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ANTONELLA FERRARI È PIÙ FORTE DEL DESTINO

La vita è come uno specchio, sorridi che lei ti sorride

 

Per chi vuole davvero cambiare le cose, per chi ha avuto dalla vita più spine che rose.

Questa frase, scritta sul muro del palazzo che lo sovrasta, mi accompagna mentre mi avvio verso l’ingresso del Teatro Officina. Un luogo che, ottimamente servito dalla ciclabile della Martesana (uscendo in corrispondenza del vecchio ponticello di Gorla), è già una sorpresa solo nel raggiungerlo.
Tanto per cominciare si trova in una via dal nome altisonante, Sant’Erlembaldo (un santo milanese dell’anno Mille), e condivide il numero civico con un complesso di cortili nei quali è cresciuto un duplice bosco: di alberi e di palazzi. “Che bella l’idea di un teatro tra le case” penso “Fortunati i condòmini!”.

Dopo un paio di svolte eccomi a destinazione: in una piccola sala arredata con scaffali affollati di libri e sedie pieghevoli in platea centrale. Lateralmente ad esse sono invece allineate alcune file delle sedie basculanti in legno tipiche di cinema e teatri di un tempo… Più tardi mi verrà spiegato che sono state recuperate dall’Anteo.

La loro vista mi riporta alla memoria con nostalgia il momento, che ho ancora nitido negli occhi, in cui mi sono casualmente imbattuto nel camion carico con le poltroncine del cinema della mia parrocchia (simili a queste ma con le imbottiture in velluto rosso): chi lo gestiva aveva voluto “liberarsene” per “riammodernarlo” approfittando di un qualche incentivo statale. Il risultato è che quelle attuali assomigliano tanto ai sedili dei treni regionali di seconda classe: in plastica di pessima qualità che in poco tempo si degrada e sfarina.

L’esposizione di “sedute” del Teatro Officina è completata da due alte sedie metalliche su perno centrale con braccioli e poggiapiedi in ferro accostate ai due pilastri che chiudono lo spazio più a ridosso del palco.
Ipotizzo che anch’esse abbiano una “storia” precedente e mi tolgo il gusto di inerpicarmi su quella di destra: dominando la sala, perché più in alto del resto del pubblico, potrò meglio godermi lo spettacolo.

Massimo De Vita, attore, regista e direttore del teatro mi conferma che, effettivamente, in altri tempi queste sedie arredavano un bar e mi dice che l’altra è quella sulla quale si accomoda sempre lui stesso. Lusingato per aver fatto la scelta giusta, ovvero la sua stessa scelta, ora mi sento importante come lui!
De Vita mi racconta anche che la prima sede del Teatro Officina era dove oggi c’è lo Zelig. Venne distrutta da un incendio fra le cui ceneri la sua Compagnia riuscì giusto a riprendersi due proiettori di luce. Non avendo i soldi per riparare il danno fu costretta a trasferirsi nella sede attuale: un “piccolo” capannone dove, tempo addietro, un istituto di religiose dava lavoro come sarte a donne per le quali riusciva ad ottenere commissioni. In seguito, prima dell’attuale destinazione, fu anche il laboratorio di un elettricista.

La vita è come uno specchio, sorridi che lei ti sorride.

Arrivato con buon anticipo sull’orario d’inizio dello spettacolo, torno all’esterno e, sbocconcellando un panino fra gli alberi, leggo sul solito muro questa seconda, incoraggiante, affermazione.
Mi fa pensare ad Antonella Ferrari, alla curiosa ragione che ci ha fatti incontrare ed a quel che ne è seguito. Passando in Comune di Bresso per organizzare un’iniziativa sulla pace l’ho riconosciuta sul manifesto affisso sulla porta antistante l’ufficio dell’assessore dalla quale mi ero recato. Ho così scoperto che la sua attitudine a mettersi a disposizione del prossimo si è concretizzata anche nell’assumere un ruolo politico. Successivamente mi ha accolto a casa sua per una piacevolissima chiacchierata di reciproca conoscenza (soprattutto di me da parte sua, visto che non sono famoso come lei!), ho letto il suo libro, ha generosamente accolto il mio invito a mettere a disposizione (gratis!) la sua arte per dare la sua voce alle parole di Pace del suo amatissimo Papa Francesco… e finalmente sto per vederla in scena, nel suo mondo, nella vita che voleva e che ha voluto, perché Antonella è più forte del Destino.

Tornato in sala, visto che è ancora presto, chiedo se è possibile incontrare Antonella prima che inizi lo spettacolo. Gentilissima, Daniela Airoldi, altra colonna portante del Teatro Officina, mi accompagna da lei “Vieni ora perché alla fine sarà assediata dai fans: Antonella è molto amata!”.

La trovo con la sua assistente di scena, si sorprende nel vedermi: “Mi avevano detto che sarebbe stato presente un giornalista ma non ti aspettavo in questa veste!”. In effetti non ero certo che sarei riuscito a presenziare a quest’unica nuova data milanese del suo spettacolo, ma non potevo mancare. Per ricambiare la sua disponibilità nei miei confronti e perché i Dialoghi di Pace costruiscono amicizie fra chi vi prende parte e così poi si “fa il tifo” per le attività di ciascuno! Antonella si stupisce anche che io sia riuscito a trovare posto “Il teatro è piccolo, i posti erano tutti esauriti da tempo”. Proprio vero: tornando in sala vedo che, mentre si sta riempiendo, compaiono ancora altre sedie pieghevoli e si aggiungono file a quelle predisposte all’inizio.

"Appollaiato" sulla mia sedia da bar indugio a studiare l’allestimento scenico in attesa che lo spettacolo cominci. Posso farlo perché è a vista del pubblico: non c’è sipario, è un ambiente familiare ed accogliente, come fare teatro in casa. Il palco è pieno di oggetti: un pilastro con sopra un proiettore ed uno schermo, un tavolo, una sedia di quelle con la base a rotelle da ufficio. Una colonnina con una cesta e dentro il pupazzo di un dottore. Un portaombrelli dal quale non spuntano ombrelli (anche se la serata minaccia pioggia: curioso, è sempre così quando vado a teatro: Spoon River e il Teatro che incatena in platea) ma stampelle variopinte. E poi, su un attaccapanni, vestiti, una giacca rosa con paillettes e cappelli. Al centro c’è uno specchio.

Sulla parete di fondo, ad una ragnatela di nastri bianchi sono appesi una radio a valvole, un tutù con le sue scarpette da ballerina, un paio di sci giocattolo verde fosforescente, bambole, un hula op, una coperta... Un importante regista americano (forse John Ford) diceva che se nella scena di un film si vede un fucile, prima o poi quel fucile sparerà… così io mi domando che uso verrà fatto di tutti questi oggetti.

Mentre penso a queste cose comincia la musica ed Antonella letteralmente “irrompe” in scena dialogando con la voce fuori campo dell’operatore di uno sportello ospedaliero che le rimprovera di non impersonare il ruolo dell’invalida per come i “sani” se lo aspettano. Un dialogo che poi continua con il pubblico: continuamente incalzato e sollecitato a confrontarsi con una vicenda non certo allegra.

Bisogna proprio dirlo, lo spettacolo non si addice alle persone impressionabili che si aspettano di non reggere un racconto che, pensano, le farà soffrire e piangere tutto il tempo. Già, non è per niente adatto perché la forza di Antonella è la sua ironia, anzi la sua autoironia che le permette di strappare dai sorrisi fino alle aperte risate sfidando la sua malattia che, irrigidendole la gamba sinistra come fosse un pezzo di legno, vorrebbe impedirle di vivere il suo sogno.

Ma Antonella sa come batterla. Sa che la SLA, se le dai spago, si prende tutto. Ed allora la regola è quella di non essere mai depressi. O meglio, di non arrendersi allo sconforto che, è normale, può colpire chiunque si trovi in difficoltà, qualunque sia la sua difficoltà. Perciò sul palco Antonella sprigiona energia, si muove percorrendolo da un capo all’altro… e balla! Sì, balla! Dimostrando che il sogno della sua vita, che inseguiva esercitandosi nel salotto di casa di cui spostava i mobili quando tutti uscivano, comunque l’ha raggiunto.

Avendo letto il libro di Antonella (Più forte del destino - tra camici e paillettes, la mia lotta contro la sclerosi multipla) i cui proventi, sia detto per inciso, vanno all’Associazione AISLA che studia la malattia e sostiene chi ne colpito) conoscevo un po’ tutto il contenuto dello spettacolo, però assistervi dal vivo è tutta un’altra cosa. Per di più questa sera fra il pubblico è venuta anche la mamma di Antonella, e questo la commuove, mentre, in scena, le parla: rivolgendosi al suo vestito nel quale ha scenograficamente studiato di impersonarla. Ma c’è anche il papà che, anche se non fisicamente in sala, “ci sta guardando e si sta divertendo”.

Non aggiungo altro al racconto di questo spettacolo, come potrei farlo? Mi limito ad un consiglio, quando capita dalle vostre parti andate a vederlo di persona, perché si ride, si piange, è la vita… è il teatro!

Sul muro accanto al Teatro Officina c’è ancora un’ultima scritta:

Credo alle favole, alle principesse, alle persone che rimangono sé stesse. Credo che… ognuno ha quel che si merita.

Quest'ultima frase no, non credo sia giusta, certe dure prove che toccano chiunque non si meritano. Però si può vivere affrontandole e ribellandosi a quello che sembra ineluttabile senza lasciare che ci schiacci. Come ha dimostrato Antonella non rinunciando al suo sogno. Che non si raggiunge, però, senza fatica, determinazione, studio e disciplina.
Ne ho la riprova assistendo al colloquio, dapprima pubblico e poi privato fra Antonella e Massimo De Vita al termine del monologo. Chiamandolo al proscenio a condividere l’applauso del pubblico, Antonella ringrazia Massimo ricordando che “Proprio su questo palco ho mosso i miei primi passi da attrice… E se lo sono diventata è grazie a Massimo De Vita che mi ci ha voluta assieme ad Antonio Bozzetti” ed ironizza: “Eravamo due sfigati!”.
Al che Massimo precisa, scherzando: “Per sceglierli non ho guardato i curricula ma la cartella clinica!” per tornare subito serio: “Scelgo persone che sul palcoscenico hanno qualità, humour ed il piacere di essere sempre in movimento”.
Il confronto continua poi quando il pubblico se n’è andato. È davvero bello per chi non è del mestiere, ma è curioso di conoscerne i segreti, poter approfittare di uno scambio di opinioni tecniche fra l’allieva, ora una professionista che lavora in produzioni e con registi importanti, che con grande umiltà (come ho osservato anche in altre circostanze) continua ad ascoltare i consigli del suo maestro, perché in arte il tuo maestro resta sempre tale per tutta la vita. A lui Antonella dichiara la disabitudine a lavorare in teatri piccoli e perciò, come questa sera, non “microfonata”… condizione per cui si è trovata a forzare la voce… Noi non ce ne siamo accorti, e sentire la viva voce dell’attore a pochi metri da sé è un’esperienza che va provata.

Esco, piove, e ti pareva… ma è una pioggerella lieve ed è bello pedalare sotto l’acqua con il cuore leggero nonostante non abbia assistito ad uno spettacolo comico.
Così mi viene in mente un detto di quella grande persona con la quale ho l’onore di condividere il nome e le iniziali: Giovannino Guareschi. “Gli angeli volano perché si prendono alla leggera!” Se c’è una cosa di cui si può stare certi a proposito di Antonella… è che vola.
Allora, ricordando la mia preoccupazione di quando doveva recitare per me e mi domandavo se avrebbe potuto salire il dislivello di tre gradini e le soluzioni organizzative che cercavo di inventarmi per non renderle necessario lo sforzo… anch’io ora sorrido!

Giovanni Guzzi, maggio 2016
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