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Svelato il "segreto" di chi vince il Rina Sala Gallo di Monza



L'Eclettico: infallibile portafortuna

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SVELATO IL SEGRETO DI CHI VINCE IL RINA SALA GALLO DI MONZA

L'Eclettico: infallibile portafortuna


Ormai ne siamo certi: le Giurie del Concorso pianistico Rina Sala Gallo di Monza assegnano solo il secondo e terzo posto ed i premi di contorno… perché a determinare il vincitore assoluto siamo proprio noi de L’Eclettico!
Come questo accada a dire il vero ci è oscuro, però è un fatto incontestabile che il primo concorrente che ascoltiamo è poi quello che riceve il primo premio. È andata così, infatti, in entrambe le ultime due edizioni.

IL RINA SALA GALLO DI MONZA: APPUNTAMENTO BIENNALE DA NON PERDERE

Dobbiamo ammettere che la statistica per ora è limitata: pur risiedendo da tre decenni non lontani da Monza, solo da due anni abbiamo scoperto l’esistenza di questo concorso pianistico internazionale che, con cadenza biennale, porta nel capoluogo della Brianza giovani eccellenti pianisti (quest’anno in numero di 26) provenienti da ogni parte del mondo.
Rammaricandoci dunque di essercene perse 13 edizioni, cerchiamo di rimediare seguendone più prove che possiamo, a partire dalle prime selezioni che davvero meriterebbero un pubblico ben più folto sulle poltroncine del Teatro Manzoni ad ascoltare questi fenomeni.

Già, perché si tratta di veri e propri concerti di altissimo livello, offerti gratuitamente al pubblico degli appassionati affezionati e di chiunque voglia “farsi del bene”.
Fossimo un insegnante di musica di Monza, di strumento o di educazione musicale, per una settimana daremmo come compito ai nostri allievi di passare i pomeriggi ad ascoltare questi loro poco più che coetanei.
Musicisti ai quali, come ha affermato durante la premiazione il presidente della Giuria, Enzo Restagno, “Tutti dobbiamo riconoscenza per la loro dedizione ad una pratica che dà sì, soddisfazione, ma che richiede, oltre naturalmente al talento, anche costanza di studio e capacità di sacrificio nella continua tensione a migliorarsi”. Qualità “che la società attuale” ha continuato Restagno, “fatica a riconoscere”.
Lo dimostrano il Manzoni non pieno quanto dovrebbe essere ed, al contrario, i milioni di persone davanti alla televisione a seguire altro genere di competizioni che, per non voler essere troppo espliciti, possiamo limitarci a definire di infima qualità. Viceversa è invece ottima l'iniziativa di portare alcuni dei concorrenti ad incontrare gli studenti del Liceo Classico Zucchi.

L’ECLETTICO PORTA FORTUNA

Ma torniamo sul nostro personale ruolo di portafortuna. Nel 2014, al nostro ingresso in teatro, ci siamo trovati nel foyer assieme a Fiorenzo Pascalucci, poi vincitore della competizione, “buttato sul palco” per la sua prima prova mentre noi eravamo invitati ad accomodarci in sala per ascoltarlo (leggi di più >>> Al Gran Premio di Monza del Pianoforte).
Ed anche quest’anno è andata allo stesso modo. Purtroppo il “nostro” Sala Gallo 2016 è cominciato soltanto con gli ultimi due dei sei concorrenti ammessi alla terza prova, il primo dei quali è stato il russo Alexander Panfilov.
Non ci ha entusiasmato la sua pur nitida esecuzione della Partita n. 1 BWV 825 di Bach ma ci è piaciuto come ha suonato il Libro 1 di Iberia (non per nulla dal programma di sala risulta recentemente premiato al Premio Jaen - comune del’Andalusia - per la migliore esecuzione della musica spagnola, oltre che primo premio assoluto) e la sua interpretazione percussiva della Sonata n. 7 Op. 83 di Prokofiev si è fatta preferire nel confronto con lo stesso brano suonato dal diciottenne serbo Alexandar Raos, “concittadino” dell’imperatore Costantino col quale condivide i natali nella cittadina di Nis.
Così non ci ha sorpresi ritrovarlo in finale assieme a Maddalena Giacopuzzi, che ricordavamo già fra i concorrenti del 2014 e questa volta arrivata nella terna del podio, e Federico Nicoletta, il maggiore per età fra tutti gli iscritti alla competizione e presentatosi con un curriculum importante.

LA FINALE

Apprezzando la novità dell’organizzazione che ha previsto la premiazione contestuale all’ultima prova, il concerto con l’orchestra - ancora La Verdi diretta da Carlo Tenant - siamo stati contenti che quest'anno i tre avessero scelto brani tutti diversi fra loro.
Prima finalista a salire sul palco, in ordine rigorosamente alfabetico, Maddalena Giacopuzzi ha proposto il Concerto n. 1 in si bemolle minore Op. 23 di Tchaikovskij.
Dopo di lei Federico Nicoletta ha affrontato il Concerto in la minore Op. 54 di Robert Schumann e, per finire, Alexander Panfilov di Beethoven ha suonato il Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore Op. 73.

DIGRESSIONE MANZONIANA
Questo concerto è conosciuto anche col titolo di "Imperatore", che tuttavia non risulta attribuito dal suo autore per la volontà di dedicarlo a Napoleone come era stato, ma solo in un primo momento, per la Sinfonia Eroica del 1802-04.
Sembra invece che la denominazione sia stata proposta, peraltro con successo, dal pianista, editore e compositore Johann Baptist Cramer mettendolo in relazione con l’occupazione di Vienna da parte delle truppe imperiali napoleoniche negli anni in cui veniva composto: fra il 1809 ed il 1810.

L'ARTE PUÒ ESSERE UNA GARA?

A questo punto via alle votazioni: della giuria tecnica, della giuria dei critici e del pubblico, per l’assegnazione di una borsa di studio.
E qui, mentre gli addetti ai lavori facevano ciascuno il proprio, è stato, come sempre, interessante orecchiare il pensiero del pubblico.
Prima considerazione, al cospetto della bravura di tutti i pianisti appena ascoltati, è che i concorsi in musica non dovrebbero proprio esistere.
Non c’è, infatti, niente di più lontano dall’espressione artistica del ridurla ad una gara. E non esiste nulla di più opinabile e personale di una valutazione sull’arte.
Ciononostante è altrettanto vero che la competizione è indissolubilmente connessa alla natura umana e perciò nulla è più naturale di una sfida per vedere, in qualsiasi campo, chi è il più bravo.

DIGRESSIONE seconda: CONCORSI E DUELLI MUSICALI NELLA STORIA
In proposito la storia della musica è ricca di aneddoti, che non sempre si sa quanto riferiscano il vero e quanto l’abbiano “colorito”, riferiti a molti dei suoi nomi più celebri.

Approfondendo il tema scopriamo, per esempio, come lo stesso Johann Sebastian Bach, sebbene già ritenuto uno dei maggiori organisti del tempo, nel 1720 non ottenne la carica di organista della Jacobikirche di Amburgo, vacante per la morte del titolare Heinrich Friese.
Per garantirglielo si arrivò ad “ignorare” il regolamento considerando ancora in lizza Bach nonostante non si fosse presentato all’audizione ufficiale assieme agli altri 7 candidati invitati e ritenendo sufficiente una sua lettera con la quale avesse reclamato per sé il posto.
Ma non fu sufficiente perché carente di un indispensabile requisito: era infatti tradizione della Jacobikirche che, in segno di riconoscenza, il prescelto dovesse effettuare una donazione in denaro alle autorità ecclesiastiche. Di fatto quindi la carica veniva venduta al miglior offerente.
Condizione che Bach non accettò e pertanto gli venne preferito Joachim Heitmann, il quale, il successivo 6 gennaio, versò nelle casse della chiesa un cospicuo obolo di 4.000 marchi. Sulla vicenda Johann Mattheson, nel 1728, scriverà: «Qualche anno fa un grande virtuoso [...] si presentò come organista in una città abbastanza importante. [...] Si presentò anche il figlio di un artigiano benestante, i cui preludi sembrarono più belli grazie ai suoi talleri più che alle sue dita, e così ebbe il posto».

Sempre di Johann Sebastian Bach si racconta che, nel 1717 a Dresda, dopo averlo “battuto” al clavicembalo, indusse Louis Marchand ad un repentino ritorno in Francia per evitare una completa disfatta replicando la prova sull’organo.

Sfuggì alla sfida per due volte invece Händel. Risulta che Bach, sapendolo di passaggio in Germania nel 1729, gli mandò a dire che avrebbe avuto piacere di incontrarlo a Lipsia (dopo averlo mancato per pochi giorni a Dresda dieci anni prima), non già per gareggiare con lui ma soltanto per conoscerlo. La proposta fu respinta adducendo impegni di lavoro e familiari.
C’è tuttavia chi vede nel rifiuto di Händel il suo sospetto che l'invito fosse in realtà un tranello per attirarlo in una competizione. Che non volle accettare. Dall’alto del suo status sociale di compositore e concertista celebre in tutta Europa riteneva forse riduttivo confrontarsi con colui che a tutti gli effetti era pur sempre un “impiegato” di provincia e, più in generale, riteneva improprio per un musicista adulto ed affermato prendere parte a gare fra musicisti.

Non vi si era sottratto, invece, in gioventù. Nel 1708, infatti, il ventitreenne Händel gareggiò all'organo e al clavicembalo contro il suo coetaneo Domenico Scarlatti.
La sfida avvenne a Roma ed i testimoni raccontano che al clavicembalo fu sostanziale pareggio, con preferenza di alcuni per Scarlatti, mentre all’organo l’italiano riconobbe “sportivamente” il successo dell’antagonista.

Finirono in pareggio anche altre due famose sfide al pianoforte.

Nel 1781, a Vienna di passaggio durante una sua tournée europea, Muzio Clementi accettò l'invito dell'Imperatore Giuseppe II a confrontarsi con Mozart. Entrambi suonarono talmente bene che, sebbene fosse stato stabilito che la serata si sarebbe dovuta concludere con la proclamazione di un vincitore, gli invitati dell' imperatore non riuscirono a stabilire chi tra i due fosse il più bravo.

Alcuni decenni più tardi, la mattina del 31 marzo del 1837, nei saloni del palazzo parigino della Principessa Cristina di Belgioioso, un pubblico concerto-sfida avrebbe dovuto chiudere una polemica che, sulle pagine della Gazette Musicale de Paris, aveva visto contrapporsi Berlioz e Fètis, rispettivamente partigiani di Liszt e di Sigismund Thalberg: i due maggiori pianisti della prima metà dell’Ottocento.
Anche in questa circostanza, però, non fu possibile decretare un vinto ed un vincitore. Vennero invece definitivamente ed inequivocabilmente sancite la grandezza e le peculiarità di entrambi gli artisti.

Il nome di Liszt ci permette di ricordare che il concorso fra più virtuosi di uno stesso strumento, nel senso in cui lo intendiamo oggi, ci risulta sia proprio una sua invenzione finalizzata a “lanciare” nella professione i propri allievi. E del resto le cose funzionano ancora così: vincere un concorso importante, che garantisca ingaggi per concerti ed incisioni discografiche, può far decollare una carriera. Cosa che a volte può succedere anche proprio per non averlo vinto, come è capitato a più di un nome molto noto.

Nel suo piccolo anche il Sala Gallo qualche sua contestazione l’ha vissuta nella precedente edizione (leggi di più >>> Quando il giurato dissente la giuria si risente) e qualche spettatore ha notato l’assenza di concorrenti francesi al concorso 2016. Visto poi che un quinto degli ammessi non si è presentato, in alcuni suoi affezionati spettatori comincia a serpeggiare il timore che il Sala Gallo possa perdere di prestigio a livello internazionale; anche per il fatto che due finalisti su tre sono sempre italiani (ma non sappiamo se questi numeri sono confermati anche nelle finali precedenti il 2014 e, del resto, statisticamente non sorprendono se si valuta la nazionalità dell’insieme dei concorrenti).

IL PUBBLICO AL VOTO

Venuto il momento di esprimere considerazioni sulle esecuzioni, c’è chi avrebbe voluto in finale la ventitreenne cinese Peng Lin. Che pure sul palco di sabato in qualche modo c’è arrivata, essendo stata premiata per la migliore interpretazione bachiana: a riprova, se ci fosse bisogno di dimostrarlo, che il linguaggio della musica è universale e che musicisti come Bach non appartengono a nessuna nazione ma sono patrimonio dell’umanità e di chiunque abbia la sensibilità adeguata per accostarsi alla loro musica.
Pur appartenendo ad una cultura tanto lontana da quella europea, secondo noi la sua riproposizione della Suite in Stile Francese BWV 831 ha emozionato il pubblico della finale ben più di quanto non l’abbia fatto Panfilov nella terza prova che abbiamo ascoltato di persona e di cui abbiamo scritto sopra.

Altri hanno considerato che il giudizio sulle qualità di un pianista, specialmente nel caso del concerto con l’orchestra, è molto influenzato dal brano stesso.
Nel caso del Tchaikovskyi della Giacopuzzi la sua notorietà anche al “grande pubblico” avrebbe potuto essere tanto un limite che una spinta.
Lo Schumann di Nicoletta, invece, per l’intrinseco equilibrio fra orchestra e solista del brano, risultando quindi virtuosisticamente meno appariscente, nel voto del pubblico rischiava di pagare un prezzo alto.
La sua capacità di dominare la difficoltà tecnica, senza nulla togliere all’inquietudine dell’interpretazione, gli sono invece valse l’applauso più intenso della giornata ed il premio della giuria dei critici musicali, sebbene attribuito soltanto a maggioranza.
Infine, l’imperiale n. 5 di Beethoven scalato da Panfilov è una montagna dalla cui vetta ci si può permettere di guardare tutti dall’alto in basso.

IL VINCITORE

E così è stato: vincitore assoluto è infatti risultato Alexander Panfilov, secondo Federico Nicoletta e terza Maddalena Giacopuzzi, con una completa sovrapposizione fra voto della giuria e quello del pubblico. Quest’ultimo, in qualche suo esponente, ha confessato di aver voluto premiare la più giovane età del russo rispetto all’italiano; giudicato già solidamente affermato e, quindi, non bisognoso del sostegno di una vittoria al Sala Gallo che, nella volontà di chi l’ha istituito ed oggi lo mantiene in vita, si prefigge di offrire ai giovani pianisti un trampolino dal quale lanciarsi nella professione del concertismo.
C’è dunque il sospetto che Nicoletta abbia scontato la citazione sul programma delle sue collaborazioni al Teatro alla Scala, e se si pensa che ha perso solo per 9 voti… La graduatoria finale del pubblico dice infatti: Giacopuzzi 152, Nicoletta 224, Panfilov 233, con 17 schede nulle.

In chiusura una piccola annotazione “teatrale”: come insegna il concorso di Miss Italia, una volta annunciato il terzo posto, fra i due ultimi concorrenti rimasti in gara è preferibile annunciare direttamente il vincitore, anziché lasciarlo già intendere per differenza dopo aver presentato il secondo arrivato.
Poiché quest’ultimo non è mai, almeno in prima battuta, così felice di aver perso la “medaglia d’oro” un annuncio fatto in questo modo “ammazza” anche l’entusiasmo del primo classificato.
Ma confidiamo che su questo si potrà fare meglio fra due anni, magari facendo anche eseguire al vincitore almeno un pur brevissimo bis prima di congedare il pubblico.

Giovanni Guzzi, ottobre 2016
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