L'Eclettico



I principi di un allestimento di pittura



Come una buona potatura... non si deve vedere!

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

I PRINCIPI DI UN ALLESTIMENTO DI PITTURA

Come una buona potatura... non si deve vedere!


Quale deve essere l’obiettivo dell’allestimento di un’esposizione di opere d’arte? È un tema ricorrente ogni qualvolta si visita una mostra temporanea ma che diventa ancora più rilevante quando si opera in una sede museale e si va a mettere mano ad un “disegno” preesistente.
Il recente riallestimento di alcune sale (dalla XX alla XXIII) della Pinacoteca di Brera mi offre lo spunto per provare ragionare sul tema.

Visto che stiamo parlando di opere da guardare penso che prima di tutto debba essere “bello da vedere” e che, per così dire, ci permetta di “rifarci gli occhi” rispetto alle brutture che quotidianamente ci opprimono lo sguardo (e l'anima) nelle nostre città.
Obiettivo imprescindibile deve essere quello di permettere al visitatore più sensibile di potersi focalizzare al meglio sulle opere e di poter instaurare con esse un contatto emotivo che, senza necessariamente arrivare alla Sindrome di Stendhal, possa catturarlo all’interno della scena dipinta facendogli perdere di vista tutto quello che lo circonda.

Con un paragone forse un po’ ardito, penso che, come in arboricoltura la potatura migliore è quella che non si vede, anche in un allestimento museale la soluzione migliore è quella che permette al visitatore il contatto più diretto possibile con l’opera, minimizzando (con limite che tende allo zero) la presenza di ogni elemento che possa distrarre l’osservatore e costituire impedimento al farlo entrare in stretta relazione con essa.

Eccellente modello in questo senso è stata la recente mostra su Giotto a Palazzo Reale di Milano (della quale ho apprezzato anche le didascalie a terra). Naturalmente non tutti si accostano ai dipinti in questo modo, ma quel che va bene per il genere di visitatori descritto non sarà certo disdicevole per tutti gli altri e non impedisce altri livelli, magari meno profondi, di avvicinamento all’arte.

Questa visione conduce necessariamente ad una logica di progettazione per la quale nella “composizione” delle opere, nella loro combinazione e nella predisposizione di arredi, tabelle, colore delle pareti, illuminazione e via dicendo l’architetto deve arrivare a ragionare come il pittore quando dipinge.

Dunque si possono sfruttare opportunamente gli scorci nei passaggi fra una sala e l’altra e “giocare” con colori, stile e composizione dei dipinti che è possibile accostare, ma bisogna fare molta attenzione a non dare importanza e visibilità ad ogni elemento estraneo che faccia perdere la percezione dell’opera o ad aggiungere addirittura elementi che la “coprano”.

È evidente che quanto appena affermato vale compatibilmente con le diverse problematiche di cui bisogna tenere conto in un luogo pubblico ed alle risorse disponibili. Per questa ragione si dovrebbe intervenire solo quando si ha la certezza che si risolveranno eventuali problemi esistenti e chiaramente riconosciuti (pensando a Brera ho in mente alcuni dipinti - come Battesimo e tentazioni di Cristo di Veronese - che l’illuminazione della sala in cui si trova rende difficile apprezzare al meglio).

Un’altra avvertenza è quella di interpellare prima di tutto chi, come il personale di custodia, passa tante ore nelle sale: perché ha ogni giorno sotto gli occhi quel che vi accade, nota i comportamenti del pubblico e dialoga con esso.

È risaputo che il Direttore Bradburne ha espressamente voluto che questo nuovo, primo riallestimento fosse reversibile. Infatti, in vista del successivo lotto che interesserà, sembra con altre modalità, altre sale è stata aperta una fase di ascolto dell’opinione di chi frequenta la Pinacoteca e solo successivamente a questa verranno fatte scelte definitive.
Strumento adottato è l’ottima iniziativa Brera ascolta avviata sul nuovo sito della Pinacoteca.

A mio avviso la consultazione del pubblico potrebbe però offrire spunti ancora più efficaci se i visitatori non venissero interpellati con questionari a posteriori su quel che si è fatto ma consultati anche preventivamente.
Si potrebbe domandare loro: Cosa ti piace? Cosa non ti piace? Cosa ti impedisce di vivere al meglio l’esperienza di una visita ai capolavori di Brera? Cosa potrebbe agevolarla, arricchirla ed aumentarne l’intensità emotiva? Cosa credi che manchi? E solo poi procedere.

Non so se una verifica del genere sia stata affidata a qualche società di ricerca, ma credo che proporla pubblicamente possa dare risultati interessanti.
Naturalmente le risposte saranno i tecnici ed i funzionari a darle, visto che sono loro le persone competenti e preparate per farlo, trattandosi della loro professione.

Mi aspetto qualcosa di meglio rispetto all’attuale allestimento del Cristo morto di Mantegna. È pur vero che ho dovuto ricredermi su alcune osservazioni critiche, dovute alle mie limitate competenze e che persone più esperte hanno illuminato con delucidazioni sul migliore punto di osservazione del dipinto (e quindi sull’altezza della sua collocazione): indicato dallo stesso Andrea Mantegna incrociandovi le linee prospettiche del dipinto.
Tuttavia è un fatto che molti visitatori, soprattutto prima che l’operazione di Olmi fosse stata almeno corretta con l’aggiunta di una sottile cornice dorata, scambiavano questo capolavoro con una sua proiezione o riproduzione video e chiedevano ai custodi: “Ma il quadro dov’è?”.

Giovanni Guzzi, aprile 2016
© Riproduzione riservata