L'Eclettico



Van Gogh: genio naufragato in un campo di grano



L'ECLETTICO - web "aperiodico"

VINCENT VAN GOGH
Genio naufrago perdutosi guardando un campo di grano

 
Avec un ciel si bas qu’un canal s’est perdu,
Avec un ciel si bas qu’il fait l’humilité,
Avec un ciel si gris qu'un canal s’est pendu,
Avec un ciel si gris qu’il faut lui pardonner.
Non ci sono parole più adatte di questi versi da Le plat pays di Jacques Brel per descrivere i cieli che incombono sui lavoratori della terra dipinti da Vincent Van Gogh agli inizi della sua attività di pittore. Da quello raffigurato nel Campo di stoppie durante un temporale a quello terreo proprio nel colore che sovrasta il Pastore con un gregge di pecore, dove le teste degli ovini, evocate con quattro pennellate bianche, sembrano quasi teschi scarnificati.
Il dipinto è “gemello” dei Contadini che seminano patate e di altre quattro opere destinate ad un orafo
“… un tizio di Eindhoven che vuole decorare una sala da pranzo. Voleva fare una serie di vari santi. Io gli ho suggerito di considerare se sei scene di vita contadina – che simbolizzassero allo stesso tempo le quattro stagioni – non potessero solleticare l’appetito della brava gente, che si dovrà sedere a quel tavolo, più che non i personaggi mistici di cui sopra.”
Così ne parla lo stesso Vincent in una delle innumerevoli lettere che scrive a diversi corrispondenti ma, principalmente, al fratello Théo. Se ne conoscono 800, che Théo ha conservate con cura e sua moglie ha successivamente pubblicato. A causa del disordine di Vincent, nella vita come nelle cose, ci restano, invece, soltanto 83 delle risposte di Théo.
L’insieme delle une e delle altre, seppure limitatamente ai periodi nei quali i due vivevano lontani, ci permette comunque di avere molte notizie sulla vita di Vincent e sui suoi dipinti. Ed è ottima la scelta dei curatori della mostra Van Gogh, l’uomo e la terra, allestita a Palazzo Reale di Milano, di accompagnare ogni opera esposta con una didascalia che attinge a questo ricchissimo epistolario ed esplicita, lasciandoci pochi dubbi, l’esatta intenzione dell’artista nel realizzarla.
Una mostra pensata come introduzione al tema dell’incombente EXPO 2015 di Milano ma che, a nostro modo di vedere, è in stridente contrasto con la per troppi aspetti discutibile esposizione internazionale.
Tanto suona falso lo slogan “Nutrire il Pianeta” alla luce di quanto ogni giorno è sotto gli occhi di chi vive a Milano e dintorni, tanto è sincero l’artista nella sua intenzione di rappresentare il lavoro del contadino, duro ma nobilitante, che richiede fatica ma che porta il cibo sulla tavola, e che Vincent paragona al suo di pittore.
È una piccola mostra, questa milanese, non è facile convincere chi possiede dei Van Gogh a privarsene per esporli, seppure temporaneamente, altrove. Ma chi l’ha detto che si debbano sempre “accatastare” centinaia di dipinti davanti ai quali la maggior parte dei visitatori non può far altro che passare affrettatamente?
Dunque, almeno per quanto ci riguarda, siamo contenti di aver scoperto, incorniciato dalle belle, omogenee, cornici in legno che identificano la maggior parte delle opere esposte come provenienti dal museo Kröller-Müller di Otterlo in Olanda (l’intera collezione donata nel 1935 allo stato da Helene Kröller-Müller, grande collezionista d'arte e tra i primi a riconoscere il genio di Van Gogh e ad acquistarne i dipinti), un Van Gogh inaspettato per chi lo conosca solo attraverso le esplosioni di colore delle opere più note e che qui a Milano splende nei ritratti e nei paesaggi dell’ultima sala.
È un Van Gogh agli esordi di una carriera di pittore avviata a 27 anni dopo due fallimenti. Come mercante d’arte, attività praticata dal fratello Théo per la quale Vincent si era reso conto di essere incapace, e come Pastore protestante.
Non è un genio pazzo come il grande pubblico crede di conoscerlo. Ma un uomo estremamente sensibile, che precorre i tempi nell’indagare il rapporto uomo-natura e ben determinato nei suoi intenti, come quello di decidere di dipingere per fare qualcosa di bello nella vita.
Una persona attenta ai problemi dei più poveri e che si metteva sempre in discussione ma nel contempo era convinta che, nonostante le difficoltà attraversate, la sua vita avesse un senso.
Mi sono capitate parecchie di quelle "piccole miserie della vita umana" che, in un libro, fanno divertire qualcuno ma se capitano a te sono poco piacevoli.
La sua ricchissima produzione artistica dura tuttavia soltanto un decennio. Purtroppo distorce in negativo anche i successi e si toglie la vita a 37 anni, proprio nel momento in cui una sua opera è stata finalmente venduta ed escono due articoli che scoprono i suoi lavori e ne scrivono in termini positivi per la sua arte che, di lì a poco, sarebbe stata unanimemente riconosciuta ed apprezzata.
“La gente dice, e son ben disposto a crederci, che è difficile conoscere sé stessi - ma non è facile nemmeno dipingere sé stessi.”
Scrive Vincent, e non per nulla si ritrae in circa 40 autoritratti: tutti diversi, dipinti guardandosi allo specchio e rappresentativi della sua condizione del momento (come quello in cui si raffigura bendato quando si è mutilato del lobo di un orecchio). L’Autoritratto che ci accoglie in apertura della mostra è del 1887 quando Vincent vive a Parigi con il fratello Théo.
Il suo sguardo è triste ma deciso. I colori sono chiari, aveva appena scoperto gli Impressionisti e le loro tavolozze, e non è firmato, come gran parte delle altre opere in mostra, mentre sulle restanti troviamo il solo suo nome: Vincent.
Tutt’altro è il clima nella prima sala. Alla nostra sinistra siamo in Olanda, a Nuenen al confine con il Belgio, nei primi anni '80 dell’Ottocento. Predomina il bianco e nero di disegni a gessetto nero nei quali compaiono figure poco riuscite nella riproduzione anatomica (come per il Seminatore con cesta dalla testa e dalle membra sproporzionate):
“Disegnare? C’è una barriera di ferro invisibile che ti blocca, a sbatterci contro non si risolve nulla ma occorre sbriciolarla, frantumarla lentamente con pazienza.”
Ma a Vincent, che ammira l’impegno sociale di Millet, interessa ritrarre non la realtà bensì il Gesto e l’Espressione. Il suo problema è far capire a questa gente, quando li convince a lasciarsi ritrarre, di posare con gli abiti quotidiani e non con quelli della domenica! Sono persone delle quali vuole raccontare la vita dura, che lui stesso vuole condividere.
“Quello che spero di non dimenticare è che è questione di andare in giro con gli zoccoli, cioè di accontentarsi nel mangiare, nel bere, negli abiti, nel dormire, di ciò di cui si accontentano i contadini.”
Ci sono la Contadina che lega fascine di grano, quella che lo raccoglie nel grembiule, la Spigolatrice, la Fienatrice e il Mietitore con falce. In questi ulteriori soggetti, dalle braccia robuste e dai corpi solidi, si nota un netto miglioramento nella qualità del disegno, più curato nelle sfumature e nei volti resi con maggior realismo.
Alla nostra destra, anche se dal grigiore si passa poco a poco al colore, il panorama non cambia, mentre dalle lettere emergono alcune riflessioni di Vincent sulle relazioni d’amore che lo avevano segnato in quel periodo
“Ci sono, ahimé, scogli su cui molti amori sono naufragati e avrebbero potuto essere salvati. Se si superano questi scogli, il navigare all’orizzonte è tranquillo.”
Così accanto alle figurine scure che si stagliano sullo sfondo chiaro del Contadino che brucia le erbacce insieme a sua moglie leggiamo che
“Nell’amore così come in tutta la natura c’è un appassire e un rifiorire, ma non una morte definitiva. La marea si alza o si abbassa, ma il mare resta il mare. E nell’amore, che sia per una donna o per l’arte, ci sono momenti di sfinimento e debolezza, ma non un disincanto duraturo.”
Una parentesi privata dalla quale si torna ben presto alla rappresentazione sociale dei Boscaioli al lavoro - senza volto perché quello che conta è l’attività svolta e non l’individualità riconoscibile del soggetto - ed alla poesia presente, quasi paradossalmente, proprio nella Contadina che spala letame da un campo innevato.
 
Alle altre Contadine che raccolgono patate letteralmente “spezzandosi la schiena” - piegate in due come sono verso la terra, sempre troppo bassa - ed alle difficoltà che comporta la pittura “dal vero”
“Andate fuori a dipingere sul posto! Allora succedono cose come queste – devo aver staccato minimo un centinaio di mosche, o anche di più, dalle 4 tele che riceverai, senza contare polvere e sabbia e così via. Senza contare che se uno se le porta dietro per ore nella brughiera e tra le siepi, un ramo o qualcos’altro finirà per graffiarle.”
 
Si arriva, infine alla bella Baracca con contadino che rientra a casa dipinta con molta materia pittorica e con raffigurati accanto due curiosi alti ma esili alberelli che, nel linguaggio agronomico tecnico, definiremmo “filati”.
Amo i nidi di uccelli e di più i nidi umani.
dice Van Gogh e così l’edificio a due piani viene quasi idealizzato al punto da ricordarci le calde abitazioni degli Hobbit della Contea nella Terra di Mezzo mentre, nella realtà del Brabante, era estremamente povero con all’interno gli spazi per la vita domestica e per il lavoro in casa (ad esempio la filatura) e dal tetto in paglia per lo più pioveva dentro.
Procedendo ancora nella visita spariscono di nuovo i colori. Uno Zappatore in gessetto nero e teste di donne, abbruttite per la vita grama che conducono e scure: come fossero dipinte con la terra che lavorano e le consuma. Fra queste una litografia: Mangiatori di Patate, del 1885, corrispondente al suo primo dipinto importante, purtroppo non in mostra, ed ultimo prima della partenza per Parigi.
La disposizione delle cinque figure tristi e stanche attorno ad una tavola è invertita nelle due versioni ed è curioso osservare che l’uomo sulla destra ha le identiche sembianze di una Testa di donna dipinta ad olio esposta poco oltre.
Per capire appieno l’opera occorre premettere che nella Francia del tempo le patate erano considerate un cibo solo per gli animali. Scrive Vincent a Théo
Mi sono proprio sforzato di rendere l’idea di queste persone che mangiano le proprie patate alla luce del loro piccolo lume, hanno dissodato la terra loro stessi con le stesse mani che mettono nel piatto e quindi il quadro parla del fatto che si sono così guadagnati onestamente il proprio cibo.
In questa misera cena di contadini dai volti sfigurati, in un ambiente più che povero, dove il colore predominante è il nero il tema che aleggia è però anche quello dell’affetto reciproco: ognuno si interessa agli altri. La donna sulla destra guarda l’uomo che le sta vicino, preoccupata per la sua stanchezza, il contadino che vediamo di fronte porge una patata a un’altra donna che, a sua volta, versa il caffè per tutti. Qual è il messaggio? Anche i contadini, pur mangiando patate, il frutto del loro lavoro, hanno una propria dignità umana. Tale dignità consiste nell’attenzione vicendevole: pur nel poco che hanno a disposizione questi contadini posseggono un grande senso del bene comune, che è di tutti e di nessuno in particolare. Anche oggi è cosa difficile prima da comprendere e poi da vivere, sia in famiglia sia nella società.
Svoltato l’angolo della saletta successiva, a fatica riusciamo ad ammirare il Van Gogh dei ritratti che contiene. È infatti troppo angusta per accogliere adeguatamente i visitatori che vi si soffermano un po’ più a lungo, avendo finalmente ritrovato il colore che, forse, si attendevano da questa mostra. Sbirciando fra le teste degli altri come noi coinvolti nell’ingorgo, possiamo non di meno apprezzare tre mezzi busti inquadrati fino all’altezza delle spalle davanti a sfondi neutri.
Nel Ritratto di Josef Roulin troviamo l’amico postino che gli consegnava la corrispondenza nell’ospedale dove si era fatto ricoverare.
Se Roulin non è vecchio abbastanza per essermi padre, egli ha comunque per me una tenerezza ed una silenziosa serenità, come di un vecchio soldato nei confronti di una giovane recluta. Sempre, ma senza una parola, un qualcosa che sembra dire: non sappiamo che ci succederà domani, ma qualsiasi cosa accada conta su di me.
Presentato in posizione pienamente frontale, ostenta una folta barba, bipartita e attorcigliata in volute, che sembra quasi prolungarsi in una peluria che gli ricopre tutto il volto; con sfumature blu che riprendono, anche negli occhi, il colore della giacca della divisa di funzionario pubblico. Allo stesso modo del Cenacolo di Leonardo dove, nei piatti sulla tavola, si riflettono i colori degli abiti degli apostoli. Anche lo sfondo, trattato a pennellate compatte, dense e piene (mentre nell’Autoritratto erano corte e vorticose), esprime solidità ed è alleggerito da un volteggio di fiori, fra i quali si riconoscono papaveri e margherite, che richiamano le decorazioni tipiche dell’arte giapponese alla quale Van Gogh si era appassionato.
Nel Ritratto di Joseph Michel Ginoux, proprietario del Cafè di Arles – soggetto del Caffè di Notte – i sentimenti sono diversi: la giacca è ancora blu ma questa volta definita da spessi tratti neri molto dinamici che ne tracciano contorni e pieghe mentre le fattezze spigolose del volto, la posizione della testa inclinata all’indietro e lo sfondo verde agitato da un turbinio di pennellate attorno alla figura vogliono forse trasmettono le emozioni di Vincent di fronte ad una personalità scostante.
Ancora più inquietante è il Ritratto di fanciulla. Proposta di tre quarti davanti ad una tappezzeria spenta, decorata con semplici, ossessivi, tocchi di pennello abbinati, dello stesso verde acido dei riflessi che le attraversano il nero dei capelli e del viso livido, ha lo sguardo abbassato e triste. Non è difficile, considerando che il dipinto precede di poco la morte del pittore, considerarla una proiezione del suo stato di profondo disagio.
Sulla parete opposta le Dame bretoni (da Émile Bernard), copia di un dipinto mostratogli da Gauguin, non hanno fatto molta strada per arrivare in mostra. Infatti fanno parte della collezione della milanese Galleria d’Arte Moderna di via Palestro, dove non abbiamo mai visto file di visitatori che vi si attardino davanti ad ammirarle.
Se al ritratto si poteva dedicare grazie alla disponibilità di amici e conoscenti, la scelta di dipingere nature morte non era dettata da un’esigenza artistica ma da contingenze economiche. Lo scrive esplicitamente a proposito dei fiori che dipinge in Francia, come le Rose e peonie dai colori chiari ma su fondo scuro (che richiama la pittura che gli era propria in Olanda) fatto di fitte pennellate di taglio e cadute sul piano d’appoggio del vaso.
Per quanto concerne quello che sto facendo io, mi sono mancati i soldi per pagare i modelli, altrimenti mi sarei dedicato anima e corpo a dipingere le figure, ma ho fatto una serie di studi sul colore dipingendo semplicemente dei fiori. Quindi sto lottando per la vita e l’avanzare nell’arte.
In mostra nella Natura morta con cappello di paglia leggera i colori chiari del Cappello, della pipa, del vasellame e degli altri oggetti sono una dimostrazione dei suoi studi sullo stile luminoso di altri artisti.
Ho lasciato L’Aia con alcuni studi ad olio e un paio di acquarelli. Certo, non sono capolavori e, però, sono davvero convinto che abbiano qualcosa di sano e di vero, più, se non altro, di ciò che ho fatto finora. Quindi ora mi considero all’inizio dell’inizio di realizzare qualcosa di serio.
Invece, nella Natura morta con frutta, la tristezza delle mele grigie e delle zucche marroni su uno sfondo nero, pesante come i cieli già descritti in apertura, c’è la sfida alla tela vuota che incute timore al pittore che, tuttavia, essa stessa a sua volta teme.
In relazione ai Nidi d’uccelli, che rappresentano un suo momento di solitudine, Vincent racconta di averli trovati girovagando con un ragazzetto per la campagna e di averli raccolti e portati a casa per dipingerli senza rimpianti o sensi di colpa: perché i piccoli li avevano già lasciati. Dal loro non essere più nell’ambiente naturale dipende infine lo sfondo nero.
Tornando dalle olandesi alle nature morte dipinte in Francia, nella Natura morta con statua di gesso e libri si scopre il suo essere un grande lettore dei romanzi a lui contemporanei (qui spicca ban in vista il titolo di Bel Ami, il secondo romanzo realista di Guy de Maupassant, pubblicato nel 1885) ed inquietano la statuetta senza testa e braccia ed i fiori recisi a testa in giù che sembrano stiano tutti scivolando fuori dal dipinto.
Equilibrio instabile che torna nella Natura morta con patate, dove il cesto è dipinto quasi tridimensionale e dà l’idea di cadere fuori della tela.
Qui le patate sono chiare, bianche con venature rosse (del sangue costato per produrle?), mentre lo sfondo nella parte superiore è dipinto a larghe pennellate beige ortogonali che in basso diventano parallele ed azzurre… quasi il piano d’appoggio fosse acqua.
L’instabilità, forse rivelatrice del fatto che
i quadri non si vendono, [ma] valgono più del colore e della mia vita
continua a ricorrere anche nel Cesto di limoni e bottiglia (mezza piena e chiusa dal turacciolo) appoggiati su una tovaglia senza tavolo: chiara come lo sfondo, rispettivamente di un giallo e verdino rubato agli stessi limoni che, nel cesto di midollino intrecciato, sono bruni e sembrano quasi patate.
Esplicitamente autobiografica è, infine, la Natura morta con cipolle. Confusa ed affastellata di oggetti è come fosse un autoritratto senza la presenza fisica di Vincent ma rappresentativa di quello che fa: ci sono libri ed una candela accesa (legge), cipolle in un piatto (mangia, poco e male!), una pipa, tabacco e fiammiferi (fuma), una bottiglia vuota (beve, anche troppo fino a diventare un alcolizzato), una lettera (scrive tanto)… Fuori proporzione e quasi sospesa nell’aria (non si capisce dove sia appoggiata) è la grande teiera verde dietro il tavolo: forse è semplicemente dipinta per riempire uno spazio altrimenti vuoto e dare equilibrio alla composizione nella quale si notano le ombre degli oggetti sul tavolo: blu come è blu la parete di fondo.
Arrivati all’ultima sala, dei paesaggi, è un peccato che con gli altri visitatori, come già davanti ai ritratti, anche qui si sia costretti ad affollarsi davanti ai capolavori come le auto al casello autostradale di Melegnano intasato alla fine delle ferie estive. Passando a parlare d’arte, nel Sottobosco, che a passarci sopra il dorso della mano si rischia di tagliarsi per la quantità materia pittorica stesa, Van Gogh dipinge a tocchi e puntini, al modo degli Impressionisti che ha appena conosciuto. Guarda la realtà e cerca di riprodurre immediatamente sulla tela non la forma di quel che vede ma l’impressione che fa su di lui.
A volte desidero talmente dipingere un paesaggio, come uno anela a una lunga passeggiata per ristorarsi, e in tutta la natura, negli alberi ad esempio, io vedo un’espressione ed un’anima.
All’opposto è il quadro che gli sta accanto: una Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer, del periodo in cui Vincent vive ad Arles.
La città è geometrica e squadrata nei suoi edifici dai colori chiari, adagiata in orizzontale e contrapposta all’allineamento verticale dei filari dei cespugli del campo di lavanda.
Credo che in questo momento bisogni dipingere gli aspetti ricchi e magnifici della natura, abbiamo bisogno di buon umore e felicità, speranza e amore.
Più divento brutto, vecchio, meschino, malato, più mi voglio vendicare creando colori brillanti, ben combinati e risplendenti.
Ma il quadro che più ci è personalmente piaciuto fra quelli esposti è Sentiero in un parco. Per il pittore un punto di arrivo dal quale prendere nuovo slancio:
L’ultimo quadro, fatto con gli ultimi tubetti sull’ultima tela, è un giardino, verde in natura, dipinto senza verde vero e proprio, solo con del blu di Prussia e del giallo cromo. Comincio a sentirmi del tutto diverso da com’ero quando sono arrivato qui, non ho più dubbi, non esito più ad affrontare una cosa, e potrebbe migliorare ancora.
Il cielo è scuro, notturno. Invece la scena sotto gli alberi è diurna come si comprende dagli ombrellini parasole aperti delle figure femminili presenti e dal chiarore che filtra in trasparenza fra le fronde basse degli alberi ad illuminare con improvvisi lampi di luce il sottobosco ed il sentiero: azzurro come fosse un corso d’acqua mentre sembra giallo il corso d’acqua vero e proprio di cui si intuisce la presenza oltre il sottile parapetto di cui si vedono alcuni tratti in fondo alla prospettiva.
Nuove forti contrapposizioni propone La vigna verde: opera che precede La vigna rossa, unico suo dipinto venduto con l’autore in vita. Nella parte inferiore il vigneto è irriconoscibile. Sono gli anni della permanenza in ospedale nei quali Vincent si appassiona ai cipressi, agli ulivi ed alle vigne che definisce tutti
attorcigliati come me”.
Anche qui c’è tanta materia da tagliarsi le dita al solo accarezzare la tela. Il colore vi sembra quasi come spruzzato direttamente dal tubetto o disteso con la spatolina. Alcune donne, sempre proteggendosi con gli ombrellini parasole, vi si addentrano quasi timorose ed esitanti.
Nella sottile striscia centrale di alberi, prati e case coloniche ci sembra di respirare… ma sopra tutto incombe il turbinio di un cielo che annuncia il temporale in arrivo. Con tratti densi e larghi Van Gogh vi trova, senza quasi pensarci, il blu perfetto cercato e realizzato da Kandinsky negli anni Venti del Novecento.
Ma Vincent è modesto
La mia ambizione si limita davvero a qualche zolla di terra, del grano che germoglia. Un uliveto.
e nell’Uliveto con due raccoglitori di olive torna a riposarci lo spirito sotto un cielo dipinto, come fosse una pioggia d’oro, a tratti sottili obliqui in direzione opposta a quelli dei bruni e blu della terra e delle ombre che su di essa proiettano le fronde verdi degli ulivi ondulate in verticale.
Nella penultima opera in mostra, Giardino ad Auvers, il cielo invece sparisce del tutto ed il paesaggio, bidimensionale, ci cade letteralmente addosso: nel 1889, con trent’anni di anticipo sul Cavaliere azzurro di Kandinsky, Van Gogh entra nell’arte astratta.
Anche qui Van Gogh mette assieme gli opposti: la vegetazione racchiusa nelle aiuole è disordinata, fatto ben strano per un giardino formale quale sembra essere quello raffigurato, la ghiaia dei percorsi è fatta di puntini chiari su una sorta di grande telo disteso sul verde dei prati e l’unico oggetto riconoscibile lo è per modo di dire: ascoltando le presentazioni di due guide di passaggio una l’ha definito un cestino dei rifiuti, un’altra un pozzo!
Di un anno precedente ma altrettanto spiazzante è il Paesaggio con covoni e luna che sorge (1889). La luna del titolo sembrerebbe essere invece un sole anche se, in verità, il cielo è tutto omogeneo e non si arrossa come dovrebbe fare attorno alla fonte della luce all’alba o al tramonto. Il paesaggio sottostante è montano, in blu, collinare, in verde, e di campagna, in giallo, ma sembra un mare di onde che si frangono sulla costa. I covoni sembrano quasi lunghi capelli ricadenti dalle chiome di donne viste da dietro ed emergenti da un’ambientazione quasi da girone dantesco nella Divina Commedia.
Tutto è confuso perché Vincent stesso è confuso:
Cosa altro si può fare, pensando a tutte le cose la cui ragione non si comprende, se non perdere lo sguardo sui campi di grano. La loro storia è la nostra, perché noi, che viviamo di pane, non siamo forse grano in larga parte? Se non altro, dobbiamo o no sottostare a crescere, senza poterci muovere, come una pianta, ignorando ciò che la nostra immaginazione a volte desidera, ed essere falciati quando maturi? Per quanto mi riguarda, penso che sarebbe più saggio non augurarsi di star meglio, di riacquistare le forze e probabilmente mi ci abituerò, ad essere spezzato. Un po’ prima, un po’ dopo, che differenza vuoi che faccia per me?”.
 
Giovanni Guzzi, febbraio 2015
© Riproduzione riservata
 
 
CREDITI FOTOGRAFICI
© Kröller-Müller Museum, Otterlo Olanda

ad eccezione di:
* © Caldic Collectie, Wassenaar
** © Citta del Messico, Museo Soumaya. Fundacion Carlos Slim, A.C.
*** © Collection Centraal Museum, Utrecht; in prestito dalla Van Baaren Museum Foundation
 
Elenco opere in ordine di pubblicazione
 
Vincent Van Gogh

Dopo la tempesta o Pastore con un gregge di pecore Settembre 1884
Contadini che seminano patate 1888
Autoritratto 1884
Seminatore con cesta Settembre 1881
Contadina che lega fascine di grano 1885
Contadino che brucia le erbacce insieme a sua moglie 1883 *
Contadina che spala letame in un campo innevato 1883
Contadine che raccolgono patate 1883
Casetta con contadino che rientra a casa Giugno-luglio 1885 **
I mangiatori di patate Aprile 1885
Testa di donna 15 maggio 1885 circa
Ritratto di Joseph Roulin 1889
Ritratto di Joseph-Michel Ginoux 1889
Rose e peonie 1886
Natura morta con cappello di paglia 1881
Natura morta con statuetta di gesso e libri 1887
Natura morta con patate 1888
Natura morta con cipolle 1889
Sottobosco 1887 ***
Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer 1888
Sentiero in un parco 1888
La vigna verde 1888
Uliveto con due raccoglitori di olive 1889
Giardino a Auvers Giugno-luglio 1890
Paesaggio con covoni e luna che sorge 1889