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Piove... e la verità viene a galla



Ecco perché il Seveso allaga Milano

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PIOVE... E LA VERITÀ VIENE A GALLA

Ecco perché il Seveso allaga Milano

 
UNA PIOGGIA INTENSA MA NON ECCEZIONALE
 
Data fatidica questo 15 novembre. Triste per tante persone danneggiate e, in fondo, per tutti noi, cittadini di un territorio disastrato; chiarificatore per chi ancora nutrisse dubbi.

 

È piovuto molto, ma non è stato il ciclone o la “bomba d’acqua” di cui si parla a sproposito: 119 millimetri (mm) di pioggia sono caduti a Milanino, ove abito. S’è trattato, qui, come in tutto il Nord Milano, per 24 ore, di una precipitazione da debole a moderata, ininterrotta, con intervalli di precipitazione forte (fra 6 e 10 millimetri all’ora - mm/h) e alcuni scrosci (> 10 mm/h).
Precipitazioni superiori ai 100 mm giornalieri si sono verificate una decina di volte dal 1990 a oggi (per gli interessati: scrivere qui), ma probabilmente mai, a Milano, i danni sono stati gravi come questa volta.
E, purtroppo, era tutto prevedibile... e previsto (inclusi i timori per EXPO che ora assillano il suo Commissario).
È piovuto con pari intensità su tutto il bacino del Seveso: ne fa testo un’onda di piena che lo Scolmatore di Nord Ovest non è stato in grado di “tagliare” in modo sufficiente.
L’esondazione ha colpito non solo il quartiere di Niguarda (come avviene da decenni), ma anche il “Quartiere Isola” e la stazione Garibaldi della Linea 2 della Metropolitana.
 
 
ACQUE DI SOPRA E ACQUE DI SOTTO

Proprio qui, lungo la Linea 2, fra le fermate Garibaldi e Gioia, s’è verificato l’evento che nessuno più nega, ma che covava latente da alcuni lustri: le acque di superficie sono entrate in contatto con le acque del sottosuolo, e questo abbraccio ha aperto un capitolo nuovo nella storia delle acque a Milano.

 

Dobbiamo tornare alla prima metà del XII secolo per ritrovarci in analoga situazione. Allora le acque di falda, molto prossime alla superficie, soprattutto a Sud di Milano, venivano a giorno qua e là formando acquitrini.
Ci vollero i monaci cistercensi di San Bernardo per realizzare una conduzione agricola che, per otto secoli, sarebbe stata il vanto e la ricchezza delle nostre campagne.
Le acque del sottosuolo, relativamente calde, poco profonde e in pressione, venivano portate a giorno attraverso tini infissi nel suolo, di qui incanalate ad irrigare le campagne, le “marcite”; queste producevano foraggi anche in pieno inverno.
Oggi non i monaci, ma più prosaici tecnici e amministratori poco avveduti e gruppi di interesse fin troppo avveduti hanno realizzato il nuovo “miracolo a Milano”.
 

COME DUE FRONTI IN LOTTA

Come sono andate le cose? Come in una guerra, due “fronti” sono in lotta.

 

1 - Nel sottosuolo, nell’immediato dopoguerra, scavando sotto Milano, si incontrava l’acqua a profondità variabile dai 7 metri circa nei quartieri Nord fino a meno di 100 cm nei quartieri Sud;

 

   vennero poi gli anni del “boom” economico, che per Milano significarono lavoro per tutti, immigrazione dal Mezzogiorno d’Italia e dal Veneto, costruzione frenetica di abitazioni, uffici ed edifici industriali: purtroppo con poche regole e pochi controlli; ne conseguì, soprattutto da parte delle industrie, un prelievo abnorme di acqua dal sottosuolo, favorito anche dal basso costo e dalla facilità di estrazione;
   le falde idriche vennero prosciugate in pochi lustri, con livelli di falda che precipitarono di 20-30 metri; vi furono problemi di stabilità per gli edifici importanti, come il Duomo; si studiarono i mezzi per contrastare il fenomeno;
   prima ancora che le misure studiate venissero messe in atto, sul finire degli anni ’70, e, ancor più, nel corso degli anni ’90, i livelli di falda presero a risalire (minor consumo d’acqua per dismissione industriale e impianti di riciclo): quello che sembrava un provvidenziale recupero delle condizioni naturali preesistenti divenne un incubo;
   infatti ben radicati gruppi di interesse avevano scoperto la Milano sotterranea: scavare nel sottosuolo all’asciutto era divenuto un affare per chi intendeva realizzare autorimesse e parcheggi a più piani sotto terra; anche Metropolitana Milanese si era lanciata nell’impresa con la Linea 2; eppure il buon senso avrebbe prescritto di considerare come limite di fluttuazione del livello di falda non quello contingente, ma il più alto conosciuto: sarebbe bastata la consultazione di documenti del Consorzio Acqua Potabile disponibili in tutte le biblioteche per conoscere i livelli di qualche decennio prima;
   ma si doveva dare la precedenza agli interessi, anche contro le leggi della natura: la falda doveva rimanere sotto; decine di pozzi vennero perforati dalla stessa Metropolitana Milanese; più di un metro cubo al secondo (mc/s) di acqua veniva e viene estratto e scaricato in superficie per evitare l’immersione delle stazioni e dei tunnel più profondi. L’evento del 15 novembre dimostra che ciò non basta più.

2 – In superficie. Gli allagamenti che si registrano a Milano-Niguarda e dintorni, anche con precipitazioni relativamente modeste (dell’ordine di 50-60 mm di pioggia caduta nelle 24 ore) sono dovuti a:

 

   sezione obbligata dell’alveo del Seveso in città, ove è tombinato dal confine con Bresso fino a oltre San Donato Milanese (da via Melchiorre Gioia unisce le sue acque a quelle del Naviglio della Martesana e prende il nome di Redefossi): la portata massima consentita è di 40 mc/s;
   impermeabilizzazione del territorio, che imperversa dall’immediato dopoguerra, non rallentata neppure nell’occasione dell’attuale crisi economica, con sempre nuove strade, piazzali, fabbricati civili e industriali, che impediscono l’infiltrazione delle acque di pioggia nel sottosuolo e le costringono a fluire direttamente nell’alveo del Seveso.
   Il rimedio fin qui approntato è lo Scolmatore di Nord Ovest, che dirotta in Ticino un massimo di 30 mc/s d’acqua dalla traversa sul Seveso di Palazzolo a Paderno Dugnano; le inondazioni a cadenza sempre più ravvicinata hanno dimostrato l’insufficienza del sistema quando il Seveso, alleggerito dei 30 mc/s prelevati dallo scolmatore, si presenta a Niguarda con portate superiori a 40 mc/s.
Scartate le ipotesi di un raddoppio dello Scolmatore di Nord Ovest e/o di un nuovo scolmatore verso il Lambro, si prospetta la realizzazione di 5 vasche di laminazione delle acque di piena del Seveso a Lentate, Paderno Dugnano, Senago, Varedo e Milano, con una capacità complessiva d’invaso di 4,2 milioni di mc (un flusso d’acqua di 50 mc/s le riempirebbe in 24 ore; una volta riempite, occorre provvedere quanto prima allo svaso, per poterne usufruire in una successiva piena).

 
LA SVOLTA

3 – L’episodio del 15 novembre segna un momento di svolta: Niguarda, Quartiere Isola, Linea 2 del Metro fra Stazione Garibaldi e Milano Centrale immobilizzati dall’acqua: non è solo l’acqua del Seveso, non è solo l’acqua di pioggia che ha impegnato scarichi fognari insufficienti, non è solo l’acqua di falda: tutte e tre le cause vi hanno concorso, per dire di no:

 

I - alla cementificazione selvaggia, che impedisce all’acqua piovana di infiltrarsi nel sottosuolo;
II - all’escavazione sotto il livello di fluttuazione della falda delle fondazioni nel quartiere dei grattacieli, senza misure compensative: essa non solo comporta allagamento delle strutture ivi realizzate, ma può ostruire il flusso naturale delle acque sotterranee, innalzandone in modo abnorme il livello nei terreni a monte.
 
4 – Conclusioni. Temo che i milioni di euro stanziati per i tanto auspicati interventi di risanamento idrogeologico dell’area nord milanese serviranno a dare lavoro e utili ad imprese sul tipo di quelle che nei decenni passati hanno contribuito a creare la situazione di dissesto in cui affoghiamo (si veda la copertura del Seveso a Niguarda nel 2000, voluta dalla Regione ed approvata nel 2002 dall’Autorità di Bacino del Fiume Po), a procrastinare i problemi, a renderne sempre più complessa la soluzione.
Altrove già ho illustrato la mia proposta di risanamento del bacino d’alimentazione del Seveso, ripristinando senza spesa per le pubbliche amministrazioni la capacità filtrante dei terreni, e come questa sia alternativa, più efficace e probabilmente più rapidamente realizzabile dei bacini di laminazione. Sarebbe magari più utile che siano destinati ad essa gli ingenti fondi che risultano stanziati per le opere idrauliche citate.
Altri due articoli li ho dedicati agli inconvenienti legati agli scolmatori esistenti o proposti nel nostro territorio, e come siano da rifiutare per valutazioni non solo idrauliche ma anche etiche.
Lascio a chi l'ha progettata e realizzata, ed a chi l'ha autorizzata, la risoluzione dei primi fra i tanti problemi creati dalla trasformazione verticale di un quartiere della nostra città.
A chi ha permesso il ricongiungimento “biblico” fra le acque che stanno nel cielo con quelle che stanno sotto terra suggerisco la riflessione riportata su una rivista specializzata nel settembre 2000 “… opere incompatibili con il territorio non potranno essere protette ad oltranza nei confronti di un evento che, pur con fasi alterne, è in grado di procedere silenzioso con l’energia incontenibile di una marea”.
 
Umberto Guzzi, geologo, novembre 2014
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