L'Eclettico



Non solo Bellini: variazioni sul tema della Pietà



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VARIAZIONI SUL TEMA DELLA PIETÀ

Non solo Bellini nella pittura devozionale del Quattrocento

 
La mostra “Giovanni Bellini - la nascita della pittura devozionale umanistica” allestita in Brera a corteggio del recente restauro della Pietà di Giovanni Bellini del 1460 ca è una piccola, densa, mostra, che assiste il visitatore nella comprensione di come la pittura del maestro veneziano su questo particolare tema sacro si sia evoluta nel tempo e nel confronto con gli artisti della sua epoca.
Perché, pur restando sempre fedele a sé stesso nella capacità di emozionare e coinvolgere chi ammira i suoi dipinti, Giovanni Bellini si dimostra in grado di cambiare molto nell’arco della sua esistenza (vivrà fino al 1516), adattandosi ai tempi e rinnovandosi sia cogliendo le novità portate da Antonello da Messina (1429-1479), che nel 1475 è a Venezia, sia quando vi arrivano ed operano Tiziano (1480-1576) e Giorgione (1477-1510).
Poiché fra le opere esposte ve ne sono alcune spostate dalle collezioni permanenti di Brera o già presentate a Milano l’anno scorso per la mostra “Giovanni Bellini: dall’icona alla storia” al Poldi Pezzoli, preferisco qui soffermarmi sulle novità (almeno per me) presentate nell’allestimento e descritte con vivace competenza dalla dott.ssa Emanuela Spinelli, collaboratrice ai Servizi Educativi della Pinacoteca di Brera, nell’ambito delle attività didattiche che l’istituzione offre gratuitamente ai suoi visitatori.
Un’opportunità che mi piace sempre segnalare, soprattutto a chi non è esperto d’arte e visitando una mostra da solo può correre il rischio di passeggiare davanti a dei capolavori senza apprezzare tutto quel che possono trasmettere a chi li osserva.
 
Per cominciare, considerando che fra le numerose chiavi di lettura della mostra un rilievo particolare lo ha il gioco delle mani dei soggetti raffigurati, è curiosamente emblematico trovare in apertura un ritratto del Beato Lorenzo Giustiniani (Venezia, Pinacoteca Manfrediniana), primo patriarca di Venezia, dipinto da Jacopo Bellini, padre di Giovanni che si ritiene l’autore proprio della mano del personaggio.
Il passaggio al vivo del tema arriva, invece, grazie all’Icona di Cristo morto con la Vergine dolente dal museo Horne di Firenze.
Questo tipo iconografico della Pietà con Cristo a braccia conserte rimanda alla celebre icona in micro mosaico di Roma, in Santa Croce in Gerusaleme, di età tardo medievale ma in passato creduta antichissima.
L’iconografia delle diverse Pietà viene comunque da Bisanzio, dove è nata intorno al XII-XIII secolo ed arriva poi in Italia non si sa ancora bene attraverso quali canali (Venezia o Roma).
Nuovissima è la completa adesione del viso di Maria al viso di Cristo col quale dimostra una vicinanza straziante.
Contrariamente alla deposizione, che è un momento storico, la pietà è, infatti, un momento “anarrativo” che descrive un dolore psicologico.
Con stesure di colore che la rendono modernissima, l’icona a qualche visitatore ricorda il Cristo di Pasolini nel Vangelo secondo Matteo, ad altri i visi oblunghi e inclinati di Modigliani, pur nella consapevolezza che il riferimento dell’artista toscano era piuttosto l’arte africana.
Nella Pietà (1460 ca) di Michele Giambono (Mantova, collezione privata) il Cristo è particolarmente espressivo e l’effetto è ben reso dai denti sporgenti come quelli conosciuti a livello planetario di cui ha fatto uso improprio ai mondiali di calcio in Brasile un attaccante dell’Uruguay.
Degno di nota il dettaglio degli occhi aperti di Gesù che, pur esprimendo sofferenza, lo fanno sembrare ancor vivo.
Pur nelle ridotte dimensioni il dipinto risulta molto dinamico e realistico.
Anche grazie alla pur semplice linea che definisce il sepolcro in modo originale: in prospettiva laterale e tagliato ai margini.
Al suo interno il corpo contorto di Cristo, di cui è dipinta anche parte delle gambe, è un tutt’uno con la Maddalena che, alla sua destra, prende il posto del più consueto Giovanni nel compito di sorreggerlo seppure, come l’Evangelista, guardando altrove.
Allo stesso modo Maria, qui un’anziana quarantanovenne che sotto il velo sul capo indossa un soggolo come quello portato dalle monache, lo stringe in un abbraccio di cui si sente tutta la forza.
Inconsueta è anche la presenza di san Giovanni Battista e san Girolamo nella Meditazione sulla passione di Cristo (1468-1470 ca) di Marco de Ruggeri detto Marco Zoppo, una tavoletta molto particolare proveniente da Londra (The National Gallery) della quale non è chiaro il contesto di provenienza, se cioè sia parte di un polittico oppure avesse una funzione devozionale in ambito privato. Colpisce il gesto di tenerezza di san Gerolamo (santo molto caro alla devozione popolare nel ‘400) che, posto nella parte superiore di un singolare, simmetrico, sarcofago a due piani, sorregge amorevolmente accarezzandola la testa reclinata di un Cristo in posizione ribassata rispetto ai santi che sembra, con la sua morte, “predicare” da una sorta di “pulpito” che sporge frontalmente, sul quale appoggia la mano sinistra e dove si notano due candele spente.
Al momento resta per chi scrive irrisolta la ragione del fatto che il cero di sinistra sia inserito in un candeliere mentre la candeletta di destra sia direttamente fissata alla pietra con la cera colata.
*** Sul tema, Sara Colombetti - assistente alla fruizione della Pinacoteca di brera - suggerisce: si tratta di un sepolcro-altare con tutti i crismi dell'ufficialità (e quindi il candeliere) ma anche l'offerta della devozione popolare, rappresentata dalle candele che i fedeli offrivano e appiccicavano con la cera in atto di devota offerta (come la candela della Madonna della candeletta di Carlo Crivelli). ***
Due imponenti ed articolati candelieri incorniciano, sovrastandola, anche una piccola Pietà (Brescia, Museo di Santa Giulia) realizzata in bronzo da un artista padovano nel 1470 ca. nella quale accanto al Cristo morto tornano i personaggi più con tradizionali: Maria e Giovanni l’Evangelista. Singolare (e significativa) è, invece, la presenza di una tauromachia raffigurata in piccolo nella fascia inferiore di questa placchetta bronzea.
Ricordando che il significato liturgico delle candele poste sull’altare delle chiese è quello di richiamare il Cero Pasquale, promessa di vita eterna in quanto simbolo del Cristo Risorto e della sua vittoria sulla morte, è qui del tutto evidente la volontà dell’artista di affermare che l’antichità è superata dal sacrificio di Cristo di cui si fa memoria nella celebrazione della messa e grazie al quale l’uomo può arrivare alla salvezza eterna.
E così il sepolcro diventa un altare sul quale avviene l’ostensione dell’Ostia/Cristo.
Esplicite conferme di questa interpretazione sono il fatto che, non a caso, entrambe le candele sono accese e, sospeso a una ghirlanda sopra l'altare, è realizzato con grande evidenza il trigramma (o Cristogramma) JHS ideato da san Bernardino per diffondere la devozione al “Santissimo Nome di Gesù” che, secondo alcune interpretazioni, potrebbe anche essere l'abbreviazione di “Jesus Hominum Salvator”, cioè Gesù Salvatore degli uomini.
Perfetta identità di simboli e significati con la placchetta bronzea li ha la grande versione del soggetto nella lunetta della Pietà con i santi Marco e Nicola di Giovanni Bellini del 1472 proveniente dal Palazzo Ducale di Venezia.
La ridipintura del ‘500 e gli interventi dell’’800, che ne rendono difficilmente giudicabili i cromatismi, non impediscono infatti di constatare come il sepolcro abbia qui l’inequivocabile aspetto di un altare, sottolineato (per fugare ogni possibile dubbio) dal fatto che ai suoi lati i due candelieri si stagliano in tutta evidenza contro il cielo: l'uno (a sinistra) recante un cero spento mentre è acceso quello sulla destra, così come è accesa la piccola candeletta in basso fissata con la cera colata allo spigolo del sepolcro-altare al modo già visto sopra nella Meditazione dello Zoppo ed anche nella Pietà di Carlo Crivelli, fra i pezzi più pregiati delle collezioni permanenti di Brera.
Resta invece ancor oggi elevata la qualità pittorica del Cristo crocifisso tra la Vergine e san Giovanni Evangelista (1465 ca – 1470) proveniente dal Louvre. e nel quale si può cogliere un’ancora viva relazione “dialettica” di Giovanni Bellini col cognato Andrea Mantegna.
Allo stile “ pittoricamente scultoreo”, a volte “scherzoso” ma difficilmente davvero emozionante del marito della sorella di Bellini, Nicolosia, rimandano infatti le stratificazioni delle rocce sedimentarie dipinte con realismo, i panneggi di Maria e Giovanni, i crani e le ossa spezzati ai piedi della croce…
Al contrario volumi e schemi compositivi, il monte con la vegetazione bruciata, tutto il paesaggio, il volto della vergine e soprattutto il Cristo in croce sono patetici e sentimentali e rappresentano al meglio il “più umano” Giovanni Bellini che schiaccia a fondo il pedale dell’emozione.
Il confronto fra i cognati e la somma capacità di coinvolgere emotivamente l’osservatore propria di Giovanni Bellini sono proposti nel percorso della mostra anche da tre rari disegni dei due artisti sul medesimo soggetto.
Sono studi ai quali non corrispondono successivi dipinti conosciuti, ma che testimoniano la consuetudine dei maestri di predisporre modelli per la bottega su disegni di piccolo formato.
Nel Cristo in pietà sorretto dalla Madonna, Maria Maddalena e san Giovanni Evangelista (Venezia, Gallerie dell'Accademia), Mantegna cerca di dare movimento alla composizione presentando Cristo in piedi e con le gambe incrociate.
Un Cristo che nei tratti del viso, nei boccoli che lo incorniciano e nel busto scultoreo a chi scrive ricorda il Cristo alla colonna di Bramante in Pinacoteca e la Pietà Rondanini nella postura con la Madonna.
Accostamenti senz’altro stilisticamente azzardati (non risulta che Michelangelo avesse tra i suoi riferimenti Mantegna e, anzi, conoscendolo l’avrebbe anzichenò giudicato un po’ “legnosetto”!) ma sempre permessi al visitatore.
E allora, già che ci siamo, con i suoi occhi ammiccanti all’osservatore e le labbra che sembrano più dischiuse in un sorriso che espressive di un tragico dolore, la figura della dolente aggiunta in un secondo momento al vertice della composizione non richiama forse alla memoria gli splendidi schizzi femminili di Boldini?
Per quanto riguarda invece i due disegni di Bellini del Cristo in pietà sorretto dalla Madonna (nell'immagine a lato quello del Musée des Beaux-Arts di Rennes) si era fatta l’ipotesi che non fossero suoi non essendo semplice distinguerne la "mano".
L’attribuzione è stata confermata soltanto dopo averne verificata la tecnica che arriva alla figura per approssimazioni successive nel definire la forma.
In relazione alla composizione colpisce l’abbraccio della Madonna che stringe il corpo del figlio in un modo mai rappresentato con tanta forza nelle Pietà finite di cui siamo a conoscenza.
Un abbraccio che fa delle due figure un corpo unico, un abbraccio col quale sembra voglia quasi farlo ritornare bambino e farlo tornare dentro di sé per sottrarlo al destino che ormai si è compiuto ed è richiamato dal dettaglio, quasi invisibile ma non di meno incombente, delle piccole croci stilizzate che, seppure in lontananza, sovrastano la scena.
Un destino che, all’opposto, Bellini già prefigura nella Madonna della Milizia da Mar (1475-1478) ancora dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, che chiude la mostra.
Forse parte di un trittico presenta in un unico dipinto il soggetto della Vergine in trono, dal geometrico volto ovalizzato, e quello della Pietà.
Se infatti in molti soggetti il sonno del Bambino adagiato sulle ginocchia della Madre è allusivo della morte, in questo caso non lasciano dubbi sul fatto che sia proprio morto la posizione orizzontale di Gesù ed il suo braccio che cade abbandonato con un richiamo all’iconografia classica del trasporto funebre di Meleagro del tipo di quella scolpita sul sarcofago di epoca romana ora ai Musei Vaticani.
Degna di nota, in quest’opera, è anche la realizzazione dell’architettura del trono (attribuita a Marco e Tullio Lombardo che all’epoca lavoravano a Venezia) arricchita da splendidi dettagli dei decori lignei come i due cavalli e le volute intagliate nei braccioli dello scranno.
Peccato invece per le lacune di colore del manto della Vergine che, comunque, non fanno venire meno il fascino misterioso di questo dipinto.
 
Giovanni Guzzi, luglio 2014
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