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Insegnante o organizzatore di eventi?



Qual è il prof che vogliamo?

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SCUOLA MAGISTRA VITAE

Quale prof vogliamo: insegnante o organizzatore di eventi?

 
Uno sceicco di Dubai ha promesso un milione di dollari in premio per l'insegnante che abbia «raggiunto traguardi eccezionali nell’insegnamento» e che si sia «guadagnato il rispetto della comunità attraverso attività che vanno oltre le aule scolastiche. L’insegnante dovrà essere stato/a un modello per altri insegnanti attraverso iniziative di volontariato, assistenza alla comunità e contributi in ambito culturale».
Sulla stessa linea sono le nuove proposte di riforma della scuola italiana del sottosegretario Reggi: incentivi per i docenti che assumono impegni extra-didattici funzionali, di orientamento e via dicendo...
Nel rallegrarci fin d'ora con chi vincerà il premio ed attendendo le decisioni del governo, non si può fare a meno, tuttavia, di domandarsi se anche ad un ingegnere chiederemmo innanzitutto di fare volontariato ripulendo i parchi cittadini o da lui non vorremmo, invece, la certezza della solidità dei ponti e degli edifici che progetta? E da un medico ci aspettiamo di essere curati con professionalità ed efficacia (e magari anche un po’ di umanità!) o che organizzi letture dantesche in piazza?
E allora perché anche un insegnante non deve essere valutato, anziché per attività che vadano “oltre le aule scolastiche”, per come insegna la sua materia e per la cura, l'impegno e il sacrificio che dedica a preparare le sue lezioni?
È vero, purtroppo, che esistono insegnanti che si limitano a far leggere i libri di testo in classe o che - anziché insegnare - lasciano liberi gli studenti di “esprimersi” (ma su cosa?).
Rispetto a tali modelli è evidente che sono da preferirsi quelli che organizzano molteplici e fantasiose attività extracurriculari... Attività, peraltro, meno faticose e più gratificanti (anche per il riconoscimento loro tributato dall'opinione pubblica) rispetto all'affrontare la fatica quotidiana di arricchire l'insegnamento con confronti ed approfondimenti.
Per fortuna, però, esistono anche docenti che (forse anche un poco esagerando) arrivano a prepararsi per un'ora di lezione nella scuola dell'obbligo quasi come se dovessero intervenire ad un convegno accademico internazionale.
E per fare questo non trascurano certo quanto accade fuori dalle mura scolastiche e le relazioni fra la scuola e la vita, che è giusto esistano e siano coltivate.
Sono sicuro che chi ha avuto insegnanti di questo genere concorderà con me nel ritenere costoro figure alle quali essere riconoscente per la propria formazione e di cui conservare stima ancora dopo decenni.
Questa mia preferenza trova indiretta conferma nell'intervento del politico bresciano Mino Martinazzoli raccontato da Annachiara Valle sul mensile Jesus (giugno 2009, pag 63) a proposito di una scuola di formazione socio-politica e riferito al libro Viaggio con l’amico (in cui l'avvocato bolognese Francesco Berti Amoaldi descrive il viaggio col quale, anni dopo, ha ripercorso la deportazione del suo amico Giuliano Benassi da Bolzano a Oelsen, in Sassonia, dove fu assassinato nel 1945).
Dal volume Martinazzoli cita la lettera che Giuliano, arrestato e rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore, indirizza ai genitori e nella quale il giovane Benassi scrive che ha subito torture, ma che ha resistito, non ha parlato. E ha resistito – spiega – perché si è ricordato di quanto gli ha insegnato il suo professore di latino che gli aveva fatto imparare a memoria un detto di Quintiliano (*) che, tradotto, così sentenzia: «Il massimo peccato può essere quello, per sopravvivere, di perdere le ragioni della vita». E Martinazzoli commenta: “Quel ragazzo, quindi, non aveva avuto buoni insegnamenti di antifascismo, aveva avuto dei buoni professori di latino e greco”.
Questo è per dire che sono benvenute tutte le esperienze che arricchiscono l’offerta formativa, ma una buona scuola nella quale si insegnino bene storia, scienze, letteratura, lingue, filosofia... resta il modo più utile per aiutare i giovani ad affacciarsi alla vita.
 
Giovanni Guzzi, luglio 2014
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(*) Attribuzione riferita nell'articolo citato ma di cui non siamo riusciti ad individuare il testo originale.
 
Più d'un esperto di cultura latina che abbiamo interpellato allo scopo, per quanto è noto del maestro di retorica romano, ha anzi avanzato qualche dubbio che ne possa effettivamente essere l'autore.
 
Tuttavia risulta "sua" anche in "Il libro della quiete interiore" di Gerd B. Achenbach, come ci è stato riferito da Luca Alici, che a sua volta l'ha citata su "Cosmopolis" XIV, 1-2/2017 in "I giovani e il futuro tra speranza e minaccia. Post-it sul tempo senza tempo", scritto con Sara Mollicchi.
 
Grazie al prof. Samuele Giombi, a Ernesto Limonta ed a Guido Codecasa, che ci suggeriscono di fare la ricerca termini (con la funzione trova) sulle opere complete disponibili nella banca dati internet “The latin library” alla voce “Quintiliano”, all’interno di ciascuna opera e relativo libro (su: http://www.thelatinlibrary.com/quintilian.html).
Ernesto Limonta il tentativo l'ha fatto nell'Institutio Oratoria: nell'impossibilità di tentare una retroversione dell'affermazione ricercata - che ha la parvenza di una traduzione molto llibera - ha utilizzato alcuni vocaboli latini, ma senza successo.
Precisa Guido Codecasa: "Effettivamente Quintiliano usa spesso il termine "ratio vitae" o "ratio vivendi". Si potrebbe risalire al passaggio originale in questo modo. Sopravvivono anche alcune declamationes minores, di cui non conosco l'effettiva reperibilità online".
Ci proveremo, se altri lo faranno prima di noi ci aggiornino sui risultati. Grazie.