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Nitrati nelle acque



Scheda di approfondimento

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NITRATI NELLE ACQUE

Scheda di approfondimento


La presenza di nitrati nelle acque è misurata sulla base della concentrazione dello ione nitrico NO3-, che rappresenta il termine ultimo del ciclo di ossidazione dell’azoto.
Questo ciclo, che si sviluppa, ad opera di microrganismi e piante, nel suolo a contatto con l’atmosfera, comporta processi di nitrificazione (da azoto ammoniacale NH4+ ad azoto nitrico) e di denitrificazione (da azoto nitrico NO3- ad azoto elementare N2).

In condizioni naturali nelle acque sotterranee, in ambiente non più in contatto diretto con l’atmosfera, l’azoto, principalmente sotto la forma di azoto nitrico (NO3-) in quanto dotato di maggiore solubilità e mobilità, è presente in concentrazioni inferiori al milligrammo per litro d’acqua.

Purtroppo il ciclo naturale dell’azoto, da sempre essenziale per la vita sul pianeta, è stato modificato in questi ultimi decenni dall’intervento dell’uomo.

Nelle acque sotterranee del Nord Milanese, nel Secondo Acquifero, che ancora oggi alimenta la maggioranza dei pozzi d’acquedotto, la concentrazione in nitrati si pone, salvo rare eccezioni, fra i 30 ed oltre i 50 mg/l NO3-, segno evidente di contaminazione antropica.

I nitrati, per la parte eccedente la quantità naturalmente presente nelle acque sotterranee, sono il prodotto di processi di autodepurazione (ossidazione) delle sostanze organiche (liquami zootecnici e scarichi fognari) rilasciate sul sottosuolo o nel sottosuolo, oppure conseguono a pratiche agricole che abusano di fertilizzanti azotati.

In minor misura, ma ormai in quantitativi non più trascurabili, i nitrati hanno origine dall’impiego di combustibili fossili (benzina, oli combustibili...) e raggiungono il suolo direttamente dall’atmosfera.

Le acque di pioggia, nella pianura nord milanese, mostrano presenza di azoto, espresso sotto forma di NO3-, in concentrazioni nell’ordine dei 10 mg/l;
a questo occorre aggiungere l’apporto in azoto proveniente dalle precipitazioni secche (Guzzi, 2003). (leggi di più >>>)

La percolazione verso gli strati profondi del terreno delle acque di infiltrazione trascina i nitrati, facilmente solubili, nelle falde idriche.

Per la presenza e variabilità nel tempo della concentrazione di azoto negli acquiferi della Pianura Nord Milanese vedi Guzzi, 2000

I nitrati non comportano rischi epidemiologici. Tuttavia il loro rapido aumento di concentrazione, nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, ha indotto a considerare con maggiore attenzione le possibili conseguenze per l’organismo umano.
Fin dal 1971 l’OMS indicava, per le acque destinate all’uso umano, una “concentration approximative recommandée” di meno di 50 mg/l in NO3- e segnalava il pericolo di metaemoglobinemia infantile in caso di utilizzo di acqua con elevato contenuto in nitrati per l’alimentazione dei lattanti.
Il DPR 236 del maggio 1988, recependo una Direttiva CEE, stabiliva in 50 mg/l di NO3- la concentrazione massima ammissibile (CMA) ed abbassava a 5 mg/l la concentrazione massima raccomandata (o Valore Guida – VG).
Si faceva strada in effetti, fra le autorità preposte alla salvaguardia della salute pubblica, la convinzione che, in assenza dei tempi lunghi necessari per la conferma di indagini in corso, i nitrati, oltre che pericolosi perché in grado di indurre la “metaemoglobinemia” nei lattanti, potessero concorrere, nell’organismo umano in genere (ove vengono trasformati in nitriti e successivamente in nitrosammine), all’insorgenza di tumori dell’apparato digerente.

Del resto i nitrati, quando presenti nelle acque sotterranee con valori superiori all’unità di mg/l, sono indice di contaminazione antropica e rappresentano un indizio di possibile presenza di altre sostanze indesiderabili o tossiche, seppure in concentrazioni inferiori ai limiti consentiti (e di cui non è necessario indicare la presenza neppure sulle etichette delle bottiglie dell’acqua minerale in commercio).

Umberto Guzzi (*), luglio 2019
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(*) Geologo, ha lavorato nel campo della idrogeologia e geotermia.
Nel 1976 ha partecipato al “Piano delle Acque dell’Emilia-Romagna”,
primo esempio in Italia di modellizzazione in scala regionale
di un sistema acquifero in depositi alluvionali.