L'Eclettico



Danza, una musica che si vede



MiTo SettembreMusica 2018

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

DANZA, UNA MUSICA CHE SI VEDE

MiTo SettembreMusica 2018


Musica per i miei occhi, titolo ed intento programmatico di una nostra personale iniziativa culturale e musicale dello scorso anno, è concetto che ci è piaciuto ritrovare nella presentazione dell'edizione 2018 di MiTo SettembreMusica dedicata alla danza: "una musica che si vede", così è definita l'arte coreutica dal direttore artistico del festival.

Non solo orecchio, dunque, ma anche l'occhio ha la sua importanza, fin dal momento in cui è già un piacere studiare, fra programmi, sedi e musicisti, le proposte più vicine alla nostra sensibilità per scegliere a quale (o quali) accordare la nostra preferenza fra le numerose in cartellone.

Per i lettori confidenti nel nostro gusto, abbiamo proposto quindi in questa pagina una personale selezione nell'ambito della quale abbiamo evidenziati gli appuntamenti che in particolare raccomandavamo, corredati da ampi stralci delle ottime note di sala che fanno di questo elenco di concerti un piccolo compendio di storia della musica interessante da leggere anche a festival terminato.

Infine, augurandoci che chi ha seguito le nostre indicazioni si sia divertito (come è stato per noi), pubblichiamo

IL REBUS DEL BIS - soluzioni
Accomunati a tanti spettatori, non musicalmente competenti a sufficienza da essere in grado di riconoscere all'ascolto i bis non annunciati (o comprendere esattamente quelli che lo sono stati), abbiamo fatto il possibile per indagare e soddisfare la nostra personale curiosità e qui condividiamo con i lettori interessati quanto siamo riusciti a scoprire (in più occasioni grazie alla preziosa collaborazione di Mario Mainino).

4/9 Teatro alla Scala: Sergej Krylov > Paganini, Capriccio n. 24 / Royal Philarmonic Orchestra > Bernstein, Ouverture da Candide
5/9 Piccolo Grassi: Gringolts/Laul > Stravinsky, Danse Russe (primo movimento da Petrushka) e Pastorale
6/9 Conservatorio: Ricardo Castro > Robert Schumann, Études Symphoniques Op. 13, n. non identificato / Neojiba Orchestra > Tico Tico no fubà
7/9 Teatro Filodrammatici: Brù > improvvisazioni su una Ciaccona di Johann Heinrich Schmelzer
7/9 Piccolo Grassi: Kronos > House of the rising sun e Blues (non meglio identificato)
8/9 Chiesa Sant'Antonio: Coro Giovanile Italiano > Lucio Battisti, Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...
9/9 Auditorium di Milano: Davide Vendramin > Astor Piazzolla, Los Sueños
10/9 Piccolo Grassi: De Maistre/Tena > Gerónimo Giménez, Intermezzo, n. 4 da la Boda de Luis Alonso e Joaquin Malats, Sérénade espagnole
11/9 Litta: La fonte musica > Guillaume de Machaut, Douce dame jolie
11/9 Sant'Alessandro: Missa Galeazescha > Arvo Part, Da pacem Domine, brano scritto in omaggio alle vittime degli attacchi di Madrid dell'11 marzo 2004 (10 bombe in 4 treni e 192 vittime)
14/9 Chiesa San Vincenzo in Prato: Aart Bergwerff > Simeon ten Holt, Canto Ostinato altre combinazioni
15/9 Teatro alla Scala: Miriam Prandi > Čajkovskij, Var. VIII e Coda. Allegro vivo da Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33 - Peteris Vasks, Dolcissimo da Gramata Cellam (in The Book for cello solo)
16/9 Chiesa di San Marco: Academia Montis Regalis > Antonio Caldara, finale del Gloria dall'Officium Beatissimae Mariae Virginis in secundis Vesperis
16/9 Teatro Arcimboldi: Seong-Jin Cho > Schumann, Il sogno / Filarmonica della Scala > Rossini, Ouverture dal Guglielmo Tell

Giovanni Guzzi, agosto 2018
Fotoservizi di Mario Mainino su www.concertodautunno.it
© Riproduzione riservata

 

Martedì 04 Settembre

Teatro alla Scala ore 21
BALLETTI RUSSI
Royal Philharmonic Orchestra / Marin Alsop, direttore / Julia Fischer causa indisposizione è stata sostituita da
Sergej Krylov, violino
Čajkovskij ha in mente i suoi celebri balletti anche quando scrive per violino e orchestra. Stravinsky destina alla danza il capolavoro con il quale si rivela al mondo. E Victoria Borisova-Ollas si avvicina a Schumann in punta di piedi, sfruttando la tavolozza timbrica del presente. Tre generazioni di compositori russi, qui riuniti per una serata di festa.
Robert Schumann - Träumerei, da Kinderszenen op.15 Orchestrazione di Victoria Borisova-Ollas dall’originale per pianoforte PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
Pëtr Il'ič Čajkovskij - Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35
Igor Stravinsky - L’oiseau de feu
Posti numerati € 25, € 30

Danza, il tema conduttore di MiTo 2018 è ben introdotto dal programma intitolato “Balletti russi” che prevede una selezione di pagine di compositori russi di tre generazioni differenti, nel segno del connubio fra musica e danza.
In apertura l’orchestrazione di Victoria Borisova-Ollas di una breve composizione di Robert Schumann, Träumerei, rispetta la tradizione di MITO di offrire una pagina inedita nella serata inaugurale, anticipando le numerose trascrizioni e le prime esecuzioni assolute e italiane di compositori contemporanei presenti in cartellone. Estratto dalle delicate Kinderszenen op. 15 per pianoforte, scritte nel 1838 “per i piccoli fanciulli da un fanciullo grande”, il brano attinge alla tavolozza timbrica del presente nella rivisitazione della compositrice quarantenne di origine russa.
Segue il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35 di Pëtr Il'ič Čajkovskij, composto nel 1878 alla fine di uno dei periodi più fecondi della creatività del compositore russo: quello che lo vide concludere, non ancora quarantenne e nell’arco di un triennio, il Concerto per pianoforte in si bemolle minore, il balletto Il lago dei cigni, la Quarta Sinfonia e l’opera Evgenij Onegin. A interpretarlo Julia Fischer, che ha conquistato il pubblico con le sue interpretazioni originali del repertorio classico.
Infine il programma propone la versione integrale del balletto L’oiseau de feu, che Igor Stravinskij compose per i Ballets Russes di Sergej Djagilev nel 1910. Primo passo verso la maturità espressiva dell'autore per potenza coloristica e varietà ritmica, la partitura appartiene agli anni in cui il giovane Stravinskij è ancora incline alle seduzioni armoniche del suo maestro Rimskij-Korsakov. L’argomento del balletto, tratto da un’antica fiaba russa, rappresenta il male e il bene, il soprannaturale e l’umano: universi nei quali si incrociano il perfido mago Kašej, il magnifico Uccello di fuoco e il principe Ivan, che porterà in salvo le tredici principesse prigioniere.

 

Piccolo Teatro Grassi / ore 21
MELODIE INATTESE

Ilya Gringolts, violino / Peter Laul, pianoforte
Igor Stravinsky - Suite per violino e pianoforte, da Pulcinella
Ludwig van Beethoven - Sonata in fa maggiore op. 24 “La primavera” e Sonata n. 4 in la minore op. 23
Igor Stravinsky - Prélude et ronde des princesses, Berceuse, Scherzo da L’oiseau de feu
Posto unico numerato € 15

 

Il violinista russo Ilya Gringolts (che suona un Giuseppe Guarneri del Gesù di Cremona - 1742-1743) in duo con il pianista di San Pietroburgo Peter Laul, affianca in programma Beethoven e Stravinsky, disvelandone note meno consuete: piccole, si fa per dire, melodie orecchiabili che ne rivelano una vicinanza inattesa.
Pagine musicali ricche di spunti e legami con la danza le cui melodie sono inattese, da cui il titolo di questo concerto, nella misura in cui gli autori ci hanno abituato. Seppure non al modo di Schubert, Beethoven non ci ha però fatto mancare motivi cantabili. Maestro nel comporre grandi architetture partendo da temi di poche note (come nella Quinta Sinfonia) ha scritto musica capace di restare nella memoria anche con pochissimo materiale di base.
Esemplare è l’attacco (Allegro) della Sonata n. 5 in fa maggiore op. 24 detta “La primavera”.
Il tema iniziale,
leggiadro come ne troviamo in Mozart, prende consistenza, per contrasto, nel rapporto dialettico con il secondo tema, più inquieto e peculiarmente beethoveniano (e marcatamente ritmico). Cosìcché nel momento in cui si ripresenta ha acquisito un nuovo significato, per alcuni liberatorio.
Il breve Adagio che segue, notturno da sonata pianistica, è disteso, una prosecuzione, emotivamente risolta, del discorso precedente in cui emergono bruschi picchi, accenti dello spirito tormentato dell'autore.
Quindi lo Scherzo, rapidissimo, fino al Rondò, pieno di trilli e virtuosismi stimolanti anche per gli esecutori.
Nella Sonata n. 4 in la minore op. 23, complice la tonalità, inizialmente domina un clima più drammatico. L’assenza di un tempo lento fra i tre movimenti, tutti piuttosto veloci, ha forse penalizzato quest'opera nel favore del pubblico.
Il Presto, ecco uno sviluppo fatto di riprese e variazioni, soprattutto nel dialogo serrato, di botta e risposta, tra pianoforte e violino, che, caratteristica fondamentale delle sonate di Beethoven, sono parimenti protagonisti e mai l’uno l’accompagnamento dell’altro. L’Andante scherzoso, che costituirebbe lo Scherzo, è un divertissement salottiero di brevi motivi cinguettati.
Il finale, Allegro molto, riprende l’irrequietezza del primo movimento. In forma di rondò, custodisce nella parte centrale un piccolo corale articolato in vario modo, tra le parti più orecchiabili dell’intero brano.
 
Di Stravinsky qualcuno diceva che “non ha melodia”. Non è vero. Nel suo periodo neoclassico unisce al carattere ritmico distintivo della sua musica, quello melodico. Non è un caso che abbia brillato soprattutto nei balletti, dove il corpo diventa canto e il meccanismo complesso del ritmo sposa lo slancio della melodia. Pulcinella e L’uccello di fuoco sono due esempi di questo connubio.
In Pulcinella (1920), il riferimento è il classicismo italiano, in primis di Pergolesi, così Stravinskij trovò già pronta la melodia usata per il balletto, la suite sinfonica da concerto e infine la riduzione per violino e pianoforte.
 Le melodie dell’Uccello di fuoco (1911) derivano invece prevalentemente dalla tradizione russa. Si nota già però un modo tipico di Stravinskij di trattare i temi, dilatandoli, frammentandoli, contraddicendoli. L’obiettivo è quello di restituire immagini e movimenti (didascalismo che gli obietterà Theodor Adorno) e quindi la melodia viene piegata a questo uso. In Stravinskij, come poi interamente nella musica del ’900, la melodia e il cantabile cominciano a diventare indipendenti. Tra i brani scelti per il concerto, esclusi i momenti più lacerati (gli strappi della Danza infernale, per esempio) vengono proposti i momenti più delicati della Ronda delle principesse, della cullante Berceuse e del virtuosistico Scherzo.
(dalle note di sala di Federico Capitoni).
 
PROGRAMMA

Igor Stravinskij (1882-1971)
Suite italienne per violino e pianoforte
da Pulcinella
Introduzione
Serenata
Tarantella
Gavotta con due variazioni Scherzino
Minuetto e Finale

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata n. 5 in fa maggiore op. 24 “La primavera”
Allegro
Adagio molto espressivo Scherzo. Allegro molto
Rondò. Allegro ma non troppo
 
Sonata n. 4 in la minore op. 23
Presto
Andante scherzoso, più Allegretto
Allegro molto
 
Igor Stravinskij
Da L’uccello di fuoco:
Preludio e Ronda delle Principesse
Berceuse
Scherzo

 

Giovedì 06 Settembre

Conservatorio “G. Verdi” di Milano, Sala Verdi / ore 21
ANIMA E CORPO

Neojiba Orchestra Orchestra Giovanile dello Stato di Bahia / Ricardo Castro, direttore / Martha Argerich, pianoforte (causa infortunio sostituita all'ultimo momento da Ricardo Castro)
Robert Schumann - Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54
Allegro affettuoso – Intermezzo – Allegro vivace
Leonard Bernstein - Ouverture da West Side Story
Wellington Gomes - Sonhos Percutidos PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
George Gershwin - Cuban Overture
Arturo Márquez - Danzon n. 2 per orchestra
Posti numerati € 25, € 30

Apre la serata la pianista porteña, nel Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 di Robert Schumann (1810-1856). Composta nel 1845, resterà l’unica realizzazione di una forma sulla quale il compositore rifletteva da anni, insoddisfatto delle incarnazioni allora più in voga, veicoli per lo sfoggio delle doti virtuosistiche dei pianisti, con l’orchestra relegata al ruolo di accompagnamento. Schumann mirava invece a «qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata», come scriveva nel ’39 alla moglie Clara Wieck. La potenza espressiva della composizione sta forse proprio in questo intrico di intenzioni. Una strappata dell’orchestra, una cascata di accordi del pianoforte, quindi un solo tema, melodia delicata e dolente che solista e orchestra variano con sottile ricchezza di invenzione, trasformandola a più riprese, con sempre nuovi colori. Il secondo movimento, Intermezzo, è un’isola di tranquillità, aperta da un tema aggraziato, che trasporta in un’imprevista sfera di innocenza, distante dalla veemenza del primo movimento e dalla velocità dell’ultimo, Allegro vivace, un’effervescenza di invenzione, con una nuova idea dietro l’altra a contornare un tema principale di vorticosa energia danzante.
 
La seconda parte del programma vede i ragazzi dell’Orchestra librarsi sui ritmi travolgenti dell’Ouverture da West Side Story di Leonard Bernstein (1918-1990), partitura che esplode di energia ritmica e danzante. L’Ouverture apre il musical con il classico formato pot-pourri, in cui si avvicendano temi, ritmi e colori che verranno poi, anticipando e sintetizzando la vicenda.
 
Quindi una prima esecuzione in Italia, Sonhos Percutidos di Wellington Gomes (1960), cinquantottenne bahiano, violista, compositore, direttore d’orchestra e didatta. Il brano (2006) ha come principale fonte di ispirazione la musica afro-brasiliana nonché il suono caratteristico dei gruppi di percussioni tradizionali dello stato di Bahia. Immerso e rimescolato a un sinfonismo abile e libero, esso connota un cocktail inventivo e divertente, quasi la colonna sonora di un film immaginario e, carico di dirompente energia ritmica, induce a partecipare al tripudio delle percussioni.
 
Nel finale Cuban Overture di George Gershwin (1898-1937), frutto del periodo trascorso dal compositore sull’isola, nel febbraio del 1932. Una mattina, Gershwin fu invitato a seguire dallo studio radiofonico l’esibizione di Ignacio Piñeiro, uno dei più talentuosi “rumberi” di Cuba, col suo Sestetto che mescolava percussioni, voci e strumenti a corda. Nasce lì l’Ouverture da concerto, composta velocemente in quella stessa estate. Rumba (solo più tardi l’autore la ribattezzerà Cuban Overture), debuttò a New York nell’agosto del 1932, con bonghi, claves, güiro e maracas che Gershwin aveva riportato con sé dall’isola. Lungi dall’essere mero esotismo, questo brano si inserisce nella ricerca da parte di Gershwin di un radicamento nella tradizione sinfonica entro la quale innestare nuovi semi che qui, nel corso delle tre sezioni in cui l’Ouverture si articola, germogliano nella complessa stratificazione di temi e ritmi.
 
Chiude Danzón n. 2 di Arturo Márquez (1950). Il compositore messicano mutua sempre da Cuba quello che fu il genere di ballo cubano per antonomasia per circa un secolo dalla metà dell’Ottocento: il danzón, una sorta di cugino del tango, con cui condivide il carattere nostalgico e la sensualità. Negli Stati Uniti diventa brano da concerto grazie ad Aaron Copland (1942), e si insedia in Messico, dove si fa più brillante in ensemble più ricchi di ottoni. Márquez, un po’ come Heitor Villa-Lobos col choro brasiliano, ha fatto del danzón una vera e propria forma da concerto, scrivendone diversi per diversi organici, fra cui questo n. 2 per orchestra sinfonica, nato su commissione dell’Università di Città del Messico; accolto con entusiasmo al suo debutto, nel 1994, da allora è spesso presente in concerto, per finire persino in una serie televisiva, Mozart in the Jungle.
(dalle note di sala di Gaia Varon).

 

Venerdì 07 Settembre

Teatro Filodrammatici / ore 17
FOLK-BAROCCO

Brú: Anna Besson, flauto traversiere / Davide Monti, violino barocco / Krishna Nagaraja, viola barocca / Marco Testori, violoncello barocco / Michele Pasotti, tiorba
INVITO ALLA DANZA Jean-Féry Rebel, Les Caractères de la Danse
IRLANDA E SCOZIA Francesco Saverio Geminiani, Sonata II “Bush aboon Traquair” / Francesco Maria Veracini, Scozzese / tradizionale scozzese, The Good Fellows set PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA / tradizionale irlandese, The Rock of Cashel set PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
POLONIA E PAESI NORDICI George Philipp Telemann, Trio Sonata TWV 42:A8 “Polonese”, Concerto TWV 43:G7 “Polonois” / tradizionale finlandese, The Lappfjärd set PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA / tradizionale svedese, Polska after Somebody in Värmland PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
Posto unico numerato € 5

Questo  vivacissimo e creativo gruppo strumentale è nato su impulso dell’eclettico italo-indiano Krishna Nagaraja come un organico flessibile composto da musicisti attivi sulla scena europea di musica barocca. Il programma che propone a Milano indaga le origini e le suggestioni di componimenti e danze scritti da compositori di Sei e Settecento, mettendoli a confronto con le loro matrici popolari, radicate in brani di musica tradizionale di stampo nordico, tra Irlanda, Scozia, Svezia e Finlandia. Con arrangiamenti in stile folk-barocco. Un percorso musicale folkloristico che ritorna alle origini. Nell’Europa del XVI-XVII secolo, poteva persino essere difficile distinguere il mondo tradizionale da quello popolare, perché inizialmente da questo terreno comune si svilupparono indipendentemente i due generi. La matrice popolare di fondo si rispecchia nell’etichetta di Folk-Baroque: un’impronta di linguaggio che rivive dal ripescaggio di formule, idiomi ritmici, moduli melodico-armonici in gran parte sull’area irlandese, svedese, finnica (quest’ultima, la stessa dove Krishna Nagaraja si era trasferito); in più con uno sguardo attento anche alla Polonia e all’avamposto più profondo dell’Europa dell’est.
Il programma muove da Les Caractères de la Danse, composta da Jean-Féry Rebel nel 1715, suite opulenta raccoglie che una quindicina di danze sei-settecentesche. Per poi iniziare gli accostamenti veri e propri.
Va ricordato infatti che nel Settecento i vari Telemann, Vivaldi e Geminiani dovevano conoscere molto bene il retroterra musicale del popolo, così come ovviamente accadrà due secoli più tardi a Bartók, Hindemith e più di recente a Ligeti. Per questo gli equilibri sono sempre molto delicati, perennemente in bilico fra nuovo e antico, intenzione e tradizione.
Ecco allora brani tradizionali scozzesi e irlandesi, in arrangiamento, accostati alla “vera” Scozzese di Veracini. O, spostandosi nell’aria baltica, tra Polonia e Paesi nordici, ecco il richiamo a Telemann con il suo Concerto TWV 43:G7 “Polonois” che ci fa rivivere perfettamente la stessa atmosfera popolare in voga in quelle regioni, ma filtrata da uno stile più galante, raffinato e colto. Per indugiare infine nel retroterra folk della musica antica svedese, quando la Finlandia era ancora un feudo culturale della Svezia: prima con The Lappfjärd set, poi con una Polska efter Gubben  Kihlstedt (Polska after Somebody in Värmland), polska davvero particolare, con punte di hard rock. Entrambi in prima esecuzione assoluta.
(dalle note di sala di Luigi di Fronzo.

INVITO ALLA DANZA
Jean-Féry Rebel (1666-1747)
Les Caractères de la Danse (1715)
Prélude – Courante – Menuet – Bourrée – Chaconne – SarabandeGigue – Rigaudon – Passepied –Gavotte – Sonate – Loure – Musette  Sonate
 
IRLANDA E SCOZIA
tradizionale scozzese (arr. Brù)
The Good Fellows set
There are few good fellows when Jamie’s awa’
[Tradizionale Scozzese, James Oswald, The Caledonian Pocket Companion (ca. 1745-60)]
Hornpipe: [Tradizionale Irlandese “Barbara  Allen”]
Jig: Rolling in the mud [Krishna Nagaraja]
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
Tradizionale (arr. AnnaBesson, Michele Pasotti)
Irish  and  Scottish  tunes
My Nanny O [Tradizionale  Scozzese (James  Oswald, The Caledonian  Pocket Companion (ca.  1745-60)]
Donald  na Grena [Tradizionale Irlandese (O’Farrels, Pocket Companion for  the Union  Pipes (1806)]
Jackson’s Coge in the morning [Tradizionale  Irlandese, ibid.]
 
Francesco Maria Veracini (1690-1768)
Scozzese (dalla Sonata op. 2 n. 9, 1744)
 
Tradizionale irlandese (arr. Krishna Nagaraja)
The Rock of Cashel set
Port na bPúcaí
The Rock of Cashel (Krishna Nagaraja)
Reel: Scotch Mary
Reel: A fair wind
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
POLONIA E PAESI NORDICI
George Philipp Telemann (1681-1767)
Concerto  TWV  43:G7  “Polonois”
Dolce – Allegro – Largo (Polonaise) – Allegro
 
tradizionale finlandese (arr. Krishna  Nagaraja)
The Lappfjärd set
Minuetto I – Minuetto II – Polska
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA

tradizionale svedese (arr. Krishna  Nagaraja)
Polska after Somebody in Värmland
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA

 

Piccolo Teatro Grassi / ore 21
KRONOS

Kronos Quartet: David Harrington, John Sherba, violini / Hank Dutt, viola / Sunny Yang, violoncello
Islam Chipsy Zaghlala / Dan Becker Carrying the Past / Fodé Lassana Diabaté Sunjata’s Time: 5. Bara kala ta / Laurie Anderson Flow / Michael Gordon Clouded Yellow / Konono N°1 Kule Kule / Abel Meeropol Strange Fruit / Terry Riley One Earth, One People, One Love / Omar Souleyman La Sidounak Sayyada / Pete Townshend Baba O’Riley / George Gershwin Summertime arrangiamento di Jacob Garchik / Steve Reich Different Trains
Posto unico numerato € 15

Capita - di rado - che artisti, musicisti, da soli o in gruppo, riscrivano con la loro genialità il modo di interpretare un brano o un genere, e che arrivino persino a ridefinire la storia del loro stesso strumento. Il Kronos Quartet di San Francisco è uno di questi. In 45 anni di vita ha profondamente ridisegnato il suono stesso di questa formazione, mutandone, apripista di esperienze successive, la natura stessa.
In esclusiva italiana al pubblico di MITO Settembremusica offrirà l’esperienza unica di quella musicalità e di quella duttilità espressiva che lo contraddistiguono, nate anni fa dall’uso delle nuove tecniche d’amplificazione per gli strumenti acustici, dall’interazione con i suoni preregistrati e dall’esplorazione di territori musicali inesplorati. Le loro inconfondibili caratteristiche segnano anche una continuità tra gli esordi, vissuti in stretta collaborazione con la prima generazione dei minimalisti americani, e l’attualità di quest’infaticabile gruppo, che affida a uno staff appositamente creato – la Kronos Performing Arts Association – la ricerca e l’arrangiamento del suo repertorio.
 
Tra i molti brani in programma quattro prime esecuzioni italiane.
La prima, in apertura, è Zaghlala di Islam Chipsy (1985), figura di spicco della Electro Shaabi, o più propriamente Mahraganat, la parola araba per Festival, una musica che, in Egitto, è fenomeno sociale, colonna sonora dei movimenti che nel 2011 hanno rovesciato il presidente Hosni Mubarak, basata su un singolare mix fra la musica tradizionale egiziana (Shaabi), l’hip hop americano, il software per la manipolazione elettronica degli strumenti e della voce e l’uso di materiale scaricato dalla rete. La musica di Islam Chipsy (nome d’arte per Islam Said) si spinge, però, al di là dei confini dell’Electro Shaabi e dell’Egitto, segnata da molte collaborazioni con musicisti e istituzioni d’Europa e d’America. Fra queste anche quella con il Kronos Quartet, che nel 2017 gli ha commissionato Zaghlala af fidando l’arrangiamento a Jacob Garchik.
Altra prima esecuzione italiana è Carrying the Past di Dan Becker (1960), uno degli autori più in vista della corrente post-minimalista. «Ho provato a scrivere per il Kronos Quartet un lavoro che rispecchiasse la relazione fra la mia sensibilità e quella musica spiritosa, innocente e dolce che avevo riscoperto attraverso le registrazioni di mio nonno [Eddie Sandsons, trombettista]», ha scritto Becker. «Purtroppo, mentre componevo Carrying the Past mio padre è morto. Credo che questo intreccio di riferimenti sia perfetto per un brano che, pur conservando l’ottimismo e l’esuberanza ispirata dalla musica di mio nonno, mi sembra ora guardare al passato con un grado maggiore di maturità e di comprensione».
Dall’Egitto al Mali, con Sunjata’s Time: 5. Bara kala ta del griots (poeti e musici giorovaghi) Fodé Lassana Diabaté (1971), sempre in prima esecuzione italiana. Coerente con le sue intenzioni, quelle di riproporre la musica e lo stile della tradizione del popolo Mandé, antica etnia diffusa nell’Africa Occidentale sub sahariana, Sunjata’s Time, è dedicata a Sunjata Keita, una delle figure leggendarie del passato africano, il principe guerriero che fondò l’Impero del Mali nell’anno 1235. Si articola in 5 parti, ognuna delle quali è dedicata a un momento di rilievo nella vita del principe.
Quarta prima esecuzione italiana sarà la versione di Summertime di George Gershwin (1898-1937) arrangiata da Jacob Garchik, compositore, polistrumentista, autore di musica per film, che dal 2006 collabora con il Kronos Quartet e ha adattato per loro più di cento brani.
In programma anche Flow Flow di Laurie Anderson (1947), il brano per violino ed elaborazione elettronica che chiude l’album Homeland (2010). Meditativo, malinconico e basato su sonorità volutamente opache, poco risonanti, nella versione di Garchik diventa più classico, con maggior risalto dato alla linea melodica e alla trasparenza delle armonie.
Clouded Yellow di Michael Gordon (1956), tra i fondatori del collettivo di compositori Bang on a Can, collaboratore di lunga data del Kronos Quartet, è del 2010. Arioso, brillante, volteggiante come la farfalla da cui prende il nome: la Colias crocea (Clouded Yellow). Nelle parole di Gordon stesso, è un’osservazione naturalistica, «un diario di viaggio intorno a un giardino».
Kule Kule del gruppo Konono No 1, fondato a Kinshasa nel 1966 e un punto riferimento nella sperimentazione di un nuovo rapporto tra la musica tradizionale e i mezzi moderni di trattamento elettronico del suono, in un mix speciale di tradizione, tecnologia alta e tecnologia artigianale. Kule Kule è il brano di apertura del loro primo disco, Congotronics (2004) L’arrangiamento di Jherek Bischoff per il Kronos Quartet si avvale di suoni preregistrati in un tentativo di ripensare la scrittura del quartetto d’archi attraverso l’immersione in un territorio sonoro totalmente altro.
Strange Fruit di Abel Meeropol (1903-1986) è una canzone di denuncia antirazzista che Billie Holiday ha cantato per la prima volta nel 1939. «Gli alberi del sud danno uno strano frutto», dice il testo, «sangue sulle foglie, sangue sulle radici, un corpo nero che dondola nel vento del sud, uno strano frutto appeso agli alberi di pioppo». L’autore del testo, Abel Meeropol, comunista, insegnante ebreo-russo che viveva nel Bronx, l’aveva scritta dopo aver visto una fotografia di due cittadini afro americani linciati nell’Indiana. La musica venne composta più tardi da Earl Robinson e divenne immediatamente una bandiera della lotta per i diritti civili.
Di Terry Riley (1935), One Earth, One People, One Love (da Sun Rings Sun Rings) è una composizione in 10 movimenti che Terry Riley ha scritto associando al quartetto d’archi suoni generati dai ricevitori con i quali si individuano e si misurano le interazioni fra particelle di onda nel plasma spaziale, fenomeni invisibili come il vento solare o le onde gravitazionali. Fra i materiali registrati c’è anche la voce della poetessa afro americana Alice Walker che, nei giorni che seguirono l’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, Riley ascoltò alla radio mentre ripeteva versi scritti per l’occasione, quasi un mantra fatto di tre sole espressioni: One earth. One people. One love. Non è esattamente, chiede Riley, il pensiero che facciamo quando guardiamo l’immagine della Terra vista dallo spazio? Non scopriamo che è una, la stessa per tutti, che l’umanità intera è un unico popolo e che l’amore è lo stesso a ogni latitudine?
Del cantante siriano Omar Souleyman (1966), punto di riferimento mondiale della dabka, una danza popolare diffusa in gran parte del Medio Oriente, ma aggiornata attraverso i suoni della musica pop e l’apporto molto consistente dell’elettronica, in programma La Sidounak Sayyada (I’ll Prevent the Hunters from Hunting You). Un brano che trasuda la sua energia, la sua comunicativa, la sua autenticità, oltre i confini culturali e di pubblico. I suoi cd vengono ascoltati nelle strade e nei mercati in Siria, in Giordania, in Palestina, ma sono anche molto amati in Occidente per la loro potente carica innovativa. La Sidounak Sayyada, brano che il Kronos Quartet esegue in un arrangiamento di Jacob Garchik, è una danza molto animata che Souleyman cantava già nei matrimoni, ai suoi esordi, e che ha inserito nel 2009 all’interno dell’album Dabka 2020.
In programma anche una trascrizione di un successo degli Who, tra i primi gruppi di musica rock a misurarsi con l’idea di uno spettacolo d’arte totale: Baba O’Riley, di Pete Townshend (1945), chitarrista e leader degli Who, oltre che autore di quasi tutte le loro canzoni. Baba O’Riley era destinata a un’opera rock, Lifehoue. Il progetto non venne portato a termine e venne inserita nell’album Who’s Next, nel 1971. Due le fonti di ispirazione: una filosofica e spirituale, che risale all’insegnamento del maestro indiano Meher Baba; l’altra musicale, che si rifà alla comparsa del Minimalismo americano nei primi anni Sessanta e alla scoperta della musica ripetitiva.
Infine di Steve Reich (1976) Different Trains. Per il primo movimento (America – Before the War) le voci registrate sono quelle della governante che l’accompagnava da bambino e dell’allora autista di pullman sulla linea New Yok - Los Angeles. Per il secondo movimento (Europe – During the War) la memoria dell’Olocausto e dei viaggi in treno verso i campi di concentramento è affidata alle voci di 3 sopravvissuti. Nel terzo movimento (After the War) tutte le voci si uniscono per raccontare la vita dell’immediato dopoguerra. I suoni dei treni vengono da registrazioni d’epoca.
(dalle note di sala di Stefano Catucci).
 
PROGRAMMA
Islam Chipsy (1985)
Zaghlala
arrangiamento di Jacob Garchik
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Dan Becker (1960)
Carrying the Past *
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Fodé Lassana Diabaté (1971)
Sunjata’s Time: 5. Bara kala ta *
arrangiamento di Jacob Garchik
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Laurie Anderson (1947)
Flow +
arrangiamento di Jacob Garchik
 
Michael Gordon (1956)
Clouded Yellow *
 
Konono N°1
Kule Kule +
arrangiamento di Jherek Bischoff
 
Abel Meeropol (1903-1986)
Strange Fruit +
arrangiamento di Jacob Garchik
 
Terry Riley (1935)
One Earth, One People, One Love da Sun Rings*
 
Intervallo
 
Omar Souleyman (1966)
La Sidounak Sayyada +
arrangiamento di Jacob Garchik
 
Pete Townshend (1945)
Baba O’Riley +
arrangiamento di Jacob Garchik
 
George Gershwin (1898-1937)
Summertime +
arrangiamento di Jacob Garchik
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Steve Reich (1976)
Different Trains *


* Scritti per Kronos Quartet               + Arrangiati per Kronos Quartet

 

Sabato 08 Settembre 2018_09_08

IL GIORNO DEI CORI
Chiesa di Sant'Antonio Abate / ore 15

Coro Giovanile Italiano Luigi Marzola and Carlo Pavese, direttori
Ingresso gratuito

Scarica da QUI >>> il libretto con le parti per la serata di MiTo Open Singing in Conservatorio

 

Domenica 09 Settembre

Chiesa di San Marco / ore 12
LE INVENZIONI DI ZELENKA

laBarocca Ruben Jais, direttore
Ensemble Vocale laBarocca Gianluca Capuano, direttore
Jan Zelenka - Missa Omnium Sanctorum ZWV 21
celebra don Luigi Garbini
Ingresso gratuito

La Missa Omnium Sanctorum ZWV 21 di Jan Zelenka (1679-1745), autore adombrato da Bach, ma capace di pagine di grande bellezza è proposta nell’edizione critica appena pubblicata: ricca di invenzioni e con un Gloria quasi danzante.

 

Chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia / ore 15
TRA ORATORIO E MASQUE

Coro e Orchestra dell'Accademia del Santo Spirito Robert King, direttore Pietro Mussino, maestro del coro Georg Friederich Händel Esther (su libretto di Alexander Pope e John Arbuthnot da Esther di Jean Racine), masque per soli, coro e orchestra HWV 50a
Coro e Orchestra dell’Accademia del Santo Spirito Robert King, direttore Pietro Mussino, maestro del coro Rahel Maas, soprano Carmela Konrad, soprano David Allsopp, contraltista Andreas Karasiak, tenore Thilo Dahlmann, basso voce Valerio Zanolli, basso voce
Ingresso gratuito

A lungo considerata il primo oratorio inglese, Esther è in realtà un ibrido molto vitale, in cui convivono elementi dell’oratorio, del masque, della cantata pastorale e dell’opera. Domenica, per MITO, sarà presentata nella versione andata in scena nel 1720, prima esecuzione del lavoro.
La storia di Esther narra la liberazione della comunità ebraica di Persia da una sentenza di morte. Haman, il malvagio ministro del Re Ahasuerus, minaccia di annientare gli ebrei persiani. Nella narrazione biblica Haman persuade lo stesso re a condannare gli ebrei, cosa che quest’ultimo decreta senza conoscere l’identità del suo popolo e senza sapere che la sua stessa moglie, Esther, è ebrea. Il decreto, in quanto ordine del re, non può essere revocato: tuttavia, sebbene il re abbia condannato a morte chi si presenta al suo cospetto, eccezion fatta per quanti sono introdotti su suo ordine, Esther spinta dal cugino e custode Mordecai, che precedentemente aveva salvato la vita di Ahasuerus, entra nella sala del trono. Qui invita il re a cena con Haman. Durante la cena essa rivela la sua identità al marito e lo supplica per la salvezza della sua gente. Ahasuerus riconosce la lealtà del popolo ebraico, revoca il decreto, onora Mordecai per avergli salvato la vita e condanna a morte il suo ministro Haman.
 
Il libretto dell’oratorio händeliano ha una storia piuttosto intricata: il drammaturgo francese Jean Racine trae dall’Antico Testamento il testo della sua tragedia Esther, rappresentata per la prima volta nel 1689; il drammaturgo inglese Thomas Brereton traduce l’opera di Racine in lingua inglese con il titolo Esther, or Faith triumphant nel 1715; infine alcuni poeti legati alla stretta cerchia del Duca di Chandos, che si adoperò per avere Händel quale direttore della cappella musicale presso la sua superba dimora a Cannons, redigono il libretto utilizzato da Händel: si tratta di Alexander Pope e soprattutto di John Arbuthnot al quale, secondo alcuni studiosi, è attribuibile gran parte del lavoro.
 
Stando a quanto riferito nel libretto redatto in occasione di un’esecuzione nel 1732, Esther è stata composta per il Duca di Chandos nel 1720. La più antica copia indica che Händel ha composto Esther a Londra nel 1718. Evidentemente fra i vari manoscritti date e luoghi non corrispondono. Molti studi hanno indicato una data più plausibile di un’altra. Altre prova documentano che almeno parte di Esther non possa essere stata scritta nel 1718 e, perciò, che la prima esecuzione ricostruibile sia quella del 1720.
 
Diversamente dagli oratori scritti in Italia, in Esther il coro assume notevole importanza: astratto ma efficace elemento contemplativo, quanto gruppi di personaggi veri e propri (Coro di soldati persiani, Coro degli israeliti). Non a caso Händel attinge a più riprese alla Brockes-Passion che forse più di qualunque altro suo lavoro costituisce un nesso con la Germania e con la tradizione corale tedesca. Peraltro i differenti contesti in cui si collocarono originariamente la Brockes-Passion ed Esther allora non permisero di apprezzarne i significativi e numerosi legami. Non stupisce dunque, come scrive John Butt, che «gli ascoltatori inglesi fortunatamente non si siano accorti che l’ultima aria del malvagio Haman, in cui egli si lamenta del suo destino, originariamente fosse cantata da Gesù».
(dalle note di sala di Andrea Banaudi).

 

Auditorium di Milano Fondazione Cariplo / ore 21
TANGO

Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi Speranza Scappucci, direttore / Fabio Armiliato, tenore / Davide Vendramin, bandoneón
Igor Stravinsky Tango
Carlos Gardel Melodía de arrabal, El día que me quieras, Volver, Mi Buenos Aires querido, Lejana tierra mía, Por una cabeza, trascrizioni per tenore e orchestra di Diego Collatti PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
Mariano Mores El firulete, tango milonga
Astor Piazzolla Las cuatro estaciones porteñas
Posto unico numerato € 20

Il concerto omaggia la grande storia del tango, con un programma che affronta con originalità la tradizione “roots”, del tango cantato e del “baile”, e arriva al tango nuevo e alla produzione sinfonica ispirata dal genere di un gigante del Novecento come Igor Stravinsky.
 
È dal Tango per piccola orchestra di Igor Stravinsky (1882-1971) che il programma prende le mosse. La composizione testimonia del processo che ha portato il tango a diventare, nel corso del Novecento, una vera e propria forma autonoma, non più legata necessariamente alla danza, con cui i compositori si esercitano, tanto da cominciare a scrivere tanghi anche imballabili.
Curioso per natura, Stravinsky negli anni '40 si stava divertendo con il ragtime, il jazz, la polka. Scrive il suo Tango per pianoforte (poi trascritto per orchestra) nello stesso periodo, inquadrando in un metro lineare e standard una certa varietà ritmica fatta di sincopi e inciampi ritmici e formali, suoi tratti distintivi. Ne viene fuori una danza cubista, così moderna che la prima versione orchestrale (di Felix Gunther) fu diretta da Benny Goodman, capace di restituire lo swing introdotto in un tipo di musica che normalmente non lo prevedrebbe.
La seconda versione, che si ascolta in questo concerto, fu realizzata dallo stesso Stravinskij che pensò a un ensemble piuttosto singolare, ricco di strumenti a fiato e con la presenza della chitarra.

Il divertente tango-milonga El firulete di Mariano Mores (1918-2016) racconta come il tango argentino – il più “quadrato” e quindi più accessibile dei generi di danza sudamericani tradizionali – abbia avuto la meglio, assorbendone i caratteri tipici, sulle danze sue antenate, endemicamente diffuse sul territorio sudamericano, come l’ondeggiante e lenta habanera cubana e la più ballabile milonga, ma anche il choro brasiliano e l’uruguayano candombe.
 
In prima esecuzione italiana nell’orchestrazione del giovane compositore argentino Diego Collati, una raccolta dei noti tanghi di Carlos Gardel (1890-1935), scritti per lo più nei primi anni '30 del secolo scorso, cioè all’apice del suo successo e vicino alla prematura morte. I tango di Gardel, parlano quasi tutti d’amore, o del tango, che poi – per Gardel – sono la stessa cosa. La suite inizia con Melodia de arrabal e El día que me quieras, dichiarazioni d’amore attraverso il tango, Volver (con le parole dello scrittore Alfredo Le Pera, autore di molti testi per Gardel), forse il più famoso tango della nostalgia, Mi Buenos Aires querido e Lejana tierra mía, omaggi ai luoghi delle proprie origini, e Por una cabeza, particolarmente celebre perché il motivo è così potente da essere divenuto un brano autonomo.
 
Il programma si conclude con una delle opere che maggiormente segnano il contatto tra musica classica e tango: Las cuatro estaciones porteñas, le personali quattro stagioni di Astor Piazzolla (1921-1992) (scritte originariamente per violino e ensemble), che costituiscono un doppio omaggio: ai concerti violinistici vivaldiani e al porto di Buenos Aires, ove si dice il tango sia nato. Già entrati nel repertorio di molti musicisti, delle più diverse estrazioni, questi brani mostrano come il tango sia definitivamente stato assorbito dalla tradizione musicale universale e sottratto a una dimensione folkloristica e locale.
(dalle note di sala di Federico Capitoni).
 
PROGRAMMA
 
Igor Stravinskij (1882-1971)
Tango, versione per piccola orchestra
 
Carlos Gardel (1890-1935)
Melodía de arrabal El día que me quieras Volver
Mi Buenos Aires querido
Lejana tierra mía
Por una cabeza
Trascrizione per tenore e orchestra di Diego Collatti
Prima Esecuzione in Italia
 
Mariano Mores (1918-2016)
El firulete, tango milonga

Astor Piazzolla (1921-1992)
Las cuatro estaciones porteñas per bandoneón e archi
Verano Porteño
Otoño Porteño
Primavera Porteña
Invierno Porteño

 

Lunedì 10 Settembre

Piccolo Teatro Studio Melato / ore 17
DANZE UNGHERESI

Nils Mönkemeyer, viola / William Youn, pianoforte
Johannes Brahms - Sonata in fa minore op. 120 n. 1, Danza ungherese n. 16 in fa minore, Danza ungherese n. 1 in sol minore, Scherzo in do minore per la Sonata F.A.E., Sonata in mi bemolle maggiore op. 120 n. 2
Posto unico numerato € 5

Non capita spesso di ascoltare un recital con una viola come protagonista. Per cui l'arrivo di Nils Mönkemeyer, artista di Brema assurto a fama internazionale per la sua capacità di accendere gli animi e catalizzare l'attenzione su questo strumento, è un'occasione da non perdere. Interamente dedicato a Johannes Brahms (1833-1897), il programma vede Mönkemeyer e il pianista coreano William Youn guidarci tra i ritmi e i temi ungheresi tanto cari al compositore di Amburgo.

Si ascolteranno i due capolavori composti da Brahms per viola, la Sonata in fa minore op. 120 n. 1 e la Sonata in mi bemolle maggiore op. 120 n. 2 per poi inoltrarsi nell’esplorazione di temi e movenze ungheresi che il compositore tedesco ha accolto, con rapinoso affetto, nelle proprie Danze, proposte in prima esecuzione italiana nelle trascrizioni per viola e pianoforte di Mönkemeyer e Youn. Completa il programma lo Scherzo in do minore per la Sonata F.A.E.
 
Per clarinetto nascono le due Sonate op. 120 che, come indica l’alto numero d’opera, appartengono all’ultima fase della sua attività. Fu lo stesso Brahms, che le scrisse nell’estate del 1894, ad affermare che entrambe le Sonate potevano, però, essere tranquillamente adattate alla viola. Amava infatti molto entrambi gli strumenti, che in orchestra occupano registri mediani e che spesso suonano “nascosti” rispetto a quelli di maggior visibilità (un altro tassello della sua poetica). Come spesso avveniva per le sue ultime composizioni, anche qui il materiale musicale è ridotto al minimo, idee brevi con una melodia che si afferra ma è come se scomparisse subito dalle mani, astratta, lasciando la ribalta a una serie di elementi “atmosferici”: il ritmo, l’espressività, l’armonia, il colore strumentale.
 
Quindi le Danze ungheresi, proposte in trascrizione per viola e pianoforte ed eseguite in prima italiana. Fu Massimo Mila a capirne tra i primi l’importanza, quali punto di riferimento che non avrebbe mai smesso di far luce alla ricerca estetica brahmsiana. Mila vi trovava il germoglio di una sintesi perfetta fra tono popolare e arte, vitalità e lavoro sulla forma, semplicità dell’ascolto e densità dell’opera compositiva. Era impossibile restare indifferenti, secondo Mila, di fronte a un’esuberanza così sincera e al tempo stesso così finemente elaborata. Un paragone poteva essere fatto forse con le stoffe dei costumi popolari ungheresi, il cui effetto sgargiante si deve spesso alla combinazione di motivi floreali cuciti a mano con cura minuziosissima. Le idee melodiche e i ritmi di danza si ripetevano, in una stessa composizione, così come avveniva con gli elementi decorativi sui vestiti. Molto diversa era l’arte combinatoria della variazione che Brahms avrebbe sviluppato in seguito ispirandosi all’esempio del Barocco. Brahms lavorò a lungo entro queste due polarità, la variazione e la ripetizione, alla ricerca di equilibri provvisori che non si sarebbero mai tradotti in una formula.
 
La Sonata F.A.E., infine, fu un gioco musicale che Robert Schumann ideò in onore di Joseph Joachim, il violinista che era stato a lungo partner di Brahms in duo. Schumann propose a due amici compositori, Brahms e Albert Dietrich, di comporre una sonata per violino e pianoforte a più mani, lasciando a Joachim il compito di indovinare chi fosse l’autore dei singoli movimenti. Lo Scherzo in do minore rappresentava il contributo di Brahms. Le tre lettere che compaiono nel titolo della Sonata indicano una successione di note (fa, la, mi) usate come base delle idee tematiche di ciascun movimento, ma vengono viste anche come acronimo di un motto − Frei aber einsam, cioè “libero ma solo” − riferito al celibato di Joachim.
Per lo Scherzo Brahms lavorò sul motivo che apre il terzo movimento della Sinfonia n. 5 di Beethoven, trasformandolo sempre più in un motivo di danza che dalla Vienna classica sembra spostarsi verso le praterie della musica popolare ungherese.
(dalle note di sala di Stefano Cantucci).

PROGRAMMA

Johannes Brahms (1833-1897)
Sonata in fa minore op. 120 n. 1
Allegro appassionato
Andante un poco adagio
Allegretto grazioso
Vivace
 
Danza ungherese n. 16 in fa minore
trascrizione di Nils Mönkemeyer e William Youn
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Danza ungherese n. 1 in sol minore
trascrizione di Nils Mönkemeyer e William Youn
PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
 
Scherzo in do minore
per la Sonata F.A.E.
 
Sonata in mi bemolle maggiore op. 120 n. 2
Allegro amabile
Allegro appassionato
Andante con moto. Allegro

 

Piccolo Teatro Grassi / ore 21
DANZE SPAGNOLE

Xavier de Maistre, arpa / Lucero Tena, nacchere
Mateo Antonio Pérez de Albéniz - Sonata in re maggiore op. 13 *
Jesús Guridi Viejo Zortzico *
Isaac Albéniz Torre Bermeja da 12 Piezas características op. 92 *, Granada da Suite española n. 1 op. 47 *, Zaragoza da Suite española n. 2 op. 97 *, Asturias da Suite española n. 1 op. 47 *
Antonio Soler Sonata in re maggiore per arpa
Richard Dubugnon Après une visite à Gregynog PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA
Enrique Granados Andaluza dalle Danzas españolas *
Francisco Tárrega Recuerdos de la Alhambra *
Manuel de Falla Danza spagnola n. 1 da La vida breve trascrizione per arpa di Marcel Grandjany
* trascrizioni di Xavier de Maistre
Posto unico numerato € 15
Il concerto è trasmesso in diretta radiofonica da Radio 3 RAI.

Ritmi, melodie e stilemi tratti dal patrimonio popolare della danza spagnola impregnano il programma del concerto dell’arpista Xavier de Maistre che torna a MITO, in duo con la señora delle nacchere, Lucero Tena, attingendo al repertorio per tastiere spagnolo – come da antica prassi intrecciata all’evoluzione di una propria letteratura – e per chitarra, dal Settecento al presente, con la prima esecuzione italiana di Pluie à Auvers e di Charing Cross Bridge da Après une visite à Gregynog di Richard Dubugnon (1968).

La Sonata in re maggiore del compositore basco settecentesco Mateo Pérez de Albéniz, pubblicata nel 1925 dal pianista cubano Joachin Nin, è stata adocchiata subito dagli arpisti che l’hanno adottata nel loro repertorio, grazie agli echi di tecniche chitarristiche ed allo stile di scrittura innervata di forme, come il chiaro riferimento al fandango. Oltre a Scarlatti, da cui mutua la forma di sonata bipartita, punto di riferimento di Albéniz erano anche le Sonate di Antonio Soler, prolifico monaco catalano, come la Sonata in re maggiore R. 84, trascritta per arpa dallo stesso de Maistre dove, tra viticci di scale e arpeggi intrecciati, ben si scorgono i ritmi di danze spagnole tipiche, come il fandango e la jota.
 
Basco era anche Jesús Guridi, compositore e organista del primo Novecento, nella cui produzione l’eco della musica nazionale basca si ammanta di una veste armonica ricca e moderna, come nel caso di Viejo Zortzico, del 1949, che prende spunto da una tradizionale danza basca in ritmo composto di 5/8 (e combinazioni più complesse).
 
Il nuovo lavoro di Richard Dubugnon, commissionato nel 2015 dal Gregynog Festival, Après une visite à Gregynog, s’ispira a tre capolavori della collezione Davies, fondatrice del festival inglese: Pluie à Auvers, l’ultimo domicilio di Van Gogh, evoca il vuoto e la malinconia del paesaggio sferzato dalla pioggia, ma visto con gli occhi di un’anima insaziabile di luce e di colore, e Charing Cross Bridge, uno dei capolavori dell’ultimo Monet, ispira a Dubugnon un’arpa dal suono iridescente e guizzante, figlio del virtuosismo pianistico di Ravel ma irrobustito da sincopi ritmiche di gusto contemporaneo (omesso il brano centrale, ispirato a Cézanne).
 
A Isaac Albéniz ed Enrique Granados, due giganti del pianoforte spagnolo a cavallo del Novecento, va riconosciuto lo sforzo di elevare canti e danze della tradizione folkloristica alla dignità della musica d’arte, come nelle composizioni intitolate a nomi di luoghi, che in una prospettiva nazionalistica si caricano di un ethos esclusivo, di cui la musica cattura l’essenza profondo: nel primo, Torre Bermeja, simbolo della riunificazione cristiana della penisola iberica si traduce in un canto notturno colmo di emozione. Allo stesso modo, nella serenata ispirata dalla misteriosa città di Granada (che dà il titolo del primo dei tre brani in programma tratti da Suite española) affiorano i melismi tipici del cante jondo dei gitani. Zaragoza, invece, capitale dell’Aragona, ha un folklore più legato ai ritmi di danza, che nella trascrizione di de Maistre ritrova il tocco mordente del polpastrello sulla corda della chitarra. Asturias, sintesi perfetta tra il suono del pianoforte e la forza struggente della leggenda di questa terra aspra e infelice è addirittura diventato una pietra miliare del repertorio chitarristico grazie alla celebre trascrizione di Segovia. Del resto, tutta questa musica pianistica, compresa la danza Andaluza di Granados, arriva all’arpa passando dalla mediazione della chitarra, per l’ovvia affinità di produzione del suono.
 
In qualche caso, però, la letteratura chitarristica fornisce direttamente il materiale, come nel caso del vernacolare Recuerdos de la Alhambra (1896) di Francisco Tárrega, uno dei giovani artisti impegnati nella rinascita della musica spagnola e della chitarra alla fine dell’Ottocento, amico di Albéniz, Granados, Joaquín Turina.
 
La regione meridionale, quasi confinante con l’Africa della Andalusia era anche la terra di Manuel de Falla, il più radicale e moderno promotore di un rapporto con la tradizione popolare che riscopre dalle sue più autentiche radici, per rinnovare il linguaggio musicale romantico ormai esausto, in maniera analoga all’attività di Béla Bartók. Uno dei risultati più precoci di questa ricerca fu l’opera La vida breve, 1913, basata su autentici elementi del folklore gitano andaluso. La musica ha avuto fortuna soprattutto nella sua versione sinfonica, in sala da concerto, lasciando una scia di trascrizioni che arrivano fino a quella virtuosistica e variopinta di Marcel Grandjany, un arpista americano di origine francese, famoso concertista e importante didatta.
(dalle note di sala di Oreste Bossini).
 
PROGRAMMA
Mateo Antonio Pérez de Albéniz (1755-1831)
Sonata in re maggiore op. 13 *
 
Jesús Guridi (1886-1961)
Viejo Zortzico (Zortzico Zarra) *
 
Isaac Albéniz (1860-1909)
Torre Bermeja (Serenata) n. 12 da 12 Piezas características op. 92 *
Granada (Serenata) dalla Suite española n. 1 op. 47 *
Zaragoza dalla Suite española n. 2 op. 97 *
Asturias (Leyenda) dalla Suite española n. 1 op. 47 *
 
Antonio Soler (1729-1783)
Sonata in re maggiore per arpa n. 84 *
 
Richard Dubugnon (1968)
Pluie à Auvers
Charing Cross Bridge
da Après une visite à Gregynog op. 73
Prima Esecuzione in Italia
 
Enrique Granados (1867-1916)
Andaluza, n. 5 dalle 12 Danzas españolas *
 
Francisco Tárrega (1852-1909)
Recuerdos de la Alhambra *
 
Manuel de Falla (1876-1946)
Danza spagnola n. 1 da La vida breve
trascrizione per arpa di Marcel Grandjany

 

Martedì 11 Settembre

Teatro Litta / ore 17
BALLATE TRECENTESCHE

La fonte musica Michele Pasotti, direttore e liuto
Antonio Zacara da Teramo Ie suy navrés– Gnaff’a le Guagnele, Benché lontan mi trovi, Ciaramella, Ad ogne vento come foglia
Codex London add 29987 Trotto, Istampitta Tre Fontane, Lamento di Tristano, La Rotta
Johannes Ciconia Caçando un giorno, Gli atti col danzar
Guillaume de Machaut Plus dure qu'un dyamant, Douce Dame, Jolie Dame a vous sans retollir
Paolo da Firenze Godi, Firençe
Antonello da Caserta, Matteo da Perugia Più chiar che’l sol
Robertsbridge Codex Estampie
Bartolino da Padova Strinçe la man
Antonello da Caserta Del Glorioso Titolo
Posto unico numerato € 5

«Non stupisce che la danza abbia da sempre rappresentato una feconda fonte di ispirazione per i compositori, perché nelle sue forme e strutture si trova esplicitato in forma fisica ciò che il pensiero musicale disegna nel tempo. Dal medioevo ad oggi, non c’è stata epoca che si sia privata del piacere di comporre ed eseguire musica in vario modo ispirata ad essa», affermava, introducendo il festival, il direttore artistico Nicola Campogrande.
 
La fonte musicale, ensemble, fondato e diretto da Michele Pasotti, specializzato in musica tardomedievale e nato per interpretare la musica di passaggio tra l’età medievale e quella umanistica (ca. 1320- 1440, con particolare attenzione al Trecento italiano) su strumenti d’epoca, ci guida in un’interessante lettura della cosiddetta Ars nova, espressione che indica tanto un’epoca – Trecento e primi del Quattrocento – quanto uno specifico genere di musica, così come la notazione che fissò il repertorio sulla carta.
 
Sia nella sua declinazione francese sia in quella italica, la musica dell’Ars nova, sembra essere stata un genere sostanzialmente elitario, coltivato in ambiti sociali e culturali ristretti. In Italia, la sua culla furono le corti dei signori o, come a Firenze, circoli ancor più esigui di personalità distinte. I compositori furono in gran parte colti ecclesiastici. L’arco cronologico messo a fuoco va dal finire del secolo al principio del Quattrocento, quando lo stile dei maestri francesi influenza in modo decisivo i compositori peninsulari. Fra questi Johannes Ciconia (1370-1412), che rappresenta questa commistione tra tradizione italiana e costumi oltremontani.
 
Al centro del programma tre virelai, tipica forma francese nata per la danza, di Guillaume de Machaut (1300-1377), massimo compositore transalpino del Trecento, la cui musica era ben conosciuta nella penisola, soprattutto nelle regioni del nord. Grande parte in questa commistione ebbe l’età dei concili che favorì il contatto diretto fra musiche e musicisti di tradizioni differenti. Dal 1309 la residenza dei papi si era stabilita ad Avignone; qui, a quanto pare, dobbiamo individuare il luogo d’origine del cantus fractus, un genere che influirà a lungo nella storia della musica liturgica.
 
I ripetuti incontri fra i musici al seguito di papi e cardinali favorì anche quella gara di sottigliezza tecnica che contraddistingue la stagione estrema dell’Ars nova (detta Ars subtilior). Figura di spicco di questo periodo è Antonio detto Zacara da Teramo (ca. 1355-1416), magister Zacharias, al servizio presso tutta una serie di papi più o meno legittimi, da Bonifacio IX a Gregorio XII all’antipapa Giovanni XXIII. Proprio il tema dell’instabilità sta al centro della ballata Ad ogne vento, un “manuale di sopravvivenza” nell’ambiente infido delle corti. Nella ballata Ciaramella il cantore papale si sbizzarrisce in una sequela di oscenità ben poco occultate; nella ballata doppia Ie suy navrés– Gnaff’a le Guagnele frasi nonsense in italiano, latino e francese si attorcigliano in una serie di maledizioni e invettive.
 
Scorrono dunque i nomi degli altri rappresentanti dell’estrema stagione creativa dell’Ars nova italiana. Paolo da Firenze (ca.1355-1436), monaco camaldolese, Bartolino da Padova (ca. 1365-1405), il monaco italiano e Antonello da Caserta, il cui Del glorioso titolo, si è ipotizzato, fu scritto per l’incoronazione di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, nel 1395.
(dalle note di sale di Angelo Rusconi).

PROGRAMMA

Antonio Zacara da Teramo (ca. 1355-1416)
Ie suy navrés– Gnaff’a le Guagnele
Benché lontan mi trovi
Ciaramella
Ad ogne vento come foglia
Codex London add 29987
Trotto, Istampitta Tre Fontane,
Lamento di Tristano, La Rotta
 
Johannes Ciconia (1370-1412),
Caçando un giorno
Gli atti col danzar
 
Guillaume de Machaut (1300-1377)
Plus dure qu'un dyamant
Douce Dame Jolie
Dame a vous sans retollir
 
Paolo da Firenze (ca.1355-1436)
Godi, Firençe
Antonello da Caserta, Matteo da Perugia
Più chiar che’l sol
Robertsbridge Codex
Estampie
 
Bartolino da Padova (ca. 1365-1405)
Strinçe la man
 
Antonello da Caserta
Del Glorioso Titolo

 

Certosa di Garegnano / ore 21
LES CARACTERES DE LA DANSE

Vittorio Ghielmi, viola da gamba / Florian Birsak, clavicembalo
Marin Marais Suite in do minore dal Livre III de Pièces de Viole
Jean-Henri d`Anglebert Brani da Pièces de Clavecin
Jean-Baptiste Lully Brani da Le Bourgeois Gentilhomme
Marin Marais Suite in la minore dal Livre III de Pièces de Viole
Jean-Philippe Rameau Danze da Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin
Antoine Forqueray “Le Diable” Seconda suite in sol maggiore
Ingresso gratuito

Il concerto del duo Vittorio Ghielmi alla viola da gamba e Florian Birsak al clavicembalo è un tuffo nell’età d’oro del Barocco francese. Due strumenti simbolo della musica d’Oltralpe nei decenni a cavallo tra Sei e Settecento, un’epoca modellata dal lungo regno di Luigi XIV di Borbone, il Re Sole, sovrano accentratore ma anche grande mecenate in tutte le arti, e tra queste non di meno nel campo della musica strumentale, che equivale a dire: la danza di corte. Maestri di musica e di danza (e drammaturghi e pittori) ricevevano incarichi specifici presso la corte di Versailles, e fu in gran parte al suo interno che si svilupparono tecniche esecutive e compositive tali che oggi si possano delineare delle vere e proprie “scuole”.
 
La viola da gamba, diffusasi in Italia durante il Rinascimento, poi in Inghilterra (il consort di viole fu l’ensemble più in voga durante l’età elisabettiana) e quindi nell’Europa continentale, conobbe in Francia una fioritura più lunga, sino ai primi decenni del XVIII secolo. Capostipite della scuola nazionale è da considerarsi Jean de Saint-Colombe (ca. 1640- 1700), cui si deve lo sviluppo della versione francese dello strumento, a sette corde anziché sei, il cui allievo più importante fu senza dubbio Marin Marais (1656-1728), considerato il maggior virtuoso di tutti i tempi. “Joueur de viole de la chambre du Roi” per quasi mezzo secolo (dal 1679 al 1725), fu allievo per la composizione di Lully e pubblicò oltre 600 pezzi, la quasi totalità all’interno dei cinque libri di Pièces de viole.
 
Se Marais «suonava come un angelo» – scrisse un collega, Hubert Le Blanc – «come un diavolo» si esibiva Antoine Forqueray “Le Diable” (1672-1745). Una personalità turbolenta, con una vita travagliata e uno stile musicale molto originale, alimentato dalle sue brillanti doti di improvvisatore e da uno straordinario ventaglio espressivo, capace grazie a questo di realizzare in tutte le sue Suite ritratti di personalità del tempo e pezzi di genere anche a carattere imitativo (come nella ciaccona La Mandoline, tutta note ribattute e arpeggi).
 
Come la viola, anche il clavicembalo nel Seicento aveva dato vita a una scuola francese, discendente dall’operato di Jacques Champion de Chambonnières. Le danze popolari che nel Cinquecento si usava suonare con il liuto (pavana, gagliarda, allemanda, corrente, sarabanda, giga) furono adattate alla tastiera e conobbero via via rielaborazioni in forme sempre più astratte e complesse, un processo che si rispecchia splendidamente nelle composizioni di Jean-Henry d’Anglebert (1629-1691). Maestro del contrappunto, che era capace di piegare a effetti di grande espressività, era legato da vera amicizia con Lully, di cui ammirava i lavori teatrali: ne trascrisse molti brani per cembalo, riuscendo in questo ad arricchire con la sua scrittura le possibilità timbriche dello strumento e a suggerire così le sonorità dell’orchestra.
 
La scuola clavicembalistica francese passa poi (letteralmente) per le mani di François Couperin e di Jean-Philippe Rameau (1683-1764), oggi forse più conosciuto per le opere teatrali, ma la cui produzione per la tastiera non è di minor importanza. Il suo librettista Alexis Piron disse di lui: «Tutta la sua anima e il suo spirito erano nel suo clavicembalo, quando questo era chiuso la casa pareva vuota». Le Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin (terza e ultima raccolta pubblicata nel 1727) sono coetanee delle Partite per cembalo di Bach, fatto che si avverte in particolare nell’Allemanda, di grande raffinatezza armonica. La Sarabanda sarà ripresa da Rameau nell’opera Zoroastre trent’anni più tardi, mentre nella Gavotta, con le sue sei variazioni (doubles), il virtuosismo raggiunge vette ulteriori.
 
Figura centrale nel Seicento musicale francese, dalla quale si dipanano pressoché tutte le altre esperienze, è ovviamente quella di Jean-Baptiste Lully (1632-1687), chiamato dal 1664 a collaborare con Moliére per una serie di comédies-ballets. Tra le più famose Il borghese gentiluomo (1670), una satira piuttosto esplicita nei confronti del re, alla cui prima rappresentazione prese parte lo stesso Lully, nelle vesti di Muftì per la scena della cerimonia turca: la marcia che l’apre è stata il suggestivo modello per molta musica orientale nei secoli a venire.
(dalle note di sala di Simone Solinas).

PROGRAMMA

Marin Marais (1656-1728)
Da Suite in do minore dal Livre III de Pièces de Viole
Prélude – Allemande – Courante – Sarabande grave – Gigue Rondeau
 
Jean-Henri d`Anglebert (1629-1691)
da Pièces de Clavecin (1689)
Ouverture de Proserpine (de Lully)
Sarabande grave
Chaconne de Galatée (de Lully)
 
Jean-Baptiste Lully (1632-1687)
Da Le Bourgeois Gentilhomme
trascrizione per viola da gamba e basso continuo di Vittorio Ghielmi:
Marche pour la cérémonie des Turques
Canarie
Chaconne des Scaramouches, Trivelins et Arlequins
 
Marin Marais
Dalla Suite en la mineur du Livre III de Pièces de Viole
Prélude
Grand Ballet
 
Intervallo
 
Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
Da Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin (1727)
Allemande
Courante
Sarabande
Gavotte avec Doubles
Antoine Forqueray “Le Diable” (1672-1745)
Suite II en sol majeur
La Bouron
La Mandoline
La Dubreüil
La Leclair
Chaconne. La Buisson

 

Chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia / ore 21
LA MISSA GALEAZESCHA PER IL DUCA DI MILANO

Odhecaton con la collaborazione di laReverdie Ensemble / Pian & Forte / La Pifarescha / Gabriele Cassone, tromba / Liuwe Tamminga, organo / Paolo Da Col, direttore
Loyset Compère Missa Galeazescha a 5
Heinrich Lübeck Sonata n. 100 / Etzliche Punctenn aus einer Sonade
Gaspar van Weerbeke Virgo Maria Ave, stella matutina a 4 / Christi mater, ave / Mater digna Dei
Alexander Agricola Ave Domina Sancta Maria / Tota pulchra es / L’homme banni a 3
Johannes Martini Tousjours bien / La Martinella
anonimo secolo XVI Intonazione
Cesare Bendinelli Sonata n. 336
Ingresso gratuito

Imperdibile, la Missa Galeazescha, composta da Loyset Compère per il Duca Galeazzo Maria Sforza, in esclusiva milanese nella straordinaria interpretazione di una compagine eccezionale, comprensiva dell’ensemble vocale Odhecaton, del consort di “piffari” (tromboni e cornetti) La Pifarescha, de La Reverdie e dell’Ensemble Pian & Forte, solista alla tromba, Gabriele Cassone e con la direzione musicale di Paolo Da Col.
 
La grandiosa messa di Compère sarà al centro di un florilegio di compositori franco - fiamminghi coevi, operanti nella cerchia sforzesca, come Heinrich Lūbeck, Gaspar van Weerbeke, Alexander Agricola, Johannes Martini tra cui spunta anche il nome di un milanese, Cesare Bendinelli.
 
Autore ancora poco conosciuto, del francese Loyset Compère ricorrono quest’anno i 500 anni dalla morte. L’atmosfera dell’evento, che si tiene nella Chiesa di S. Alessandro, a pochi passi dalla Basilica di Santo Stefano Maggiore – dove il Duca fu assassinato – ci riporta a quella, sontuosa e al tempo stesso enigmatica e oscura, del nostro Rinascimento, segnato da misteri e segreti tutt’oggi inesplicabili che sembrano aver tentato di disseminare, nella musica dell'epoca, tracce crittografate e indizi utili alla loro soluzione.
 
Il particolare stile della Missa Galeazescha è caratterizzato da un affascinante intreccio di magistero contrappuntistico e cantabilità laudistica, che deriva probabilmente anche dalla sua anomalia liturgico-musicale: paradossalmente, questa messa non è una messa, intesa quale regolare serie dei canti dell’Ordinario della messa romana (sul cui modello essa è scritta) o della messa ambrosiana, bensì una sequela di mottetti composti su testi nuovi, o rielaborati da testi preesistenti, che vanno a sostituire in toto la componente musicale della celebrazione.  Così, al posto del Gloria si canta il mottetto Ave, salus infirmorum; al posto del Sanctus, il mottetto O Maria e via dicendo. Ma le sostituzioni non riguardano solo i canti dell’Ordinario; anche per i canti del Proprio sono previsti mottetti specifici. La questione è complicata dal fatto che ciò non avviene per tutti i canti, ma solo per alcuni.
 
Per non smarrirsi in questo intrico liturgico-musicale, conviene fare mente locale al contesto in cui si collocava la prassi dei motetti missales. La prassi sembra nata, o quantomeno particolarmente coltivata, nella Milano degli Sforza, precisamente durante il ducato di Galeazzo Maria durato un decennio — dal 1466 al 1476 — e bruscamente troncato dall’assassinio del signore, personaggio spregiudicato, arrogante e brutale, sospettato di matricidio, ma che aveva ricevuto un’educazione umanistica di prim’ordine e fu un instancabile patrocinatore delle arti. Addirittura straordinaria la cura che rivolse alla cappella musicale, che divenne una delle più importanti d’Europa grazie all’ingaggio dei migliori musicisti ultramontani, cioè di origine franco-fiamminga. Fra questi, Loyset figura in compagnia di Josquin Desprez, Alexander Agricola, Johannes Martini, Gaspar van Weerbecke, Jean Cordier e altre personalità di rilievo del panorama musicale transalpino.
 
Una prima ragione di questa prassi singolare può essere stato il culto della Vergine, molto osservato dagli Sforza. In sostanza, si sarebbe trattato di una forma di “marianizzazione” della messa che poteva applicarsi alle celebrazioni quotidiane, riflesso della particolare devozione sforzesca e “galeazzesca” per la Madonna consolatrice e misericordiosa (ancorché “Galeazescha Vittoriosa” fosse anche il nome della bombarda più possente del Castello). A conferma dello stretto legame fra la composizione e la città sta il fatto che l’unica fonte che la tramanda è un manoscritto della Veneranda Fabbrica del Duomo.
 
Un’altra questione sorge: come poteva essere accettabile la sostituzione perfino del Credo con un mottetto? È evidente che questa pratica non poteva riguardare la messa solenne cantata, né nelle domeniche correnti né tantomeno in una solennità. Si ipotizza così che i motetti missales si cantassero nel contesto di una messa letta, in cui il celebrante leggeva sottovoce tutti i testi propri e ordinari della messa mentre i cantori “coprivano” pressoché ininterrottamente con la musica lo svolgersi del rito.
(dalle note di sala di Angelo Rusconi)

PROGRAMMA
 
Heinrich Lübeck (secc. XVI-XVII)
Sonata n. 100 (trombe)
 
Gaspar van Weerbeke (c.1445-post 1516) Virgo Maria (organo) Ave, stella matutina a 4
 
Alexander Agricola (1445/1446-1506) Ave Domina Sancta Maria
 
Loyset Compère (c. 1445-1518) Missa Galeazescha a 5
 
Loco Introitus. Ave, Virgo gloriosa Loco Gloria. Ave, salus infirmorum
 
Johannes Martini (1430/1440-1497)
Tousjours bien
 
Loyset Compère
Missa Galeazescha a 5 Loco Credo. Ave, decus virginale
 
Johannes Martini
La Martinella (organo)
 
Loyset Compère
Missa Galeazescha a 5 Loco Offertorii. Ave, sponsa verbi summi
 
Alexander Agricola
Tota pulchra es (organo)
 
Loyset Compère
Missa Galeazescha a 5
Loco Sanctus.
O Maria
Ad elevationem.
Adoramus te, Christe
 
Alexander Agricola
L’homme banni a 3
 
Loyset Compère
Missa Galeazescha a 5 Loco Agnus. Salve, Mater Salvatoris
 
Gaspar van Weerbeke
Christi mater, ave
 
Loyset Compère
Missa Galeazescha a 5 Loco Deo Gratias. Virginis Mariae laudes
 
Heinrich Lübeck
Etzliche Punctenn aus einer Sonada (trombe)
 
anonimo secolo XVI
Intonazione (organo)
 
Gaspar van Weerbeke
Mater digna Dei
 
Cesare Bendinelli (sec. XVI-1617)
Sonata n. 336 (trombe)

 

Giovedì 13 Settembre

Teatro Dal Verme / ore 17
FLIRT AMERICANI

Orchestra I Pomeriggi Musicali, Alessandro Cadario direttore, Zee Zee pianoforte
Michel Daugherty Sunset strip, Maurice Ravel Concerto in sol per pianoforte e orchestra, Francis Poulenc Sinfonietta, George Gershwin Variations on I got Rhytm trascrizione per orchestra da camera di Iain Farrington
Posto unico numerato € 5

Un pomeriggio dedicato al jazz, questo che ritrova protagonista sul palco Zee Zee, la pianista cinese rivelazione della passata stagione di MITO 2017 e dei teatri di tutto il mondo. Partita dalla Germania, dove ha iniziato la propria formazione musicale a cinque anni, al suo ritorno nella natia Cina Zee Zee è diventata uno dei giovani artisti più ricercati della nazione.
 
In programma quattro compositori: Gershwin e Daugerthy, statunitensi; Ravel e Poulenc, francesi. Per i primi il jazz è pane quotidiano. Per gli altri è una potente occasione di creatività.
 
Maurice Ravel (1875-1937) pensò di comporre un concerto per pianoforte e orchestra tardi nella sua carriera, nel 1927, in vista di una tournée negli Stati Uniti. Il Concerto in sol fu eseguito per la prima volta il 14 gennaio 1932 alla Salle Pleyel di Parigi, con la dedicataria Marguerite Long come solista e il compositore sul podio dell’Orchestra Lamoureux. Molto diverso dall’altro a lui quasi contemporaneo – il Concerto in re per la mano sinistra del 1929, drammatico, cupo, caratterizzato da una netta contrapposizione tra solista e orchestra – il Concerto in sol è leggero, spumeggiante, basato su un gioco complementare e tutto timbrico tra solista e orchestra. Questo concerto rispetta l’articolazione classica in tre movimenti, ma grazie alla grande duttilità della scrittura orchestrale e armonica, assembla un materiale tematico molto eterogeneo, con echi di jazz (che dominano nei movimenti estremi) e di musica da circo, temi popolari, motivi iberici, in particolare baschi e venature blues.
 
In programma anche una prima esecuzione in Italia, trascrizione per orchestra da camera di Iain Farrington delle Variazioni su I Got Rhythm di George Gershwin (1898-1937). Le Variazioni per pianoforte e orchestra furono composte da Gershwin alla fine del 1933, per una tournée concertistica eseguite da Gershwin stesso per la prima volta a Boston il 14 gennaio 1934. Il celebre tema, costruito su una scala pentatonica, è introdotto gradualmente attraverso vari strumenti e seguito da cinque variazioni che giocano su sofisticati intrecci ritmici, su repentine modulazioni, espansioni e contrazioni del materiale tematico, su stili diversi che vanno dal valzer alla musica cinese al puro stile jazz. Il pianista e compositore inglese Iain Farrington (nato nel 1977) oltre ad aver creato un proprio personale arrangiamento pianistico di I Got Rhythm, ha trascritto le Variazioni di Gershwin per un organico ridotto, simile a quello delle orchestrine di Broadway e con un’orchestrazione più leggera e trasparente.
 
Una grande varietà di stili caratterizza anche la Sinfonietta di Francis Poulenc (1899-1963), la sua unica composizione strettamente sinfonica (escludendo i concerti e le suite tratte dai balletti), che iniziò a scrivere nell’estate del 1947 su commissione della BBC (per la riapertura, dopo la Guerra, del Third Programme) e che fu eseguita a Londra, il 24 ottobre 1948, sotto la direzione di Roger Désormière. Opera della maturità, la Sinfonietta è caratterizzata da un grande equilibrio formale e da una scrittura elegante, a tratti caustica, traboccante di inflessioni popolareggianti, ritmi di danza, passaggi modali, armonie lussureggianti. Qui emerge il lato spensierato e ironico del compositore, tanto che la struttura neoclassica del brano può apparire come una parodia dei modelli mozartiani e haydniani (anche il titolo Sinfonietta non si riferisce alla sua durata ma alla sua leggerezza) nel puro spirito del Gruppo dei Sei, cui Poulenc aveva aderito negli anni Venti.
 
Dietro il graffiante polistilismo della musica di Michael Daugherty (nato nel 1954) c’è spesso la storia americana, l’universo sonoro delle metropoli, i miti e le icone popolari statunitensi: la musica dei rapper, Elvis Presley, Superman, Barbie, per dirne alcune. Ci sono poi composizioni ispirate a luoghi tipicamente americani, come Motown Metal (1994), Niagara Falls (1997), Route 66 (1998), Sunset Strip (1999). Quest’ultima, per orchestra da camera, prende il nome dal celebre Sunset Boulevard (la strada che dal centro di Los Angeles, passando attraverso quartieri chic come Beverly Hills e Bel Air, arriva alla spiaggia sull’Oceano Pacifico), e in particolare dal tratto che attraversa West Hollywood, il Sunset Strip appunto, popolato dal jet set hollywoodiano già negli anni Trenta, divenuto negli anni Sessanta un importante luogo di ritrovo hippie.
In Sunset Strip, eseguito per la prima volta il 7 gennaio 2000, Daugherty crea un paesaggio musicale in movimento, un gioco caleidoscopico e frammentario fatto di piccoli squarci musicali che compaiono e si dissolvono, come se fossero osservati da una macchina in transito su quella strada. Un viaggio immaginario (in tre movimenti, dal tramonto al mattino) che ci porta tra ristoranti, nightclub e discoteche, con un abile gioco contrappuntistico e poliritmico, un’orchestrazione brillante, dominata dalle trombe e dagli interventi delle percussioni.
(dalle note di sala di Gianluigi Mattietti).
 
PROGRAMMA
 
Michael Daugherty (1954)
Sunset strip (1999)
7 PM Nocturne
7 AM
 
Maurice Ravel (1875-1937)
Concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Allegramente Adagio assai Presto
 
Francis Poulenc (1899-1963)
Sinfonietta
Allegro con fuoco
Molto vivace
Andante cantabile
Prestissimo et très gai
 
George Gershwin (1898-1937)
Variations on I got Rhythm
trascrizione per orchestra da camera di Iain Farrington
Prima Esecuzione in Italia

 

Venerdì 14 Settembre

Basilica di San Vincenzo in Prato / ore 16
PERPETUUM MOBILE

Aart Bergwerff, organo
MARCIA
Charles-Marie Widor (1844-1937) Marche Pontificale
SARABANDE
Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) Corale Schmücke dich, o liebe Seele BWV 654
GIGA
Johann Sebastian Bach Fuga in sol maggiore BWV 577
DANZA MODERNA
Jehan Alain (1911 – 1940) Deux danses à Agni Yavishta
PASSACAGLIA
Joseph Gabriel Rheinberger (1839-1901) Introduzione e passacaglia dalla Sonata n. 8 in mi minore
DANZA SPIRITUALE
Simeon ten Holt (1923 – 2012) Canto Ostinato
PASSACAGLIA
Johann Sebastian Bach Passacaglia in do minore BWV 582
Ingresso gratuito

Molte danze prevedono di ripetere gli stessi passi, mantenendo un senso di movimento, ma ritornando sempre al punto di partenza. È quello che accade nelle musiche presentate da Aart Bergwerff, in cui tutto si agita, ma si resta sostanzialmente sempre fermi.
L’organista della Chiesa Luterana dell’Aia, titolare di uno degli organi storici più importanti in Olanda (l’organo di Johann Heinrich Hartmann Bätz) apre le danze su di alcune delle pagine più ispirate di Charles-Marie Widor, successore di Franck alla cattedra d’organo del Conservatorio di Parigi e predecessore di Dupré, come titolare della Chiesa di Saint-Suplice. La Marche Pontificale, dalla Symphonie pour orgue in do maggiore, op. 13 n. 1, composta nel 1872 e rielaborata fino al 1901 è tra le pagine scritte per i grandi organi costruiti da Cavaillé-Coll. Dall’estetica trionfalista, è articolata come rondò, con un refrain di carattere magniloquente e due couplet.
Segue il primo di tre interventi bachiani, il corale Schmücke dich, o liebe Seele, attinto dall’“Autografo di Lipsia”, il contributo bachiano più organico e compiuto al genere, contenente tra l’altro Vor deinen Thron tret’ ich, dettato sul letto di morte al genero Altnikol. Tra i diciasette corali dell’Autografo di Lipsia, condotti al massimo grado di complessità compositiva e soprattutto coronati da un’inimitabile ispirazione, Schmücke dich, o liebe Seele è forse il più semplice e commovente. La melodia del Kirchenlied è posta al soprano e ornata elegantemente, assecondando, con il tipico figuralismo, le immagini suggerite dalla prima strofa del testo: “Preparati, cara anima, lascia l’oscuro pozzo del peccato per venire in piena luce e risplendere nella gloria; poiché il Signore, colmo di salvezza e di grazia, ora ti invita come suo ospite. Lui che potrebbe governare in cielo vuole trovare in te la sua dimora”.
La Fuga in sol maggiore BWV 577, invece, opera “sciolta”, considerata un vivace esercizio giovanile, s’ispira alle fughette in stile di giga di Buxtehude.
A questo punto, la trama delle relazioni personali tra esecutore ed eseguito si infittisce – come spesso accade - con la successiva interpretazione, di brani del prolifico Jehan Alain, nella misura in cui Bergwerff infatti è stato allievo della sorella del compositore, Marie-Claire, al Conservatorio di Parigi. Nato a Saint-Germain-en-Laye nel 1911, Alain morì eroicamente sul campo di battaglia a Petit-Puy, nei pressi di Saumur, il 20 giugno del 1940. L’intera sua opera fu composta tra il 1929 e il 1939, ma si tratta nondimeno di un corpus considerevole: 120 pezzi, più 11 brani incompiuti e 8 trascrizioni. Suggerite dalle visite al padiglione indiano, in occasione dell’Esposizione coloniale di Parigi del 1932, le Deux danses à Agni Yavishta evocano il dio del fuoco. La prima è costruita su un movimento ostinato di quinte vuote. La seconda, cupa e luttuosa, evoca lo spegnersi delle fiamme attraverso accordi sempre più spessi e soffocanti.
L’opera del romantico Rheinberger rappresenta l’anello di congiunzione tra Mendelssohn e Reger. Il maestro di cappella di Ludwig II a Monaco è tuttavia un musicista originale, che sa unire il rigore compositivo a un’ispirazione spesso felice, come dimostrano molti movimenti delle sue addirittura venti Sonate per organo, e in particolare il primo e l’ultimo tempo della Sonata n. 8, brano risalente al 1882, proposti dal programma.
Allievo del compositore olandese Jakob van Domselaer, autore legato alla tonalità tradizionale, Simeon ten Holt si perfezionò in Francia con Arthur Honegger e Darius Milhaud. Lo stile maturo del compositore è certamente vicino al minimalismo e il pianoforte è il suo mezzo di espressione privilegiato. Canto ostinato è la sua composizione più nota. Concepita per un numero indefinito di tastiere; la sua lunghezza è variabile, considerata la sua struttura a blocchi, variamente accostabili, e il carattere improvvisativo; il linguaggio oscilla incessantemente tra tonalità, cromatismo e atonalità.
Conclude il concerto la Passacaglia in do minore di Johann Sebastian Bach, monumento del repertorio organistico di ogni tempo, scritta forse negli ultimi anni della permanenza a Weimar (1708-1717), e costruita su un caratteristico tema in ritmo anacrusico (in levare).
(dalle note di sala di Giulio Mercati).


Teatro Franco Parenti, Sala AcomeA / ore 21
DANZE, RICERCARI E CANZONETTE

Quartetto di Liuti da Milano Emilio Bezzi, Renato Cadel, Elisa e Giulia La Marca, liuti
anonimi del secolo XVI La paduana del re Il bianco fiore Gagliarda “La traditora”
Giulio Segni da Modena (1498-1561) Due Ricercari
Francesco da Milano (1497-1543) La Spagna a due liuti, Due Fantasie, Canone a due liuti
Jacob Arcadelt Il bianco e dolce cigno
Giovanni Giacomo Gastoldi Lo sdegnato Il ballerino Vita de la mia vita
Gioseffo Guami La lucchesina
Luca Marenzio Occhi dolci e soavi
Giovanni Pierluigi da Palestrina Ahi, che quest’occhi miei
Geronimo Parabosco Ricercare su “Da pacem Domine”
Giorgio Mainerio Ballo francese
Posto unico numerato € 3

Gran parte della musica strumentale rinascimentale deriva da modelli vocali ed è in questo quadro che dobbiamo inserire il concerto del Quartetto di liuti di Milano. Vi si trova qualche brano di pura musica da ballo, certo: il ballo francese, la paduana (o pavana) del Re e soprattutto La Spagna, la cui melodia produsse centinaia di composizioni in poco più di un secolo. Anche le composizioni di Gastoldi si chiamano, formalmente, balletti. Ciascun balletto ha però un titolo che indica un soggetto testuale. Si tratta infatti di composizioni vocali brevi e brillanti, anche scherzose e allusive nel testo, ma soprattutto ricche e variegate nell’accentazione e quindi adatte ad essere eseguite sia da voci sia da strumenti. L’enorme diffusione europea dei balletti di Gastoldi ci fa comprendere l’efficacia della formula.
 
Decisamente di derivazione vocale sono invece le trascrizioni strumentali (o “intavolature”, come si diceva all’epoca) dei madrigali di Arcadelt, Marenzio e Palestrina. Non dobbiamo però pensare, semplicisticamente, che si tratti di togliere le parole a un brano per suonarne soltanto le note. L’esecuzione strumentale ha le sue leggi (o meglio, le sue prassi): abbellimenti, fioriture, tirate di collegamento, piccole variazioni. Insomma, l’impalcatura è quella di un brano vocale, ma è come se ne sentissimo una “traduzione” in lingua strumentale. Ciò è ancor più vero per i ricercari e le fantasie, che si collegano e ispirano a modelli vocali particolarmente “alti” ma si avviano a trovare un ruolo tutto speciale all’espressione strumentale. «Ricercare – scriverà Praetorius nel 1619 – è lo stesso che investigare, cercare, indagare con cura e attenzione», vale a dire esplorare un inciso musicale in tutte le sue possibilità – il che è già molto diverso dal musicare un testo. Nella Fantasia il procedimento è meno rigoroso e più estemporaneo, mira a sorprendere e a tenere desta l’attenzione.
La musica strumentale, qui, insomma è già bella e robusta, ma ancora in fasce. Nel giro di due o tre secoli diventerà, come sappiamo, un gigante.
(dalle note di sala di Pietro Mussino).

PROGRAMMA
Anonimo del secolo XVI
La paduana del re
 
Giulio Segni da Modena (1498-1561)
Ricercare
 
Francesco da Milano (1497-1543)
La Spagna a due liuti
 
Jacob Arcadelt (1507-1568)
Il bianco e dolce cigno
 
Giovanni Giacomo Gastoldi (ca. 1554-1609)
Lo sdegnato
 
Gioseffo Guami (1542-1611)
La lucchesina
 
Francesco da Milano
Fantasia
 
Luca Marenzio (ca. 1553-1599)
Occhi dolci e soavi
 
Anonimo del secolo XVI
Gagliarda “La traditora”
Il bianco fiore
 
Francesco da Milano
Fantasia
 
Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594)
Ahi che quest’occhi miei
 
Giovanni Giacomo Gastoldi
Il ballerino
 
Giulio Segni da Modena
Ricercare
 
Giovanni Giacomo Gastoldi
Vita de la mia vita
 
Francesco da Milano
Canone a due liuti
 
Girolamo Parabosco (1524-1557)
Ricercare su “Da pacem Domine”
 
Giorgio Mainerio (ca.1535-1582)
Ballo francese

 

Teatro Dal Verme / ore 21
PASSIONI

Orchestra del Teatro Regio di Torino Vasily Petrenko, direttore Elisso Virsaladze, pianoforte Pëtr Il’ič Čajkovskij / Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra op. 23 Sergej Prokof’ev / Suite da Romeo e Giulietta
Posto unico numerato € 20

È dedicato a due grandi della composizione russa, il programma di una serata in cui, oltre che esaltare l’intensa passione che sgorga dalla matita geniale di Čajkovskij e Prokof’ev, si potrà godere di due pagine paradigmatiche nel mostrare come un’arte sperimentale può nel tempo diventare anche un’arte popolare. Non c’è alcun dubbio che, insieme alla Sesta Sinfonia, la “Patetica”, e allo Schiaccianoci, il Concerto per pianoforte e orchestra di di Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840-1893), destinato a diventare l’icona romantica del concerto per pianoforte e orchestra, sia l’opera più platealmente popolare (nel senso di conosciuta, citata, saccheggiata, canticchiata, eseguita) del compositore russo. Chiunque se ne è appropriato senza troppi complimenti: Orson Wells, i Monty Pyton, i Giochi Olimpici di Mosca, David Letterman, le Merrie Melodies, Liberace, spot pubblicitari.
Eppure, dal punto di vista formale il primo dei tre concerti per pianoforte e orchestra di Čajkovskij – composto tra il novembre del 1874 e il febbraio del 1875 – è basato su una scrittura radicalmente “sperimentale”. L’incipit del movimento iniziale, per esempio, dove il tema lirico e maestoso cantato dall’orchestra, a voce piena, dopo sei misure di introduzione e dopo la prima sequenza accordale del pianoforte, è esposto in una tonalità anomala: non in si bemolle minore – la tonalità d’impianto dell’intero concerto – ma in re bemolle maggiore, la relativa maggiore. Un dettaglio che provoca un forte contrasto espressivo, come del resto tutte le brusche modulazioni minore-maggiore, non preparate e non prevedibili: una sorta di effetto dissociativo per cui il tema acquista una sua straniata autonomia e indipendenza rispetto al proprio contesto. E ancora, l’anomalia più vistosa: il rapporto tra il solista e l’orchestra: che con un magistrale colpo di scena viene capovolto. Durante l’esposizione del tema, infatti, il pianoforte, scandendo gli accordi basati sui gradi fondamentali della tonalità, si limita a svolgere una mera funzione di accompagnamento. Solo due esempi, fra molti altri, che mostrano un’architettura e una scrittura di carattere radicalmente sperimentale che non hanno affatto impedito a questo concerto e al suo indimenticabile incipit di acquistare una perdurante popolarità. “Bizzarrie”, che fecero infuriare Nikolaj Rubinstein, il maestro di Čajkovskij, che rimprovera il povero Pëtr – nientemeno – di aver scritto un concerto “volgare, senza valore ed ineseguibile”.
 
Simile destino ha avuto anche la seconda pagina in programma, un’antologia tratta da due delle tre Suite da concerto che Sergej Prokof’ev (1891-1953) ha ricavato dal suo balletto Romeo e Giulietta. Anche in questo caso la genesi è tormentata e piena di imprevisti. Stimolato e incoraggiato dal Congresso degli scrittori sovietici del 1934, il compositore – tornato in Unione Sovietica da appena due anni – progetta un balletto shakespeariano per il Teatro Mariinskij di Leningrado. L’assassinio di Sergej Kirov – fedelissimo di Stalin ucciso probabilmente da un militante della sinistra antistalinista – manda all’aria il progetto che viene però accolto l’anno successivo, il 1935, dal Bol’šoj di Mosca, a cui si oppongono però i rappresentanti dei danzatori che trovano la partitura “ineseguibile” a causa – dicono – dei ritmi irregolari e sincopati, dei metri mutevoli, dei tempi troppo veloci. Prokof’ev, scoraggiato, decide di trarre dalla partitura due Suite, di 7 brani ciascuna, finalmente eseguite in pubblico: la prima a Mosca nel 1936, la seconda a Leningrado nell’anno successivo. Un trionfo.
Il motivo in fondo è semplice: i tratti “sperimentali” della scrittura coreografica di Prokof’ev, ossia le poliritmie rifiutate dai danzatori del Bol’šoj, ma anche i tratti politonali, i timbri non convenzionali, il taglio irregolare dei temi, non sono pure alchimie da laboratorio, sperimentazioni fine a sé stesse, bensì idee sonore innovative che disegnano con forza e incisività il carattere dei singoli personaggi. Come in un’opera senza canto in cui a cantare sono i timbri, i ritmi, i colori. Non a caso Sergej Ejzenštejn, il regista di Ottobre e di Alekandr Nevskij, sostiene che la musica di Romeo e Giulietta è una musica “plastica” che contiene “una fermentazione dinamica irresistibile”. Il suono, insomma, trasformato in movimento: un’invenzione radicale divenuta nel tempo irresistibilmente “popolare”.
(dalle note di sala di Guido Barbieri).


PROGRAMMA
 
Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840-1893)
Concerto n. 1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23
Allegro non troppo e molto maestoso
Andantino semplice
Allegro con fuoco
 
Sergej Prokof'ev (1891-1953)
Da Romeo e Giulietta:
Suite n. 2 op. 64b
Montecchi e Capuleti
La giovane Giulietta
Frate Lorenzo
Danza
Romeo e Giulietta prima della separazione
Danza delle fanciulle con i gigli
Romeo sulla tomba di Giulietta
 
dalla Suite n. 1 op. 64a
Scena
Maschere
Morte di Tebaldo

 

Sabato 15 Settembre

Teatro alla Scala / ore 21
ESPLOSIONI

Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala Vladimir Fedoseyev, direttore / Miriam Prandi, violoncello
Dmitrij Šostakovič Suite di balletto n. 1 op. 84
Pëtr Il'ič Čajkovskij Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33
Sergej Rachmaninov Danze sinfoniche op. 45
Posto unico numerato € 20

L’Orchestra dell’Accademia della Scala diretta da Vladimir Fedoseyev, direttore artistico e direttore principale della Radio Symphony Orchestra di Mosca dal 1976 e direttore ospite delle maggiori compagini internazionali, tra cui la Tokyo Philarmonic Orchestra e l’orchestra del Teatro d’opera di Zurigo e la giovane polistrumentista (è anche pianista) Miriam Prandi col suo settecentesco violoncello David Tecchler. Questi i protagonisti di un programma che comincia con la prima Suite di balletto op.84 di Dmitri Šostakovič.
Il lavoro, assemblato in questa forma nel 1949 dall’amico Lev Atomyan, attinge dalla limitata produzione di balletti (tre soli) scritti da Šostakovič negli anni ‘20 e ’30 del Novecento, secondo l’evidente intento di offrire musiche di scena e colonne sonore “vicine al popolo”, e ad altre pagine di opere che Šostakovič aveva scritto anni o decenni prima.
Le parti tratte da Il Limpido ruscello, ambientato in una fattoria gestita dal popolo e Il bullone (del 1931), tra cui un faceto Waltz-Humoresque, sono state assemblate, tra altri brani riconoscibili, al suggestivo Valzer lirico già composto da Šostakovič per la sua prima Suite per orchestra jazz del 1934.
Se non è lo Šostakovič drammatico, enigmatico e potente delle sinfonie, questa musica trasmette un’energia colorata e apparentemente sempre ilare, dietro alla quale si cela un sogghigno caustico nel riproporre pagine un tempo avversate dal regime sovietico imperante, contando forse sulla memoria breve dei suoi censori.
 
Gli appassionati del Lago dei cigni sanno come la più cantabile melodia di Čajkovskij possa diventare il perfetto sostegno per la danza, ed ascoltando alcune delle Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33 è facile chiudere gli occhi e immaginarsi un intenso pas de deux; accade per esempio nella settima, in cui il tema squisitamente classico ed elegante che sorregge la composizione si espande in un’eloquenza appassionata e vagamente malinconica, sorretto da una trama orchestrale delicata come una trina.
Composte nel dicembre del 1876, le Variazioni furono dedicate all’eccellente virtuoso del violoncello, Wilhelm Fitzenhagen, che le rimaneggiò – e pubblico in tale versione, asservita ai suoi propositi virtuosistici - senza molto riguardo alle intenzioni originarie. Per MITO 2018 sono presentate nella loro versione originale.

Aveva quattro anni Sergej Rachmaninov quando Čajkovskij compose le sue Variazioni. Ne aveva dunque quarantaquattro, ed era un compositore noto e rispettato in patria e fuori, allo scoppio della Rivoluzione che lo indusse a lasciare la Russia e intraprendere, come migliore occasione per mantenere sé stesso e la sua famiglia, la carriera concertistica. Già dagli anni Venti figurava fra i più acclamati pianisti della scena americana, ma le sporadiche nuove composizioni che presentò furono accolte per lo più con indifferenza e talvolta con dichiarato dissenso, la sua fama d’autore restando legata alle musiche scritte in Russia prima del 1917, fra cui i primi tre celebri concerti per pianoforte.
Eppure Rachmaninov non rinunciò a tornare periodicamente alla scrittura e nel 1941 furono eseguite per la prima volta, a Philadelphia con la direzione di Eugène Ormandy, le Danze sinfoniche che col numero 45 chiudono il catalogo delle sue opere e costituiscono una sorta di testamento spirituale: qua e là, Rachmaninov lascia affiorare rimandi diretti ad altre sue pagine, dalla celebre Serenata, tanto spesso suonata come bis, alla seconda suite per due pianoforti, alla seconda e alla terza sinfonia. Nell’ultima delle tre danze interviene sul finale anche il tema del Dies Irae gregoriano, un tema che percorre come un filo rosso molte altre pagine di Rachmaninov e che qui sembra offrirsi come una chiave di lettura a ritroso dell’intera composizione: permeata, nonostante la variopinta tavolozza orchestrale e l’impeto ritmico che irrompe all’inizio della prima danza, con una serie di accordi spavaldi e sferzanti, di una nostalgia pacata e riflessiva che è forse il vero elemento di fascino della composizione.
 (dalle note di sala di Gaia Varon).
 
PROGRAMMA

Dmitrij Šostakovič
(1906-1975)
 
Suite di balletto n. 1 op. 84
    Valzer Lirico (dalla Suite per orchestra jazz)
    Danza (Pizzicato) (da Il limpido ruscello)
    Romanza (da Il limpido ruscello)
    Polka (da Il limpido ruscello)
    Waltz-Humoresque (da Il bullone)
    Galop (da Il limpido ruscello)
 
Petr Il’ič Čajkovskij
(1840-1893)
 
Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33
    Thema. Moderato assai quasi Andante - Moderato semplice
    Var. I. Tempo del Thema
    Var. II. Tempo del Thema
    Var. III. Andante
    Var. IV. Allegro vivo
    Var. V. Andante grazioso
    Var. VI. Allegro moderato
    Var. VII. Andante sostenuto
    Var. VIII e Coda. Allegro vivo
 
Sergej Rachmaninov
(1873-1943)
 
Danze sinfoniche op. 45
    Non allegro
    Andante con moto (tempo di Valse)
    Lento assai - Allegro vivace

 

Domenica 16 Settembre

Chiesa Santa Maria del Carmine / ore 11:30
LA MESSA DEL GRANDUCA

Collegium vocale et instrumentale Nova Ars Cantandi Andrea Arrivabene, altus / Gianluca Ferrarini, tenor / Walter Testolin, bassus / Ivana Valotti, organo / Giovanni Acciai, maestro di concerto
Celebra padre René Manenti

LOCO INTROITUS
Tarquinio Merula Intonazione cromatica del nono tono, per organo Kyrie * - Gloria *
LOCO GRADALIS
Tarquinio Merula Capriccio, per organo
LOCO ALLELUJA
Giovanni Legrenzi Obstupescite caelites ** PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA
Tarquinio Merula Credo *
LOCO OFFERTORII
Giovanni Legrenzi Adoramus te, Christe ** PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA
Tarquinio Merula Sanctus *
LOCO COMMUNIO
Tarquinio Merula Canzone I, per organo
Giovanni Legrenzi Venite omnes ** PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA, Ite missa est
* dall'Arpa Davidica. Salmi e Messa concertati, opus XVI, 1640
** da Harmonia di Affetti devoti, opus III, 1655
Ingresso gratuito

Il repertorio sacro rinascimentale e barocco trova sempre modo di sorprendere, rivelando capolavori cancellati dal tempo come la Messa del Granduca di Tarquinio Merula (1595-1665) in esclusiva milanese. Basata su un ritmo di danza (l’Aria di Ruggero) l’opera sarà arricchita da tre mottetti di Giovanni Legrenzi, suo allievo, sinora inediti e, come la Messa, mai eseguiti in epoca moderna.

Nel processo di formazione del linguaggio musicale del primo Seicento in terra padana, Tarquinio Merula (1595-1665) e Giovanni Legrenzi (1626-1690) svolgono un ruolo attivo e determinante. In un’epoca di forti tensioni e di radicali mutamenti, la cifra stilistica della vasta quanto sottovalutata opera vocale di Tarquinio Merula, un unitario corpus di sillogi devozionali, è costituita dall’appartenenza allo stylus modernus, uno stile che, partendo dalla lezione monteverdiana della Selva morale e spirituale (1640-41) s’impone per la sua originalità, la sua autonomia e la sua coerenza interna.
A vent’anni, la vita del bussetano Merula - già apprezzato per il suo estro creativo e la sua perizia tecnica alla tastiera - si tinge dell’aura dello “scandalo” (molti viaggi, improvvisi licenziamenti, rapidi trasferimenti, eventi inattesi, rovesci finanziari) ma produce allo stesso momento capolavori musicali.
La circostanza della prima esecuzione in epoca moderna de La Messa del Granduca tratta dalla raccolta Arpa davidica. Salmi e messa concertati, opera sedicesima (Venezia, 1640) offre l’occasione per approfondire gli aspetti stilistici di questo estroso compositore e compiere una più attenta riflessione critica sull’epoca storica nella quale il Maestro visse e operò. L’impaginazione del programma è stata infatti effettuata con l’intento di riproporre la celebrazione di una messa solenne cantata, alternando le parti dell’Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei) qui rappresentate dalla Messa del Granduca, con brani organistici di Tarquinio Merula e brani vocali di Giovanni Legrenzi, tratti dalla raccolta Harmonia di affetti devoti, opera III (Venezia, Alessandro Vincenti, 1655), per le cinque parti del Proprium.
La Messa del Granduca è realizzata sopra un tema di basso ostinato, afferente alla cosiddetta «Aria del gran Duca» (uno schema melodico-armonico di sette battute, ripetuto trentatré volte): una struttura articolatissima ma perfetta, costruita in maniera del tutto naturale, si tratti del più piccolo cesello come del più complesso artificio contrappuntistico. L’organico vocale è affidato alle tre voci maschili dell’Altus, del Tenor e del Bassus, con il sostegno del continuo all’organo; tale organico, esteso anche alla parte del Cantus, è peculiare della struttura compositiva prediletta da Merula sul versante della musica sacra.
 
Di origini bergamasche, Giovanni Legrenzi esordiva nell’arte musicale nel 1654, come organista nella basilica di Santa Maria Maggiore. La pubblicazione dell’Harmonia di affetti devoti, op. III (Venezia, 1655), dedicata ad Alessandro Farnese e dalla quale sono stati tratti i tre mottetti Ecce fideles, per Canto, Tenore, Basso e Organo; Occurite caelestes e Salve, regina, per Alto, Tenore e Organo, che ascolteremo nel corso della Messa, risale a questo periodo.
Personalità artistica di assoluto valore, Legrenzi interpreta al meglio i caratteri e gli atteggiamenti stilistici del linguaggio musicale tardo barocco. La sua copiosa produzione sacra (oltre dieci titoli dati alle stampe fra il 1654 e il 1692, oltre alla produzione dispersa), ancor oggi in attesa di un pieno recupero musicale e musicologico, si distingue per la singolare immediatezza discorsiva e per una facile, generosa cantabilità espressiva. Non a caso, Bach e Händel utilizzarono a più riprese temi tratti dalle sue opere, a conferma della qualità e del valore del magistero compositivo legrenziano.
Come lo era stato per Claudio Monteverdi, così anche per Tarquinio Merula e per Giovanni Legrenzi, rendere il significato della parola servendosi della metafora musicale diventa un impegno costante. Quanto più osserviamo come essi affrontano il rapporto che la parola deve assumere al contatto con il suono, tanto più ci convinciamo che la loro arte è recitazione pura, declamazione oratoriale perfetta, ricercata, sperimentale, ricca di sofisticate invenzioni, fuori da schemi prevedibili. I brani scelti a corredo musicale della liturgia della Messa del Granduca ne sono vivida e persuasiva testimonianza.
(dalle note di sala di Giovanni Acciai).

PROGRAMMA
 
LOCO INTROITUS
Tarquinio Merula (1595-1665)
Intonazione cromatica del nono tono, per organo
 
KYRIE
Tarquinio Merula
Kyrie
 
GLORIA
Tarquinio Merula
Gloria
 
LOCO GRADALIS
Tarquinio Merula
Capriccio, per organo
 
LOCO ALLELUJA
Giovanni Legrenzi (1626-1690)
Occurite caelestes, per altus, tenor e organo
PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA
 
CREDO
Tarquinio Merula
Credo
 
LOCO OFFERTORII
Giovanni Legrenzi
Ecce fideles, per cantus, tenor, bassus e organo
PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA
 
SANCTUS
Tarquinio Merula
Sanctus
 
AGNUS DEI
Tarquinio Merula
Agnus Dei
 
LOCO COMMUNIO
Tarquinio Merula
Canzone I, per organo
 
ITE, MISSA EST
Giovanni Legrenzi
Salve, regina, per altus, tenor, bassus e organo
PRIMA ESECUZIONE IN EPOCA MODERNA

 

Chiesa di San Marco / ore 16
MAGNIFICAT

Academia Montis Regalis: Alessandro De Marchi, direttore / Coro Maghini Claudio Chiavazza, maestro del coro / Hanna Bayodi-Hirt, soprano / Alessandro Giangrande, controtenore / Massimo Lombardi, tenore / Antonio Abete, basso
Musiche di Antonio Caldara Dixit Dominus, Laudate Pueri, Laudate Dominum, Confitebor, Magnificat
Ingresso gratuito

Fra i nomi dei musicisti che con le loro composizioni hanno illuminato l’epoca barocca, quello di Antonio Caldara è tutt’oggi, pressoché inspiegabilmente, assente. Stiamo però parlando di un musicista per secoli stimato nel vecchio continente da alcune delle figure più rappresentative in campo musicale. Georg Philipp Telemann prese Caldara come modello per la musica sacra e per la musica strumentale. Del Magnificat di Caldara possedeva una copia Johann Sebastian Bach. Charles Avison annovera «il sublime Caldara» fra coloro «le cui opere [...] hanno superato l’infallibile prova del tempo». Charles Burney lo considerava «uno dei maggiori maestri che l’Italia potesse vantare sia per la musica di chiesa sia per la musica per il teatro» e riteneva che «prima di Händel non fosse esistito compositore di oratori i cui cori creassero così grandi aspettative, ad eccezione di Caldara». Franz Joseph Haydn, che in gioventù in qualità di cantore del Coro del Duomo di Santo Stefano a Vienna si era misurato con buona parte della produzione sacra di Caldara, possedeva la copia di due sue messe. Infine Caldara era ben noto, fra gli altri, a Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, Johannes Brahms.
 
La vasta produzione di Caldara comprende più di 70 opere, tra musica strumentale e vocale, sacra e profana. In essa sintetizza mirabilmente le esperienze maturate, a partire dall’infanzia in laguna (nello stesso ambiente di Vivaldi, che godette di un destino ben diverso) alla maturità, dalla tecnica e dalla scrittura vocale apprese a San Marco alla scuola di Legrenzi alla passione e all’espressione filtrate attraverso le opere di Alessandro Scarlatti, dal rigore strumentale di Corelli allo slancio e all’estro dello stile di Händel.
 
Fra le sue composizioni sacre, le preghiere dell’Ufficio previste per la celebrazione delle feste mariane trovano collocazione nell’Officium Beatissimae Mariae Virginis In secundis Vesperis, in cui all’esecuzione delle antifone in canto gregoriano si alterna l’esecuzione dei salmi, dell’inno Ave maris stella e del cantico del Magnificat, culmine dell’intera composizione.
(dalle note di sala di Andrea Banaudi).

 

Teatro degli Arcimboldi / ore 21
APOTEOSI

Filarmonica della Scala Myung-Whun Chung, direttore / Seong-Jin Cho, pianoforte
Ludwig van Beethoven Concerto n. 3 per pianoforte orchestra op. 37
Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92
Posti numerati € 25, € 30

Tra poco più di un anno, Beethoven avrebbe compiuto 250 anni, eppure la sua musica non potrebbe essere suonare più giovane e moderna. Quando definì la sua Settima Sinfonia come «l’apoteosi della danza», Wagner voleva sottolineare la pulsazione inarrestabile di questa sinfonia. Ma in realtà tutta la musica di Beethoven rivela un’ossatura dove – più dei temi, delle armonie, della strumentazione – predomina il ritmo. E così anche il Terzo concerto, per pianoforte e orchestra in do minore.
Fu eseguito in pubblico, con l’autore alla tastiera e, sostanzialmente, a memoria, per la prima volta nell’aprile del 1803 al Theater an der Wien. In senso stretto, il tempo di mettere la musica nero su bianco non era mancato: avendo anche notevoli doti di improvvisatore, Beethoven si lasciava un margine per variarla nel momento vivo del confronto sonoro con l’orchestra. Questo era in effetti per lui il nodo fondamentale della composizione e della forma del concerto in generale, in quel periodo: l’esigenza di allontanarsi da una costruzione che ne facesse principalmente l’occasione per esibire il virtuosismo del solista, riallacciandosi alla perfezione nella relazione fra pianoforte e orchestra, eredità mozartiana.
 
Alle spalle, Beethoven aveva un concerto giovanile. Quando a ventidue anni, nel 1792, si stabilì a Vienna, per ricevere, secondo le parole del suo mecenate di Bonn, Conte Waldstein, «l’eredità di Mozart dalle mani di Haydn», ne scrisse nel giro di pochi anni altri due, con i quali riscosse notevole successo come pianista- compositore anche grazie al virtuosismo brillante e innovativo della parte tastieristica, ma che ben presto sconfessò («non fra le mie opere migliori»). Nel 1800, stava già lavorando al do minore che noi conosciamo come Terzo e dove il confronto costruttivo con Mozart è esplicito, in particolare nel rimando al KV 491: troppe le assonanze per essere casuali («Cramer, Cramer, noi non sapremo mai fare altrettanto!» proferì il compositore, testimonia un famoso aneddoto).
Nel suo do minore tuttavia Beethoven non si limita a fare altrettanto, ma trascende il modello; nei dettagli, come l’inatteso colpo di timpani al termine della cadenza, e nella struttura, per esempio optando per un mi maggiore per il movimento centrale, una tonalità che al suo apparire sembra sfrontatamente distante, e ancor più apponendovi Largo come indicazione, là dove Mozart avrebbe messo Andante o Adagio: deliberatamente calmo, splendidamente espansivo, è forse il primo esempio di un movimento lento completamente nuovo. Diventerà un modello per i compositori di tutto il secolo a seguire, ma forse nessuno saprà concepire qualcosa di romantico quanto il dialogo di flauto e fagotto sostenuto dal pizzicato degli archi e da sommessi arpeggi del pianoforte, al centro del movimento.
 
Ora, della metà degli anni Dieci, Beethoven era ormai considerato fra i massimi compositori viventi, ma ciò non implicava che la sua musica fosse la più popolare o eseguita; al contrario, molte sue opere che per noi oggi sono indiscutibilmente grandi furono accolte con un misto di ammirazione, sconcerto e perplessità. Altre riscossero invece un successo immediato, come La vittoria di Wellington, un brano d’occasione, pieno di rulli di timpani e squilli di trombe, che fu eseguito a Vienna nel dicembre del 1813 in un concerto benefico a favore dei soldati austriaci feriti alcuni mesi prima in una battaglia contro i francesi. In quello stesso concerto fu presentata al pubblico per la prima volta la Settima Sinfonia, applaudita fino all’estasi, secondo la cronaca di un recensore del tempo, e il secondo movimento, l’Allegretto, fu addirittura bissato, come poi continuò ad accadere anche in molte successive esecuzioni. Indubbiamente la mestizia che pervade il movimento (non di per sé funebre come talvolta lo si esegue) andava a toccare corde sensibili nel pubblico della serata; c’è tuttavia nella Sinfonia un’organicità della costruzione complessiva che chissà se fu colta quella sera, ma nel tempo è stata senz’altro riconosciuta e variamente commentata. Molti hanno rintracciato il ritmo, e più precisamente ritmi di danza, come principio informatore della Settima, ma la descrizione poetica che ne diede Wagner ne L’Opera d’arte dell’avvenire è senz’altro la più celebre: «Questa sinfonia è l’apoteosi della danza in se stessa: è la danza nella sua essenza superiore, l’azione felice dei movimenti del corpo incarnati nella musica. Melodia e armonia si mescolano nei passi nervosi del ritmo come veri esseri umani che, ora con membra erculee e flessibili, ora con dolce ed estatica docilità, ci danzano, quasi sotto gli occhi, una ridda svelta e voluttuosa, una ridda per la quale la melodia immortale risuona qua e là, ora ardita, ora severa, ora abbandonata, ora sensuale, ora urlante di gioia, fino al momento in cui, in un supremo gorgo di piacere, un bacio di gioia suggella l’abbraccio finale».
(dalle note di sala di Gaia Varon).

 

Martedì 18 Settembre

Conservatorio “G. Verdi” di Milano, Sala Puccini / ore 21
BAROCCO GITANO

Il Suonar Parlante Orchestra: Graciela Gibelli, voce / Marcel Comendant, cymbalon / Stanislav Palúch, Alessandro Tampieri, Nicolaš Penel, violini / Laurent Galliano, viola / Marco Testori, violoncello / Riccardo Coelati, contrabbasso / Shalev Ad-El, clavicembalo / Vittorio Ghielmi, viola da gamba e direttore
Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Georg Philipp Telemann, Johann Philipp Kirnberger, Antonio Vivaldi, János Bihari, Jiří Antonín Benda, Stano Palúch, Vittorio Ghielmi, Graciela Gibelli
Nel Settecento, ensemble gitani erano molto attivi lungo i confini orientali dell’Europa. Dopo aver recuperato rare fonti manoscritte, tra Ungheria, Polonia e Transilvania, con la complicità di musicisti legati alla cultura nomade gli interpreti di questo concerto le propongono in un gioco di ricreazione che investe anche pagine di grande repertorio, presentate con una pronuncia inedita.
Posto unico numerato € 15

 

AVVERTENZA
Verificare sempre sedi orari e costi sul sito ufficiale >>>
http://www.mitosettembremusica.it/programma/calendario/milano/2018

MITO A MILANO - INFORMAZIONI TEL. 02.87905272
biglietteria:
per informazioni e sconti > biglietteriamito@ipomeriggi.it
per l’acquisto > biglietteria del Teatro Dal Verme, dal martedì al sabato, dalle 11 alle 19