L'Eclettico



Ecologia della comunicazione



L’inopportuno uso dei “social” da parte di istituzioni pubbliche e associazionismo

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

ECOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE

L’inopportuno uso dei “social” da parte di istituzioni pubbliche e associazionismo


Come noto i principali - cosiddetti - “social” prevedono l’obbligo di registrazione sulle rispettive piattaforme per l’utente interessato ad accedere ai contenuti che vi sono proposti. Per questo motivo, se il privato cittadino è ovviamente libero di comportarsi come crede, ritengo invece inopportuno il loro uso sistematico, come abituali canali di comunicazione, da parte delle istituzioni pubbliche e private (fra queste anche quelle religiose) e dell’associazionismo della società civile ed ecclesiale. Nell’ambito delle realtà citate, vorrei quindi aprire un confronto costruttivo sottoponendo alla comune riflessione alcune argomentazioni sul tema.

1. OSSERVAZIONE

Sulle pagine elettroniche dei siti di istituzioni ed associazioni noto spesso che, appena sotto titoli ed intestazioni, quasi ne costituissero l’elemento più importante, compaiono loghi di “social”: per lo più Facebook, Twitter ed altri, a volte anche Google+.

1.1 Fra questi, Google+ non esiste più: chi ve lo lascia non fa bella figura, a maggior ragione se vuole presentarsi come moderno “utilizzatore” delle “nuove” forme di comunicazione. Nuove si fa per dire… se ci riferiamo a quelle in discussione che è noto essere usate in prevalenza da utenti in non più tenera età.

1.2 Quanto alle altre due piattaforme, Facebook e Twitter, troverei più opportuno siano (almeno) spostate in coda agli articoli: per condividere qualsiasi scritto bisognerebbe prima leggerlo e, così come sono, per la forza che hanno questi marchi, richiamano lo sguardo del lettore risultando quasi più importanti dello stesso testo che precedono; il tutto diventa quindi, di fatto, una sorta di loro “pubblicità” con riconoscimento di autorevolezza e credito, paradossalmente a volta addirittura da parte di chi, viceversa, meriterebbe apprezzamento proprio per il suo differenziarsi rispetto al pensiero univoco corrente.

2. RIFLESSIONI SUI SOCIAL (SPECIALMENTE FACEBOOK) - ECOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE

2.1 Soluzione comoda
So bene che molte associazioni, specialmente le più piccole e meno strutturate, sono in rete esclusivamente sulle piattaforme social: principalmente Facebook, perché la soluzione è tecnicamente più semplice rispetto alla pubblicazione e gestione di un vero e proprio sito internet ed è “apparentemente” senza costi. Però gran parte di queste associazioni un sito ce l’hanno.

2.2 Efficacia della comunicazione tramite piattaforme social
Per non ragionare “a sentimento” ma su basi concrete, suggerisco di analizzare qualche dato/riscontro. Infatti credo sia utile (sempre come e quando si può) avere una misura dell’efficacia riscontrata attraverso questi strumenti di comunicazione.
Dall’esperienza che ho io (anche di amici che hanno usato i servizi di Facebook a pagamento), non risulta che il “ritorno” sia proprio quello atteso o creduto; ma posso anche sbagliarmi, quindi sarei contento di conoscere dati oggettivi che dimostrino il contrario).
Nelle intestazioni dei riquadri Facebook, spesso presenti “di spalla” su ogni pagina dei corrispondenti siti, capita infatti di leggere numeri di “mi piace” a tre-quattro cifre: non propriamente un gran successo (così come le poche migliaia di seguaci e le poche decine di registrazioni)!
A numeri analoghi arrivo, ogni mese, grazie all’autorevolezza acquisita per i suoi contenuti e senza fare alcuna pubblicità, semplicemente con questo mio modesto sito giornalistico che è L’Eclettico (www.rudyz.net/eclettico), e io non sono certo un noto personaggio pubblico “influenzatore” di masse.
Per quanto so sulla situazione finanziaria e sui numeri delle adesioni ad alcune associazioni che conosco direttamente, non sembra che la loro presenza sui social sia foriera di una grande utilità (come per la maggior parte di chi vi è attivo). Al contrario, tanti piccoli numeri sommati fra loro, decretano il successo commerciale dei padroni delle piattaforme.
Anche frasette, standardizzate e replicate su tutti i profili, come “Di’ che ti piace prima di tutti i tuoi amici” le trovo un po’ infantili ed un po’ stonate per chi propone contenuti e proposte di ben altro livello; d’altra parte sono emblematiche della considerazione che i gestori dei social hanno per i loro utenti.

2.3 Le multinazionali
Multinazionali come Coca Cola ed altre, che molti di noi hanno boicottato e boicottano tuttora per ottime ragioni, a loro volta ora boicottano i social perché le azioni scorrette di questi ultimi ne danneggiano l’immagine (ed abbiamo detto tutto): che benemerite associazioni ed istituzioni si facciano “superare in coerenza” da queste realtà, che di etico hanno ben poco, mi sembra paradossale.

2.4 Spregiudicatezza e falsità dei social
Al di là della facciata “perbenista” o delle elargizioni caritatevoli (ben sfruttate mediaticamente oltre il loro risibile importo rispetto ai propri fatturati: come quella che tempo fa è valsa a Zuckerberg l’apertura di tutti i TG di prima serata con un minuto di servizio e ripresa video accanto a Papa Francesco: per una volta dimostratosi più sprovveduto di quanto in realtà sia) - e precisando che le mie considerazioni si riferiscono in particolare a Facebook e si fondano su cronache giornalistiche radiotelevisive di testate nazionali e sulle informazioni ricavate dalla lettura di quotidiani che godono di un generalmente condiviso giudizio di autorevolezza e serietà - penso si possa tutti convenire sul fatto che le piattaforme social più in uso:

2.5 Finalità dei social
La finalità delle reti sociali è fondamentalmente VENDERE IL TEMPO CHE RIESCONO A TENERCI COLLEGATI. Tenerlo a mente ci permette di riconoscere senza difficoltà come ogni meccanismo di Facebook, Instagram e WhatsApp (entrambe acquisite "da Facebook" rispettivamente nel 2012 e nel 2014), compagnie telefoniche e tutti gli altri sia appositamente costruito con questo scopo, dimostrando un’ottima conoscenza della psicologia dell’essere umano. Per fare soldi senza farsi scrupoli.

Lo dimostra come sono arrivati al successo, e sappiamo bene che ciascuno di loro ha cominciato con un’azione disonesta, personaggi come Zuckerberg, Gates ed altri. Replicando su altra scala economica e planetaria quanto nella nostra piccola Italia ha fatto un altro ben noto personaggio sceso in politica a difendere direttamente i propri interessi, quando è venuto meno chi l’aveva protetto ed avvantaggiato fino a quel momento.
Poco valgono a ripulirsi coscienza e reputazione le fondazioni filantropiche costituite “a fine carriera”. In proposito, anche per i non credenti, penso sia lapidario e condivisibile il versetto evangelico relativo a “cammelli” (che poi forse erano grandi funi di uso nautico) e “crune” di aghi.

Chi vuole davvero essere un benefattore dell’umanità si comporta diversamente.
Un esempio? Tim Berners Lee, l’inventore di internet che ha voluto condividere la sua idea anziché restarne proprietario per arricchirsi, risulta abbia dichiarato che:

“Il denaro è importante, ma non è tutto. La vera battaglia, da tempo, è tra chi vuole far progredire l’umanità e chi vuole fare soldi”.

In questo contesto, l’illusione - propria anche di molte buone anime nel mondo ecclesiale - di portare contenuti positivi in un ambiente che tale non è, è appunto soltanto “pia” e fa il gioco dei burattinai di turno.
Purtroppo pochi si avvedono dei fili e decidono di tagliarli. Quando questo avviene me ne rallegro e sono felice di conoscere di persona chi ha il coraggio di ricredersi.
Come Tawadros (Teodoro) II di Alessandria, il Papa della Chiesa Copta d’Egitto incontrato di recente a Milano: una guida spirituale che, a seguito di un grave fatto accaduto in un monastero sotto la sua giurisdizione, ha chiuso il suo profilo Facebook ed ha disposto che facessero altrettanto tutti i religiosi appartenenti alla sua Chiesa.
Spero che anche altre chiese cristiane ed esponenti di altre religioni seguano il suo esempio.

2.6 Analisi degli esperti della comunicazione
Conoscenti appartenenti ad associazioni che hanno come finalità loro propria lo studio dei mezzi di comunicazione, mi hanno confermato quanto la mia esperienza nell’organizzazione di eventi di qualità e la contestuale misura dell’efficacia della comunicazione adottata per essi mi avevano empiricamente dimostrato: i social funzionano bene per rilanciare sciocchezze effimere - come versarsi secchiate d’acqua gelida in testa - che hanno esplosioni di contatti ma poi spariscono nel nulla.
Funzionano, invece, meno bene per le “cose serie”.
Anche un autorevole studio sull’efficacia della comunicazione “social” dei musei ha rivelato quanto essa sia sopravvalutata.
Non è un caso che un’importante quota dell’influenza di questi strumenti sull’opinione pubblica derivi dal rilancio dei loro contenuti da parte della stampa pigra che si appiattisce nella comoda pratica di limitarsi a riproporre - amplificandoli - sulle proprie testate di vario genere (stampate, elettroniche e radiotelevisive) i videomonologhi o i messaggi pubblicati su Facebook; invece che pensare, confrontare le posizioni, verificare le notizie e “fare domande pretendendo risposte” aiutando così i lettori ad esercitare a loro volta autonomia di pensiero e capacità critica.
Proprio questa è la ragione che rende convenienti gli imponenti investimenti economici che sui social vengono condotti perché sia considerato più del dovuto il seguito di chi vuole artificialmente gonfiare la propria autorevolezza.
Non credo invece sia qui necessario soffermarsi sulle notizie false, deliberatamente propalate come vere - senza vergogna - da parte di chi riveste importanti ruoli nella società e nelle sue forme di aggregazione.

2.7 Responsabilità istituzionali
Per quanto ho fin qui argomentato, ritengo che ogni istituzione pubblica (includendo nella categoria non soltanto, come ovvio, la Pubblica Amministrazione a tutti i suoi livelli, e deprecando i suoi esponenti che cedono al malcostume imperante, ma anche altre istituzioni ed associazioni che vogliano proporsi come autorevoli punti di riferimento per l’opinione pubblica e per i rispettivi aderenti) debba utilizzare soltanto forme di comunicazione diretta che siano pienamente pubbliche e consultabili da chiunque: in tutte le sezioni in cui sono articolate e senza che per l’utente vi sia alcun obbligo di registrarsi.
Attualmente ciò viene invece richiesto anche sui profili pubblici di alcuni social (un tempo accessibili liberamente a chiunque) che, almeno per certi visitatori (come capita a me), restano tali solo per pochi secondi e solo per la pagina iniziale.
Nel breve volgere di qualche istante una maschera automatica copre lo schermo invitando il lettore ad accreditarsi per poter continuare la lettura. Il comando che posticipa questo adempimento vale a togliere di mezzo la maschera solo per poco: come un pupazzo a molla che salta fuori dalla sua scatola ce la ritroviamo di nuovo addosso in men che non si dica.
Quando questo accade io chiudo direttamente tutta la pagina, orgoglioso di farlo e fiero di potermi riconoscere in un verso che Francesco Guccini canta in “Canzone di notte n. 2”: “scusate non mi lego a questa schiera... morrò pecora nera”.

2.8 Etica della comunicazione
La questione che pongo è, quindi, se “è etico che, anche per fini buoni, un’istituzione utilizzi strumenti che, pur di successo, hanno ombre oscure alla loro origine e nella loro conduzione”: come dimostrato di recente anche con i messaggi successivi all’uccisione del ragazzo nel Lazio. Su un sistema che non blocca queste nefandezze (e non lo fa perché gli conviene ci siano) non credo si possa stare, io almeno non ci sto e mi imbarazza quando lo fanno associazioni ed istituzioni alle quali appartengo.

2.9 Tracciamento
Il problema del tracciamento è evidentemente implicito nell’obiezione ed è alla base di tutto: proprio l’obbligatorietà di registrarsi è il problema che sollevo quando a proporla è un’istituzione.
Rispetto a queste mie osservazioni c’è chi ha osservato: “Persino il papa e il Presidente degli USA ormai fanno politica prevalentemente attraverso Twitter.”…
Ma Papa Francesco almeno non usa Facebook, che invece usa il Vaticano (ahimè), come fanno anche tanti preti, diocesi e parrocchie, e questo lo considero sbagliato, come ho già scritto.
Quanto a Trump: qualsiasi mezzo usi, per me non è un modello al quale fare riferimento, in qualsiasi campo.
E comunque dissento dall’argomentazione che la politica si faccia attraverso i social; qui si fa l’apparenza: del Papa, che ha cose più serie da dire, la maggior parte dei rilanci sugli altri media non si riferiscono a quanto scrive su Twitter.
Con Trump, Salvini ed altri di ogni parte politica - ma si noti chi mi è venuto per primo in mente e ci si domandi il perché - succede il contrario: e questo conferma le mie argomentazioni.

2.10 Il buon esempio che attrae
Una presa di posizione netta in questo senso, anche adeguatamente comunicata ai media, credo sia una notizia che darebbe a chi la pronunciasse più attenzione di quanta ne possa avere attraverso i social; e magari potrebbe anche concretizzarsi nella possibilità di suscitare nuovi aderenti e sostenitori, oltre a guadagnarsi il plauso di tanti. È come quando, in una successione di spot a colori, ne compare uno in bianco e nero: che si distingue dalla massa e desta maggior interesse.

2.11 I giovani
Inoltre, a chi obietta: “Che noi lo vogliamo o no, oggi il mondo (soprattutto quello giovanile) comunica così”, come ho già scritto, rispondo che i social seguiti dai giovani non sono Facebook e Twitter, chi fra i lettori è insegnante, o comunque vive ed opera con e fra i giovani, può verificarlo facilmente.

2.12 Vogliamo un’altra comunicazione
Ciò di cui c’è bisogno è di una comunicazione più riflessiva ed argomentata, che è più difficile, perché ci portano altrove tutte le forze economiche che ci vogliono condizionare: pensiamo alla telefonia, sulla quale avrei anche un altro tema da aprire con riferimento alla salvaguardia ambientale ed al risparmio energetico.
Mi sto battendo su questo fronte contro il mio fornitore Wind (al quale sono arrivato lasciando per lo stesso motivo Telecom) e cercherò di resistere fino a quando potrò.

Spero che quanto ho scritto possa essere utile per riflettere sull’argomento e procedere di conseguenza nelle relative scelte che riguardano tante piccole o grandi, ma comunque benemerite, espressioni della società civile; oltre a comuni, province, regioni.

Per quanto mi riguarda non predisporrò mai un collegamento ad una delle pagine elettroniche di social con le caratteristiche descritte né ad altre che vi puntino.
Se per qualche eccezionale ragione mi dovesse capitare di dover derogare a questa regola che mi sono dato, nel farlo mi sentirò in imbarazzo ed in conflitto di coscienza con il mio desiderio di coerenza - la sola qualità che ci rende credibili agli occhi dei nostri interlocutori - perché porterò comunque una mia gocciolina d’acqua ad un mulino che macina una farina... “non proprio biologica”!

Grazie per l’attenzione che chi è arrivato a leggere fin qui ha voluto dedicare a questo tema, però non irrilevante. E grazie a chi vorrà diffondere questo testo (possibilmente dandomene riscontro - scrivi QUI >>>).

Noticina autobiografica

Fin da piccolo ho iniziato a diffidare di chi mi prendeva per “fessacchiotto” e voleva approfittare della mia dabbenaggine. A partire dai fumetti di Topolino quando, in un periodo in cui vi prevalevano storie disegnate male e “di poco spessore” (tranne la prima dopo la copertina), l’editore contava di far presa sui lettori allegando ad ogni numero dei giocattolini. Ho capito che mi prendevano per una persona di poca intelligenza... così ho smesso di comprarlo. Frequentavo le scuole elementari, ma la mia maestra mi dava da leggere anche i libri di Mario Rigoni Stern... quando si dice… “le buone letture”!

Giovanni Guzzi, novembre 2020
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