L'Eclettico



Il lupo e l'agnello... lungo il ruscello



L'acqua che piove e il rispetto del prossimo

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IL LUPO E L'AGNELLO... LUNGO IL RUSCELLO

 

L’acqua che piove e il rispetto del prossimo

 
I meandri e le anse del fiume aumentano i tempi di percorrenza (e di conseguenza i tempi di corrivazione - vedi qui), riducendo la frequenza delle onde di piena (queste raggiungono il massimo quando la pioggia persiste sull’intero bacino per un tempo almeno pari al tempo di corrivazione). Di conseguenza ogni rettificazione del corso di un fiume contribuisce ad aumentare frequenza e intensità delle piene e dei disastri che ne conseguono.
Le arginature che ancor oggi si realizzano, con sponde lisce in cemento, diminuiscono l’attrito dell’acqua e ne aumentano la velocità di transito: sarebbe conveniente invece mantenere sponde naturali o naturalizzarle.
 
Gli scolmatori, che trasferiscono da un bacino all’altro parte dell’onda di piena, con problemi idraulici e d’inquinamento a valle, sono esempio di una cultura del sopruso del più forte (Milano e il suo territorio, per quel che riguarda lo Scolmatore di nord ovest), nei confronti del più debole (Pavia e Parco del Ticino), quando divengono permanenti e non sono accompagnati da misure di risanamento idrogeologico.
Giustamente sono state create le Autorità di Bacino per i fiumi italiani, ma il comportamento delle stesse è ancora influenzato dagli interessi forti (una riprova sta nella risposta a istanze da noi rivolte negli ultimi anni all’Autorità di Bacino del Po - di cui il Seveso è affluente, tramite il Lambro - lasciate cadere pur in vista di ulteriori compromissioni del territorio).
Pertanto ogni intervento mirante a velocizzare il transito delle acque di superficie, qualora efficace per scongiurare l’inondazione localmente, crea situazioni di pericolo nella parte a valle del bacino, esaltando l’onda di piena che lo raggiungerà.
Quando Piemonte e Lombardia tirano un sospiro di sollievo, Emilia e Veneto, sulle rive del Po e nel Delta, ancora temono il disastro, e questo disastro sarà tanto più grave quanto più a monte si sarà cercato di eludere i veri problemi, con la scorciatoia degli scolmatori e con le rettifiche di corso dei fiumi.
Analogamente a Milano Niguarda, e non solo, cantine e box saranno allagati quando a Bresso, Cusano Milanino, Paderno Dugnano e via via, verso Nord, si sarà pensato solo a far passare l’onda di piena, senza prendersela in carico.
Un discorso a parte meritano i bacini di laminazione, proposti in alternativa agli scolmatori. Pur utili per diminuire le potenzialità distruttive dell’onda di piena, danneggiano il territorio proprio dove esso è stato meglio tutelato. Difficili da gestire correttamente, sono una iniqua penalizzazione per la comunità che li accoglie se non sono realizzati a titolo provvisorio, congiuntamente con l’inizio del risanamento idrogeologico del bacino.
Tutte queste vicende rimandano alla favola di Esopo “Il lupo e l’agnello”; i responsabili fanno pagare ai più deboli le conseguenze del loro comportamento, mentre i fondi concessi dallo Stato alla Lombardia sono addirittura destinati ad opere che potranno danneggiare indirettamente i territori rivieraschi del Po in Emilia e Veneto.
Una sola “politica” mette insieme efficacia idraulica, rispetto del territorio, solidarietà con le comunità che insistono sul bacino; essa consiste nel ripristino dell’infiltrazione naturale nel sottosuolo, sostenuta e incentivata dalla tariffazione diffusa (come già avviene per la depurazione delle acque reflue) delle quote di acque meteoriche rilasciate in fognatura.
In attesa che ciò avvenga, e in alternativa nelle aree più compromesse, si può accettare la strategia dei bacini di laminazione delle onde di piena, non già con impianti di grosse dimensioni, ma con piccole vasche a scala di unità abitativa (come già si pratica con successo in alcune città d’Italia).
Questa proposta, lanciata da chi scrive per i PRG e PGT di alcuni Comuni del Nord Milano, ha incontrato solo incomprensione da parte di tecnici e amministratori; proprio quelli che non provano disagio a scomodare le “bombe d’acqua” per piogge di media intensità e ad elemosinare fondi statali per riparare a  disastri conseguenti all’inefficienza delle Amministrazioni da loro guidate.
Partendo dall’acqua di pioggia, distribuendo fra tutti gli attori, in proporzione alle rispettive responsabilità, l’onere della mitigazione degli effetti delle precipitazioni più intense, sarà possibile iniziare lo smantellamento di tante, piccole porzioni di territorio assurdamente cementificati (piazzole, vialetti, baracche, ecc.); chi sarà chiamato a rispondere economicamente dei danni provocati e delle opere di mitigazione necessarie in proporzione con le acque meteoriche da smaltire, vedrà più conveniente la strada del recupero della naturalezza del suolo nelle rispettive proprietà, piuttosto che la conservazione di uno stato innaturale del territorio.
 
Umberto Guzzi, geologo, dicembre 2014
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