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Harding, Taverna e la Filarmonica della Scala



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HARDING, TAVERNA E LA FILARMONICA DELLA SCALA

Elettrizzano il pubblico con Beethoven e Dvořák (e poi Rossini) morbidi e cantabili


Tre serate di grandi direttori e prestigiose orchestre, quelle inanellate nei primi tre giorni di MiTo a Milano, nella sala Verdi del Conservatorio.
Si comincia con l’orchestra di casa, la Filarmonica della Scala, diretta dal britannico Daniel Harding. In programma il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 op. 37 di Beethoven, con al pianoforte Alessandro Taverna e la Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88 di Antonín Dvořák. Due composizioni, entrambe innovative a confronto con le rispettive tradizioni di riferimento, che nell’interpretazione di direttore e solista si sono presentate all’insegna di un suono molto morbido e di un fraseggio che enfatizzava leggerezza e cantabilità, quasi sorprendenti in Beethoven: per immaginario collettivo emblema di potenza ed austera severità.

Non occorre dunque spendere molte altre parole per raccontare una serata nella quale il pubblico, particolarmente entusiasta e, diremmo, già elettrizzato fin dalle prime note risuonate in sala, è entrato subito in sintonia con i musicisti e non ha mancato di testimoniarlo con scroscianti e prolungati applausi all’indirizzo del virtuosismo del solista e della comunicativa simpatia del direttore.

Da notare il fatto che quest’ultimo ha presentato l’orchestra in una disposizione “al contrario” rispetto a quella classica: con i contrabbassi alla sua sinistra, i violoncelli al centro e le viole sulla destra; riservando ai violini l’intera parte più avanzata del palco. Che sia un retaggio dell’originale direzione di guida propria del mondo anglosassone?!
Forse, più seriamente, la ragione risiede nell’importanza dei violoncelli nella sinfonia di Dvorak: già dall’iniziale monumentale Allegro con brio, ma ancor più in rilievo, nell’Allegro ma non troppo conclusivo, nel riprendere, sul pizzicato dei contrabbassi il tema annunciato dalle trombe.
Fra momenti lirici nell’Allegretto grazioso e viole “indemoniate” che la foga faceva letteralmente saltare sulle sedie nella sezione Molto Vivace del terzo tempo, si è arrivati al trascinante bis: classico omaggio all'Italia con l'Ouverture dal Guglielmo Tell di Rossini, riconosciuto da tutto il pubblico nella “carica” finale ma prima da più d'uno scambiato per una miscellanea di brani di non omogenea estrazione, scelta non nuova in Harding.
Mistero, invece, per il bis concesso da Taverna. Solo all’uscita, la conoscenza di una “maschera” che è anche, o forse prima di tutto, pianista ci ha permesso di apprendere almeno il nome dell'autore: Max Reger.

Giovanni Guzzi, settembre 2015
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