L'Eclettico



Uno sciame di isolati sempre connessi



La sociologia del cellulare

L'ECLETTICO - web "aperiodico"

UNO SCIAME DI ISOLATI

Sempre connessi ma altrettanto distanti

 
Il tuo telefono cellulare suona sempre (o almeno questo è ciò che speri) i messaggi si rincorrono freneticamente sul display. Le tue dita sono perennemente occupate a premere tasti: per comporre i numeri di chiamata o per digitare messaggi.
Sei perennemente connesso, benché in costante movimento e sebbene gli invisibili mittenti e destinatari delle chiamate e dei messaggi siano anch'essi in movimento, tutti intenti a percorrere la propria traiettoria.
La telefonia mobile è per gente che si muove. Non perdi mai di vista il tuo cellulare. Di fatto, senza il cellulare non andresti da nessuna parte («nessuna parte» è di fatto lo spazio senza un cellulare, oppure con un cellulare fuori campo O con la batteria scarica). E una volta che hai il cellulare al tuo fianco non sei mai fuori o via. Sei sempre dentro - mai però bloccato in un singolo posto. Avvolto in una fitta rete di chiamate e messaggi, sei invulnerabile.
Chi ti sta intorno non può estrometterti da nulla, e qualora ci provasse, non cambierebbe nulla di veramente importante. Non importa in che luogo ti trovi, chi è la gente che ti sta intorno e cosa stai facendo in quel luogo con quella gente. La differenza tra un posto e un altro, tra un gruppo di persone e un altro, è stata cancellata…
Sei l’unico punto stabile nell’universo degli oggetti in movimento - e altrettanto lo sono (grazie a te) le tue diramazioni: le tue connessioni. Le connessioni restano inalterabili nonostante il fatto che chi vi è connesso si sposta. Le connessioni sono solide rocce circondate da sabbie mobili… Non si è risposto a una chiamata? Non si è replicato a un messaggio? Anche in questo caso non c’è niente di cui preoccuparsi.
Ci sono tanti altri numeri telefonici sull’elenco, e apparentemente nessun limite al numero di messaggi che puoi inserire, con l’aiuto di pochi piccoli tasti, in quell’aggeggino che tieni così comodamente in mano. Pensaci un attimo (sempre che ti sia rimasto del tempo per pensare): è altamente improbabile che riempirai l’intera rubrica del tuo cellulare o che digiterai tutti i messaggi che è possibile inviare.
Ci sono sempre altre connessioni da usare, e dunque non è poi così spaventosamente importante quante di esse potrebbero dimostrarsi fragili e spezzarsi. E non importa neanche il ritmo al quale si logorano e si spezzano. Ciascuna connessione può anche durare poco, ma la loro sovrabbondanza è Indistruttibile.
Avvolto nell’eternità dell’imperitura rete informatica, puoi sentirti al riparo dall’irreparabile fragilità di ogni singola, transitoria connessione.
Dentro quella rete puoi sempre cercare riparo allorché la folla che ti circonda diventa troppo caotica per i tuoi gusti. Grazie a tutto ciò che puoi fare fintanto che hai il tuo cellulare, al sicuro in tasca, ti tieni a distanza dalla folla, e quel distacco è la stessa domanda di ammissione, la condizione di accesso, a quella folla.
Una massa di individui isolati: uno sciame, per essere più precisi. Un aggregato di individui autonomi che per restare uniti non abbisognano di alcun ufficiale di comando, figura di paglia, arringatore, agente-provocatore o piccione da richiamo. Un aggregato mobile in cui ogni singola unità fa la stessa cosa ma nulla viene fatto in comune. Le unità marciano al passo ma non in linea...
I telefoni cellulari non hanno creato lo sciame, sebbene contribuiscano indubbiamente a perseverarne le fattezze, di sciame appunto. Lo sciame era in attesa dei vari Nokia, Ericsson e Motorola bramosi di servirlo.
Se non esistesse uno sciame, a che servirebbero i cellulari?
I cellulari consentono a chi se ne sta in disparte di tenersi in contatto e a chi si tiene in contatto di restarsene in disparte...
Ricorda Jonathan Rowe: «Negli ultimi anni del Novecento, in pieno boom dell’alta tecnologia, trascorsi molto tempo in una caffetteria situata nel quartiere dei teatri a San Francisco [...]. Lì ebbi modo di osservare una scena ripetersi infinite volte. Mamma prepara la macchina del caffè.
I bambini, seduti coi piedi ciondoloni, mangiucchiano la loro brioche.
E poi c’è papà, leggermente proteso all’indietro rispetto al tavolo, che parla al cellulare [...].
Pensavamo di star vivendo una «rivoluzione delle comunicazioni», ed ecco che, all’epicentro tecnologico, i membri di questa famiglia evitavano di guardarsi negli occhi».
Due anni dopo, Rowe avrebbe probabilmente visto quattro cellulari in funzione intorno al tavolo. I cellulari non avrebbero impedito alla mamma di occuparsi della sua macchina del caffè, né ai bambini di mangiare la loro brioche. Ma avrebbero reso a tutti superfluo lo sforzo di evitare lo sguardo degli altri...
Con un po’ di tempo a disposizione, i cellulari avrebbero addestrato gli occhi a guardare senza vedere.
Come afferma John Urry, «le relazioni di co-presenza comportano sempre vicinanza e lontananza, prossimità e distanza, realtà e immaginazione».
Vero; ma l’ubiquità e la costante presenza del terzo elemento - della «prossimità virtuale» universalmente e permanentemente disponibile grazie alla rete elettronica - sposta l’equilibrio decisamente a favore della lontananza, della distanza e dell’immaginazione.
Presagisce (o preannuncia?) una definitiva separazione tra il «fisicamente distante» e lo «spiritualmente remoto»…
Adesso il secondo ha la propria «base materiale» high-tech, infinitamente più ampia, flessibile, variegata, attraente e piena di avventura rispetto a qualsivoglia riassetto dei corpi fisici.
E la prossimità fisica ha meno possibilità che mai di interferire con la distanza spirituale…
La prossimità non richiede più la vicinanza fisica; ma la vicinanza fisica non determina più la prossimítà...
L’avvento della prossimità virtuale rende le connessioni umane al contempo più frequenti e più superficiali, più intense e più brevi.
Le connessioni tendono ad essere troppo superficiali e brevi per condensarsi in legami. Incentrate sull’attività in corso, esse sono protette dal pericolo di tracimare e coinvolgere i partner in qualcosa che va al di là del tempo necessario a comporre e leggere un messaggio e dell’argomento in esso contenuto - contrariamente a ciò che fanno le relazioni umane, notoriamente diffuse e voraci.
Occorre meno tempo e fatica tanto per creare contatti quanto per romperli. La distanza non è un ostacolo al tenersi in contatto - ma il tenersi a contatto non è un ostacolo all’essere distanti… La prossimità virtuale può essere interrotta, sia concretamente che metaforicamente: basta premere un pulsante.
Sembra che la conseguenza più feconda della prossimità virtuale sia la separazione tra comunicazione e relazione. Diversamente dalla prossimità topografica vecchio stile, essa non richiede che i legami siano già stabiliti, né ha come conseguenza necessaria di stabilirli, «Essere connessi» è meno costoso che «essere sentimentalmente impegnati», ma anche consíderevolmente meno produttivo in termini di costruzione e preservazione di legami. La prossimità virtuale riduce la pressione che la vicinanza non virtuale ha l’abitudine di esercitare. Detta anche il modello per qualunque altra forma di prossimità. Oggi qualunque forma di prossimità è destinata  a misurare i propri pregi e difetti in base agli standard della prossimità virtuale.
La prossimità virtuale e quella non virtuale si sono scambiate di posto…
E dunque tocca alla prossimità virtuale svolgere il ruolo di genuina, non adulterata, reale realtà con cui devono misurarsi tutti gli altri pretendenti allo status di realtà e in base alla quale essere giudicati.
A tutti è capitato, viaggiando in treno, di ritrovarsi accanto a passeggeri che parlano ininterrottamente al cellulare e di non poter fare a meno di ascoltare la loro conversazione.
In prima classe si vedono soprattutto dei professionisti ansiosi di tenersi impegnati e apparire efficienti: vale a dire di connettersi al maggior numero possibile di utenti di cellulari e mostrare che ce ne sono molti pronti a rispondere alle loro chiamate.
In seconda classe si trovano principalmente adolescenti o giovani d’ambo i sessi che comunicano a qualcuno a casa il nome della stazione appena superata e quello della successiva. Se ne può trarre l’impressione che contassero i minuti che li separavano da casa e che non vedessero l’ora di incontrare di persona coloro con cui parlavano… Invece è alta la probabilità che quelle parole non stavano spianando la via all’evento reale, ma fossero esse stesse l’evento reale... Che molti di questi giovani così ansiosi di comunicare dove fossero ad ascoltatori invisibili, in realtà non vedevano l’ora, una volta giunti a destinazione, di precipitarsi nella loro stanza e chiudere la porta a chiave…
Le case si sono trasformate da cortili ricreativi fatti di amore e amicizia in campi di schermaglie territoriali e da siti dove si crea aggregazione in un condensato di bunker fortificati.
«Siamo entrati nella nostra residenza monofamiliare e abbiamo chiuso la porta, quindi siamo entrati nella nostra stanza personale e abbiamo chiuso la porta. La casa diventa un centro ricreativo polifunzionale in cui i membri della famiglia possono vivere, per così dire, uno a fianco all’altro separatamente».
 
Sarebbe folle e irresponsabile incolpare i gadget elettronici per la lenta ma costante recessione della prossimità personale, diretta, continua, faccia-faccia... Tuttavia, la prossimità virtuale vanta caratteristiche che in un mondo liquido-moderno possono essere ritenute, e a ragione, vantaggiose, ma che non sono facili da ottenere alle condizioni di quell’altro téte-à-téte non virtuale. Non sorprende che la prossimità virtuale venga preferita e sia praticata con maggiore zelo ed abbandono di qualunque altra forma di vicinanza…
Quanta più attenzione umana e sforzo di apprendimento è assorbito dal genere virtuale di prossimità, tanto meno tempo si dedica all’acquisizione ed esercizio di doti che l’altro genere di prossimità, quello non virtuale, richiede. Tali doti cadono in disuso, vengono dimenticate o mai imparate, disprezzate oppure sfruttate, se proprio non se ne può fare a meno, a denti stretti. Il loro sviluppo, se richiesto, può implicare uno sforzo immane e forse addirittura insormontabile.
E tutto ciò non fa che accrescere ancor più le attrattive della prossimità virtuale.
 
a cura di Patroclo Crisci (da Zigmunt Bauman)