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EXPO vorace, col pretesto della Via d'acqua



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EXPO VORACE

Si mangia il territorio col pretesto della "Via d’Acqua"

 
Nessuna città d’Italia e forse d'Europa era così ricca, come Milano, di acque sotterranee di ottima qualità.
Ed all'acqua, ed all'ingegno di chi ha saputo metterla a servizio dei più svariati scopi (necessità alimentari, abitative e di difesa militare), Milano deve la sua fortuna fin dall’antichità.
Le risorgive, indice di un suolo intriso d'acqua fin dai primi metri sotto il piano campagna (problema non trascurabile per le fondazioni degli edifici), sono state addomesticate fin dal XII secolo dai monaci cistercensi di Chiaravalle, a costituire le “marcite”.
Ivi la possibilità d’irrigazione lungo l’intero arco dell’anno ha fatto delle campagne della Bassa Milanese, fino all’inizio del secolo scorso, un modello da imitare per l’intera Europa.
La regimazione delle acque di superficie è stata oggetto di attenzione fin dai primi secoli della Milano Romana (la Vettabbia che sembra derivare il suo nome da “vectabilis”, doveva essere all’origine addirittura navigabile).
I navigli, dal Ticinello-Naviglio Grande alla Martesana, ed il Canale Villoresi, per solo uso irriguo, a partire dal XII fino al XIX secolo, sono testimonianza di intraprendenza e alta competenza idraulica. Leonardo stesso lavorò per il collegamento navigabile fra Milano ed il Lario di Lecco per mezzo del Naviglio di Paderno.
La darsena di Milano nella prima metà del secolo XX era uno fra i primi porti d’Italia per tonnellaggio di merci trasportate (la sabbia del Ticino). Una feconda convivenza incrinatasi nel XX secolo a causa di una serie di sconsiderati interventi fra i quali mi limito a citare:
- la copertura della cerchia interna dei Navigli, per fare spazio alle auto;
- la trasformazione della Vettabbia, del Seveso e dell’Olona in cloache, e la loro progressiva copertura, lungo tutto il percorso cittadino e oltre (pur trattandosi di corsi d’acqua con regime naturale torrentizio);
- l’abbandono dei navigli e della darsena per un maldestro intento di velocizzazione del traffico autoveicolare, e la loro trasformazione da elemento vitale di un sistema integrato dei trasporti ad oggetti puramente decorativi;
- l’abbassamento incontrollato del livello delle falde idriche sotterranee, per prelievo eccessivo dai pozzi, nel secondo dopo-guerra, seguito, verso la fine del secolo, da un prevedibile innalzamento delle stesse, che ha provocato a sua volta ulteriori problemi;
- l’inquinamento dei terreni con la conseguente contaminazione delle acque di falda (protette solo parzialmente dagli strati impermeabili del sottosuolo) oggi di qualità non più eccellente seppure nel rispetto (pur con qualche eccezione) dei limiti di potabilità;
- la costruzione dello scolmatore del Seveso e dell’Olona, che ne riversa nel Ticino le acque di piena: oltre che discutibile dal punto di vista ambientale, risulta largamente insufficiente.
Tutto ciò ha fatto di Milano una città vulnerabile dall’acqua e all’acqua.
E questo è il contesto in cui Milano si è aggiudicata, contro Smirne, l’Esposizione Universale del 2015.
Elisa Barraco, responsabile per i rapporti con l’estero di EXPO, rispondendo ad una mia domanda nel corso di una conferenza il 9 aprile a Cormano, ha dichiarato che l’Organizzazione Internazionale di EXPO ha scelto Milano per il tema Nutrire il pianeta, energia per la vita e per la Via d’Acqua che la delegazione milanese s'era impegnata a realizzare.
La prospettiva della Via d’Acqua, da alcuni intesa come Canale Navigabile o addirittura come riapertura della cerchia interna dei Navigli, aveva fatto sognare una Milano liberata dalla morsa degli autoveicoli; sogni infranti dalle precisazioni del Commissario e dei suoi collaboratori.
A mio parere, condizione essenziale perché la proposta di nutrire il pianeta sia credibile è che anche EXPO, che se ne fa carico, si conformi a coerenti criteri di razionalità e sobrietà.
Le vicende legate alla Via d’Acqua, più correttamente definita “canaletta”, testimoniano invece che si dovrebbe trattare di un'opera di grande impatto ambientale ma indifferente, per non dire in contrasto, con le esigenze attuali e future del territorio; e funzionale alle esigenze d'immagine di EXPO ma destinata ad una vita effimera, come la stessa Esposizione.
Altrettanto grave è che, per la mancanza di fondi di cui soffre EXPO, si cerchi coi più vari stratagemmi di dirottare sulla Via d’Acqua fondi statali stanziati per infrastrutture (come la storica tramvia extraurbana per Seregno) già in fase di progettazione esecutiva ed essenziali per alleggerire il traffico paralizzante del Nord Milano.
Il quadro economico dell’evento dipinto dalla signora Barraco indica in quasi 5 miliardi di Euro il profitto “turistico”, meno di 1,5 mld gli investimenti pubblici, 0,5 mld quelli privati e 1,2 mld la spesa degli Stati per realizzare i propri padiglioni.
Se le più antiche EXPO, a partire dalla prima, nel 1851 a Londra, avevano anche importanti obiettivi scientifici (confrontare le conoscenze più avanzate in campo tecnologico), la facilità delle odierne comunicazioni planetarie fa venire meno questo fine, sicché l'educazione alimentare risulta il pretesto nobile di un'esposizione con scopi palesemente commerciali.
Come spiragli di impegno per i veri bisogni dell'umanità e per sollecitare al massimo le potenzialità educative di EXPO vedo la presenza di Caritas Internazionale e di quelle Nazionali, su un tema che da decenni le trova in prima fila contro la fame.
Ma nutro dubbi sul fatto che l'evento, che punta a spostare su Milano 20 milioni di visitatori paganti, possa giustificare la cementificazione di 110 ettari di suolo.
Seppure si è cercato di mitigare il danno, redigendo rigorose linee guida per contenere i consumi energetici per le opere edilizie, l'uso di questi spazi a EXPO finita non è stato ancora deciso, mentre il risultato di strapparli all'agricoltura è già raggiunto!
A maggior ragione ritengo inutile la Via d’acqua (salvo che per l'impianto di raffrescamento): l'impiego irriguo, di cui qualcuno parla, è soltanto un pretesto!
Ed anche senza prendere in considerazione i danni prodotti al verde dei parchi attraversati, contenuti ma non azzerati da una condotta sotterranea, un’opera motivata solo da esigenze d'immagine rappresenta la negazione dei valori universali che si vorrebbero proporre.
Abbiamo troppo osato sperando che, di fronte a tante ragioni di opposizione, i tecnici preposti abbracciassero soluzioni alternative alla Via d'Acqua; ad esempio l’impiego di tratte della rete irrigua esistente, da ripristinare.
Una EXPO davvero attenta al territorio avrebbe mirato a ricucire il legame Milano-Acqua di cui abbiamo scritto all'inizio: ponendo rimedio con interventi poco costosi ma diffusi ai problemi evidenziati, ed invece...
Purtroppo ha ancora allievi la scuola di quei tecnici
che hanno impermeabilizzato e trasformato in laghetti i bacini sperimentali di ricarica della falda a Cinisello (creati negli anni '70 per contrastare con le acque del Canale Villoresi la gigantesca depressione piezometrica di Milano e l'aumento di concentrazione dei nitrati nell’acqua potabile);
che hanno costruito decine di stazioni della Metropolitana sotto il livello della falda freatica, ignorandone le possibili fluttuazioni, puntualmente verificatesi;
che agli albori del terzo millennio, incuranti delle lezioni impartite da piogge anche di modesta entità, ancora hanno ulteriormente esteso la copertura del Seveso in via Ornato a Milano.
E, così facendo, continuano ancora ad esporre Milano e l'Italia tutta al rischio di una brutta figura davvero "universale" nel caso in cui, proprio a EXPO in corso, al Seveso dovesse venire in mente di rifarsi una passeggiata per Niguarda come accade ormai di frequente, e magari di avvicinarsi anch'esso ai padiglioni dell'Esposizione approfittando della metropolitana Lilla: già l'ha fatto a fine settembre 2010 ma s'è fermato a Zara, la linea non era ancora completata!
Un’evenienza tutt’altro che remota, come dimostrato dall’inondazione dell’8 luglio che è arrivata fin quasi a lambire i piedi del “Bosco verticale” e delle nuove moderne edificazioni del quartiere Isola (nomen omen?).
Un episodio che, essendo ormai imminente l’appuntamento del 2015 con il Pianeta, ha insinuato nelle autorità locali e nazionali il timore che quanto sopra paventato possa davvero verificarsi alla presenza degli ospiti convenuti da tutto il mondo.
L’augurio che oggi possiamo farci è, dunque, che questa sana paura sia il motore finalmente capace di invertire la logica degli interventi sul territorio rispetto a quella che l’ha governato negli ultimi decenni, con le conseguenze che sappiamo sulle acque che vi scorrono (sopra e sotto!).
 
Giovanni Guzzi, luglio 2014
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