza delle pettinature, le sfumature iridescenti delle ali, la morbidezza delle tuniche che rimandano all’antichità classica e li rivestono leggere, i dettagli come il fermaglio scivolato dalla spalla, una sorta di cameo con testa di matrona?
Chi sarebbe stato capace di fissarne con pari delicatezza l’espressione dolente e malinconica - e allo stesso tempo serena per la consapevolezza della Resurrezione - in particolare dell’angelo che contempla la ferita del chiodo sulla mano abbandonata che sorregge dolcemente?
Quale tavolozza avrebbe potuto donarci la pungente durezza della corona di spine, il volume delle estremità inanellate dei capelli e della barba di Cristo, il segno leggero dell’acqua e sangue usciti dalla ferita del costato e scesi ad arrossare il panno che ne cinge i fianchi…?
Peccato per lo sfregio della lunga crepa che attraversa tutta l’opera in senso orizzontale, proprio nella sua parte centrale. Un danno che è conseguenza dei passaggi della pellicola pittorica dall’originale tavola alla tela fino all’odierno supporto in vetroresina.
E primo responsabile della “sciagura” risulta essere proprio lo stesso Bellini, che pare non dedicasse grande cura alla scelta delle tavole che usava per le sue opere. Per evitare il problema della formazione di crepe nel ricavare le assi dai tronchi di legno bisognava infatti fare attenzione che non includessero nodi o fossero tagliate male. Un buon taglio doveva essere radiale o diametrale per poterne rimuovere il midollo e la porzione più esterna, sotto la corteccia, che sono le parti più deperibili e quindi più pericolose per la buona conservazione dei dipinti. Diversamente, ad esempio, da Giotto, che nel ‘300 era attentissimo a questa parte del suo lavoro, a Bellini interessava l’aspetto concettuale non quello materico dell’opera. E si può anche dargli, parzialmente, ragione! Nemmeno la lesione descritta riesce in alcun modo a scalfire questo concentrato di bellezza composto nel 1468-69 per Raniero di Lodovico Migliorati, cortigiano di Pandolfo Sigismondo Malatesta signore di Rimini ed ora, caso non così frequente, patrimonio pubblico ed accessibile a tutti nella medesima città alla quale era stato destinato.
Milano, Pinacoteca di Brera, primavera 2014, percorrendo le sale della mostra Giovanni Bellini. La nascita della pittura devozionale umanistica sono felicemente sorpreso dalla visita che la Pietà riminese di Bellini è venuta a restituirmi! Scopro, poi, che non è nemmeno la sua prima trasferta in terra meneghina: infatti era già stata a Milano, al Poldi Pezzoli, dal novembre 2012 al febbraio 2013 per un’altra mostra di cui era protagonista il maestro veneziano - Giovanni Bellini: dall’icona alla storia – e dalla quale l’accompagnano anche qui a Brera altre due opere.
Dal Museo Correr di Venezia torna a Milano il Bellini del
Cristo in pietà sorretto da due angeli. Rispetto al precedente gli angeli sembrano più rifarsi a modelli schematici ed anche qui non urlano la loro disperazione come in
Donatello e nei suoi epigoni ma sembrano piuttosto cantare.
A Donatello fanno invece pensare le evidenti tracce delle vene sulle braccia e sulle mani di Cristo e le scolpite pieghe del sudario che lo copre parzialmente.
Tipicamente di Bellini sono invece i colori madreperlacei cangianti delle vesti degli angeli e la nuova sensibilità per il paesaggio serale: in risonanza emotiva con la morte di Cristo. Un paesaggio nel quale spiccano le architetture sullo sfondo, ricercate e fantasiose come nel telero della predica di san Marco, ma incuriosiscono anche i piccoli dettagli sotto le braccia di Gesù (il cavaliere ed i due personaggi che sembrano danzare o conversare rispettivamente alla sua destra ed alla sinistra).
Nel dipinto si nota inoltre che Bellini si stava aggiornando sulla prospettiva (in questo seguendo Mantegna): sono infatti dipinti secondo questa regola i dischi delle aureole ed i dettagli del sepolcro scoperchiato.
Da notare infine, sul bordo anteriore del sepolcro, il monogramma di Dürer: un falso degli anni ’70 (di cui non c’è da scandalizzarsi: era una cosa che al tempo si usava fare) dovuto ad un’errata attribuzione da parte del museo, errore che ha portato con sé (visto che Dürer arriva a Venezia nel 1494) anche l’altrettanto sbagliata indicazione del 1499 come anno di realizzazione del quadro; che invece è considerato una delle prime Pietà del Giambellino datata fra il 1460 e il 1470.
La terza riproposta in Brera dalla sopra citata mostra nella casa museo milanese è ancora una Pietà (1460-1465) che viene dalle collezioni dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Nonostante sia firmata Johannes B. sul parapetto che distanzia l’osservatore dalla scena, a Giovanni Bellini si attribuisce solo il Cristo.
Le dimensioni prospetticamente sproporzionate della testa di san Giovanni fanno invece pensare che a realizzare la sua figura e quella di Maria, che sembrano essere assieme a lui all'interno del sepolcro, siano state mani diverse (forse della bottega del padre Jacopo?).
Ed a proposito di mani è interessante osservare la disposizione di quelle in vista.
La destra del discepolo prediletto ne sorregge il volto mentre la sinistra trattiene il gomito di Gesù che le ha incrociate come
nell’icona romana di Santa Croce in Gerusalemme. Maria, inusualmente avvolta in un mantello rosso sotto il quale spicca il soggolo monacale, completa l’intreccio reggendo dolcemente il palmo destro del Figlio.
Sono contento di poter vedere, almeno in parziale estratto, una mostra che a causa di un incidente mi ero perso, però mi faccio qualche domanda…
Giovanni Guzzi, luglio 2014
© Riproduzione riservata
Un sentito ringraziamento alla dott.ssa Emanuela Spinelli, collaboratrice ai Servizi Educativi della Pinacoteca di Brera alla quale sono debitore per molto di quanto è contenuto in questo articolo