Senza Confini



Leonardo da Vinci (1452 - 1519)<br>L'Ultima Cena



Quando una persona vuole rimanere fedele alla propria coscienza rischia di essere chiamata alla solitudine

 

Parrocchia di San Pio X in Cinisello Balsamo - MI
Omelia di don Danilo Dorini del 5, 12, 19 e 26 maggio 2002

Messe di prima Comunione

Dal dipinto di

LEONARDO DA VINCI

Anchiano di Vinci (Firenze) 1452 - Amboise, Castello di Cloux, Loira (Francia) 1519

“ULTIMA CENA”

1495-97

Milano, refettorio di Santa Maria delle Grazie

 

5 maggio

Domanda: Qual è il numero da 0 a 9 che è maggiormente rappresentato nell’affresco?
Il numero 3: le finestre, 3 x 3. Gli apostoli, quattro gruppi da tre.
E Gesù? È solo: la finestra gli fa da cornice e lo stacca dagli altri. Gli apostoli sono a gruppi, Gesù no.
Gli sguardi: Gesù non incrocia nessun apostolo con gli occhi; due lo guardano ma lui… guarda altrove e… lì non osserva nessuno. Nessuno comprende quanto sta accadendo. Solitudine è non avere qualcuno su cui contare, con cui dialogare apertamente. Stare in mezzo alla gente ma non avere amici, giocare, andare in giro, in vacanza, ma… al momento opportuno non sapere perché non c’è a chi telefonare, a chi rivolgersi.

Ma perché Gesù è solo? Risposta: Per scelta! C’è una parolina tanto semplice quanto ignobile, usata da molti quando vogliono giustificare la propria mediocrità e superficialità: anche. Anche gli altri lo fanno; anche loro dicono; anche loro non pagano… È la parola più usata nella pubblicità quando si vuole illudere la gente e impedirle di essere critica: vuoi far colpo sulle ragazze? Compra anche tu quella macchina. Vuoi apparire bella? Usa anche tu quella crema.

Pure Gesù avrebbe potuto ragionare così: siccome anche i discepoli non capiscono io non istituisco l’Eucaristia; di più, dal momento che la gente, i romani e anche gli apostoli, mi abbandoneranno io non accetto di essere messo in croce…

Ma Gesù fece un altro ragionamento ed all’anche aggiunse una piccola particella: se. Venne fuori “anche se”. Anche se loro non comprendono io mi dono lo stesso; anche se non mi seguono io prendo la croce; anche se rimarrò solo, avendo la maggior parte contro e un piccolo gruppo inerme per la paura, io non mi tiro indietro. Quale fu la scelta di Gesù? Essere fedele alla volontà di Dio.

Quando una persona vuole rimanere fedele alla propria coscienza rischia di essere chiamata alla solitudine. Purtroppo oggi noi abbiamo paura di restare soli e non abbiamo il coraggio di essere solitari e così scadiamo nella mediocrità. Ci guardiamo allo specchio e diciamo: sei un mediocre.

 

12 maggio, domenica dopo l’Ascensione

Settimana scorsa abbiamo considerato la solitudine di Gesù, evidenziata da Leonardo attraverso la finestra che, alle spalle, funge da cornice staccando Gesù da tutti gli apostoli. Vi dicevo che Gesù ha scelto di essere solo.

Oggi consideriamo la reazione degli apostoli alle parole di Gesù riportate nel vangelo di Giovanni: “Uno di voi mi tradirà”.
I discepoli si guardarono gli uni gli altri perché non capivano a chi si riferiva. Uno di loro, il discepolo prediletto di Gesù, era vicino a lui a tavola: Pietro gli fece un cenno come a dire: “Chiedigli di chi sta parlando”.

Ogni apostolo ha un suo modo proprio di reagire ma li accomuna tutti un dato che danno per scontato: la cosa riguarda certamente un altro, non sé stessi. Invece, per Leonardo, tutti sono coinvolti; in modo diverso, senz’altro, ma tutti scelgono di lasciare solo Gesù.

Per riconoscerli, ossia per dare loro un nome, l’attenzione deve concentrarsi sulle mani, in particolare la sinistra.
Bartolomeo si alza di scatto, quasi volesse andare a difendere Gesù, perché lui non è.
Giacomo minore, cugino di Gesù, cerca di interpellare un altro apostolo ma costui è impegnato in altra conversazione.
Andrea, il primo apostolo chiamato da Gesù, ma… lui non c’entra, non sa nulla, non ha visto… Sarà un caso, ma è sepolto ad Amalfi.
Pietro con una mano chiama Giovanni, con l’altra tiene un pugnale, simbolo del suo rinnegamento.
Giuda, facilmente riconoscibile perché nella mano destra tiene già il frutto del suo tradimento. Che sfacciataggine la sua: stare a tavola, mangiare gratis e sparlare del padrone di casa. La mano sinistra invece è indirizzata verso il piatto e quasi incontra quella di Gesù.
Giovanni non ha la testa sul petto di Gesù come dicono in molti, solo il capo è lievemente chinato verso Gesù.
Giacomo maggiore, fratello di Giovanni, la loro madre aveva chiesto che i suoi figli sedessero uno a destra e l’altro a sinistra.
Tommaso ha l’indice rivolto verso l’alto, lo stesso dito che toccò, dopo pasqua, le ferite di Gesù.
Filippo, colui che aveva chiesto a Gesù di mostrargli il Padre, sembra in crisi.
Matteo con un gesto eloquente sembra chiedere:”Cosa ha detto quello là?” riferendosi a Gesù.
Giuda Taddeo, anche lui forse cugino di Gesù, ma… lontano e disorientato.
Simone ne sa meno di tutti.
Nessuno dunque comprende le parole di Gesù e, al momento opportuno, lo lasceranno solo.
Ma, Gesù non ha avuto bisogno della solidarietà dei suoi discepoli per andare in croce. È andato al di là… Festa dell’Ascensione: Dio ci aiuti a saper andare oltre in tutte le situazioni che ci capitano.

 

19 maggio, Pentecoste

Innanzitutto un pensiero sulla festa liturgica di oggi, la Pentecoste; poi continueremo a spiegare il Cenacolo di Leonardo.
Mi rifaccio alla prima lettura dagli Atti degli Apostoli. Il racconto è costruito da Luca con molta cura, per comprenderne il significato possiamo dividerlo in 3 momenti.
Il contesto: la festa ebraica della Pentecoste. Si trattava originariamente di una festa agricola, della raccolta dell’orzo; col tempo era diventata una festa che ricordava l’alleanza con Dio e il dono della legge fatta sul Sinai al popolo d’Israele. Per Luca il giorno della Pentecoste cristiana diventa così occasione del dono del Padre offerto al nuovo popolo d’Israele attraverso lo Spirito: la Chiesa.
Due sono gli atteggiamenti che caratterizzano il gruppo riunito con Maria: l’unione fraterna e la preghiera.
Il fatto: il dono dello Spirito è presentato attraverso una serie di immagini simboliche, richiamano le manifestazioni di Dio sul monte Sinai e significano che Dio sta per donare, non più la legge, ma lo Spirito a tutti.
L’immagine del fuoco che si divide in “lingue” indica la voce di Dio che è comprensibile a tutti i popoli: la Parola di Dio è Gesù e Gesù appartiene a tutti i popoli – nessuno ne possiede l’esclusiva – e l’annuncio di Gesù può essere accolto da ogni cultura.
Gli effetti del dono dello Spirito: “cominciarono a parlare in altre lingue”, non si tratta del fenomeno della “glossolalia” ossia parlare lingue strane ma della capacità di trasmettere le proprie convinzioni di fede anche a coloro che parlavano lingue diverse. L’elenco dei popoli vuole indicare l’universalità del fatto: da Gerusalemme il Vangelo è offerto a tutte le genti.
La reazione delle persone presenti è caratterizzata da due atteggiamenti: stupore e interrogazione. Quale significato? Per poter accogliere il Vangelo di Gesù occorre stupirsi della sua bellezza e chiedersi cosa vuol dire a ciascuno di noi.

Torniamo al Cenacolo e osserviamo la posizione di Giuda. Già settimana scorsa avevamo accennato, presentando ogni apostolo, alla sfacciataggine di Giuda: è presente, tenendo tra le mani il frutto ricavato dal suo baratto, 30 monete per Gesù.
Generalmente i pittori lo collocano ad una delle estremità, a destra oppure a sinistra, oppure al di là del tavolo; la cosa lo rende subito riconoscibile.
Genialità di Leonardo: Giuda è il secondo a destra di Gesù dunque a lui vicino.
Facciamo due considerazioni: Gesù ha invitato i suoi apostoli alla comunione, li ha invitati tutti, nessuno escluso. Compreso Giuda. È anche lui uno dei convitati come gli altri, non è lì perché c’era un posto vuoto, tanto per riempire un posto e… non si sapeva chi invitare. Per Gesù anche Giuda vale come gli altri.
Applichiamolo a noi: tutti vanno invitati e non solo alcuni. Festeggi il compleanno? Scrivi sulla lavagna l’invito, non far girare i biglietti. Si va a cena? Si mette fuori il cartello. Vai a…, fai attenzione che la telefonata sia giunta a tutti, nessuno escluso. C’è la comunione di mio figlio: invito anche mio fratello col quale da un po’ di tempo si fatica a dialogare. La vivo come occasione di comunione. Lo stesso vale per il matrimonio: sia una opportunità per ricucire alcuni strappi e superare i rapporti formali. È un’occasione, io lo invito; starà a lui decidere se partecipare oppure no. Non lo devo escludere a priori.
Dalla parte di Giuda, ossia di colui che è stato invitato. “Cosa vado a fare se… sarebbe ipocrisia, dunque sto a casa.”. E così non si fa niente per superare le difficoltà. Io vengo alla tua festa col desiderio di ristabilire o costruire un rapporto sereno con te, anche se, oggi... mi trovo un po’ imbarazzato. Vengo, contento, disponibile al dialogo, non sulle spine, sbuffando perché non si vede l’ora che finisca, dando evidenti segni di insofferenza.
Qualcuno applica questo criterio anche alla Messa: se non mi sento accolto o inserito, se non c’è comunità che senso ha andare a Messa oppure partecipare alla vita della comunità parrocchiale?
È l’Eucaristia che fonda e crea una comunità, che mi richiama ai miei doveri nei confronti della comunità; non è la comunità che da senso all’Eucaristia. La chiesa celebra l’Eucaristia ma il valore dipende da Gesù e non dalla nostra bontà o dalla nostra stima e amicizia reciproca.
Qual è stato l’errore di Giuda? Di aver partecipato all’ultima cena o, meglio, alla prima comunione in questo modo, con questo stile!
Confrontiamo Giuda e l’apostolo Filippo: il corpo che ha la testa più elevata, quella di Filippo, e quella più vicina al tavolo quella di Giuda.
Filippo, un giorno, chiese a Gesù che gli rivelasse il volto di Dio Padre, aveva intuito la vicinanza di Gesù a Dio Padre e desiderava questa rivelazione da Gesù. Gesù è al centro, vero Dio e vero Uomo.
Tiriamo idealmente una riga: dagli occhi di Filippo a quelli di Giuda passando per Gesù.
Dove sta la differenza tra i due? Per Filippo Gesù è vero Dio e vero uomo, per Giuda è solo un maestro, anche nell’orto nel momento del tradimento lo chiamerà così.

 

26 maggio, Santissima Trinità

Una riflessione, innanzitutto, sulla festa liturgica di oggi, tipicamente cristiana.
Oggi è diffusa una riduzione del cristianesimo a religione civile oppure a ricerca di una vaga dimensione spirituale oppure a semplice prassi solidaristica: tutto ciò sembra porre in secondo piano un serio discorso di fede su Dio perché – si sostiene – “ciò che conta è credere in Dio che è unico per tutti“.
Così vari cristiani ritengono di trovare un punto di incontro con le altre religioni in una sorta di teismo, ossia di fede in un assoluto divino, indefinibile, una pura essenza, unico per tutti, ma diverso a seconda dei punti di vista di tutti.
Questo modo di ragionare comporta la perdita dell’identità cristiana: dunque la logica esige che arrivando a questo modo di intendere si concluda di non essere più cristiani, religiosi sì, ma non cristiani.
L’identità cristiana, ossia il nostro essere cristiani, ci viene data nel battesimo: veniamo battezzati nel “nome” del Padre. Del Figlio e dello Spirito.
Nel “nome” e non nei nomi; ogni cristiano confessa un solo Dio e non una specie di triteismo, ossia la credenza in tre dei; un solo Dio che, nella storia e nella vicenda pasquale di Gesù di Nazareth, in Cristo si rivela l’unico e vero trascendente Dio quale Padre che è amore traboccante, che ha inviato il Figlio per la salvezza del mondo.
Il triduo pasquale rivela la profondissima unità tra il Padre e il Figlio e il loro legame che è lo Spirito.
Il brano di Vangelo ci introduce al significato dell’autentico discorso cristiano su Dio. Dopo aver parlato con Nicodemo della “nuova nascita”, Gesù proclama il mistero dell’amore di Dio che si rivela nel dono del Figlio.
Per comprendere l’amore di Dio non dobbiamo partire da noi stessi ma dalla vita di Gesù culminata nella croce e nella sua Pasqua. Gesù, inchiodato sulla croce, testimonia che Dio è colui che ama appassionatamente l’umanità estraniata e lontana da Lui.
In altre parole, la croce di Gesù rivela un Dio non potente, cosa che noi percepiremmo come lontano e indifferente alla nostra sorte se non addirittura come avversario geloso della nostra libertà, bensì manifesta un Dio debole nel suo amore appassionato per l’umanità. “Dio ha tanto amato il mondo…” Dio non è mosso da qualche indebito interesse né da un segreto tornaconto ma solo da un amore che trova maturazione in sé stesso, nell’infinita generosità del suo cuore.
Il mondo nella Bibbia è la nostra umanità con i suoi pesi, le sue colpe e speranze, desideri di redenzione e fallimenti quotidiani, ma ciò che è ancora più sconvolgente è il modo con cui Dio manifesta il suo attaccamento all’umanità “da dare il suo Figlio unigenito”.
Si allude alla vicenda di Abramo col figlio Isacco: quanto deve essere grande il cuore di Dio che dona il Figlio.
Questo è il paradosso della nostra fede, è solo della nostra fede; in altre religioni, rispettabilissime, non lo conoscono e dunque non parliamo dello stesso Dio, il paradosso: Dio ci ha amato a tal punto da darci il proprio Figlio pur sapendo che noi lo avremmo rifiutato e… crocefisso.

Ed ora concludiamo la presentazione del Cenacolo di Leonardo.
Consideriamo le mani di Gesù. La mano è il simbolo di identità personale: da qui la radice della chiromanzia che si fonda sull’idea che dalle linee della mano si possa discernere il futuro e la personalità del proprietario.
La mano destra è rivolta verso il basso; una gestualità analoga a quella sinistra di Giuda: due mani stanno per incontrarsi, l’una nel gesto di porgere, l’altra in quello di afferrare un boccone.
La mano aperta posata su qualcosa è un antico gesto di dominio: Gesù e Giuda sono ambedue coscienti di quanto sta per accadere, sono padroni di loro stessi e sanno che ormai tutto è già stato deciso.
Notate, le ossa nel piatto di Gesù e di Giuda: sia la cena sia il tradimento sono consumati.
La mano sinistra: il palmo è rivolto all’insù, un gesto sacrificale che allude all’istituzione dell’Eucaristia.
È una mano tesa nell’atto di donare e di accogliere, è una mano aperta, come se cercasse qualcuno che la afferri liberamente.
L’Eucaristia è un dono che si può accettare oppure rifiutare facendo finta di niente.
Vi faccio pure notare le mani dell’apostolo Giovanni: sono giunte e stanno tra quelle di Giuda e di Gesù.
Nel mondo indiano le mani giunte indicano il ringraziamento, nel mondo cristiano sono il simbolo della preghiera.
Il meno disorientato degli apostoli alle parole di Gesù “Chi mette con me la mano nel piatto è il traditore”, colui che assume un atteggiamento di riflessione, anche se sorpreso pure lui da questo annuncio di Gesù, è il più piccolo, Giovanni, colui per il quale Gesù nutriva una predilezione; lui, il solo apostolo presente sul Calvario al momento della morte di Gesù. Mentre tutti gli altri si preoccupavano di discolparsi o cercavano di scoprire il traditore, Giovanni ringraziava Gesù per il dono dell’Eucaristia e pregava: per Gesù, per sé e… per il traditore.

Messaggio finale del Cenacolo di Leonardo: a fronte del gesto che esprime la massima donazione di Dio all’umanità, sta il tradimento di Giuda, lo smarrimento e l’incomprensione degli apostoli i quali incarnano le varie tipologie del credente in Dio: ciascuno di noi ha il proprio rapporto con Dio, un rapporto personale.

Da ultimo un augurio e un impegno.

L’augurio: forse tra qualche anno la comunione sarà per noi un semplice ricordo perché a Messa parteciperete solo a Natale oppure in occasione di un funerale o matrimonio. Quando incontrerete qualche difficoltà, quando vi ritroverete soli, quando non avrete più fiducia nemmeno in voi stessi… ricordatevi della mano aperta di Gesù per noi.

L’impegno: aiutare chi si troverà in queste situazioni ad afferrare la mano di Gesù. Questo è il compito della Chiesa: ricordare che quella mano è aperta e far incontrare la mano delle persone con quella di Gesù.