L'Eclettico



La Hadra del Marocco



L'ECLETTICO - web "aperiodico"

LA HADRA DEL MAROCCO
Donne che cantano l'Islam sacro

 
Che la si viva come esperienza religiosa nel contesto di una funzione liturgica in chiesa, la si goda come espressione artistica in una sala da concerto o, più semplicemente, la si detesti… la musica sacra della tradizione occidentale è un patrimonio che è comunque familiare a tutti.
Non è così per la musica sacra di altre tradizioni culturali che spesso, sbagliando, non riconosciamo come tale considerandola, con visione riduttiva, una manifestazione semplicemente folkloristica. Un’occasione di crescita culturale sotto questo profilo è stata offerta dalla Hadra delle donne di Chefchaouen (nord del Marocco), proposta nell’ambito del festival MiTo 2012 ed espressione al contempo musicale e religiosa.


Hadra è un termine arabo che letteralmente significa “presenza” e indica un rituale collettivo, unico quanto universale, che sperimenta la ricerca dell’ascesi spirituale ed è praticato nel contesto delle riunioni delle confraternite religiose legate alla cultura sufi. Si tratta di un’antica tradizione risalente al XVI secolo e trasmessa di generazione in generazione dalla dinastia dei Bekkaliya; ad essa dobbiamo un importante lascito di parabole, poemi religiosi e canti popolari in lingua araba ai quali, nella Hadra, si accostano brani dal repertorio sufi dei canti del Sama’a, composti da maestri della tradizione araboandalusa come Ali al-Halabi, Abu Mohammed al-Harraq o al-Shushatri.
La Hadra consiste infatti nell’intonare invocazioni, lodi e preghiere al fine di raggiungere un grado di estasi (wajd), considerato frutto di un’unione con la presenza divina. Oggi si esprime soprattutto per le moussem, festività e ricorrenze, in particolare quella di Mouloud, anniversario della nascita del profeta Maometto.
La santa Cherifa Lalla Hiba Bekkaliya, appartenente alla zawiya (luogo di riunione di una confraternita) Bekkaliya del villaggio di Douar Haraïk, situato nel territorio della tribù di Ghzaoua, è una delle personalità preminenti della stirpe di maestri spirituali sopra citata ed è considerata la capostipite della Hadra delle donne di Chefchaouen, la cui pratica si è conservata senza interruzioni fino ai giorni nostri.
Attuale depositaria e preservatrice di questo antico retaggio del sufismo e delle tradizioni popolari è Sayda Rahoum Bekkali, figlia di uno sceicco e diplomata in musica araboandalusa (canto e oud), attenta a curare particolarmente l’aspetto estetico di un’arte spirituale alla quale aggiunge creatività e originalità.
Rahoum trasmette il suo insegnamento a un gruppo di giovani donne della regione di Chefchaouen, denominato Akhawat el-Fane el-Assil: le “sorelle dell’arte tradizionale”. Tutte nubili, tra i 15 e i 22 anni (a eccezione di Rahoum, al centro della prima foto in alto), le ragazze si riuniscono tre volte la settimana per esercitarsi in questa Hadra esclusivamente femminile. Riunioni che sono al tempo stesso prove in vista delle occasionali rappresentazioni (mai, però, matrimoni: ambito troppo profano che non si addice al loro repertorio) o Hadra propriamente dette.
Non stupisce perciò il fatto che la loro “esibizione” a Milano abbia trasformato il Piccolo Teatro Studio in un luogo mistico. Abbigliate con gli splendidi costumi e copricapi tradizionali delle feste femminili del Rif alcune delle “sorelle”, accomodate a terra in semicerchio su tappeti e cuscini variopinti, imbracciano tamburi di diverse forme, dimensioni e sonorità (bendir, darbuka, tabl, tar, ta’rija)… luccicanti e rivestiti di stoffe decorate che contraddistinguono la sensibilità femminile di chi li suona con mani dalla gentile ed articolata tecnica nell’uso delle dita!
Il loro ritmo parte lento e maestoso al tempo dei battiti del cuore (“metronomo” di riferimento anche per l’antica musica occidentale). Man mano vi vengono poi progressivamente introdotte varianti ritmiche e dinamiche (nell’alternanza di piani e forti) grazie alle quali acquista vivacità in un crescendo (meno energico nella sua declinazione femminile rispetto a quando i musicisti sono uomini) che conduce le partecipanti allo stato di trascendenza che costituisce l’essenza della Hadra.
Sul tappeto sonoro delle percussioni si innesta poi la splendida voce della solista (munshida) che cesella l’ornamentazione di melodie cantate da sola, discretamente accompagnata all’oud o sostenuta da un coro femminile omogeneo, in piedi alle spalle delle musiciste.
Come si diceva più sopra, la parte testuale della Hadra, denominata hizeb, consiste nell’invocazione sacra di formule e litanie. La loro intonazione le vede ripetute più volte con la sottolineatura data dall’insistente battere delle mani e dalla plastica e coreografica gestualità dei movimenti delle coriste: inchini e ondeggiamenti in tutte le direzioni secondo tecniche di trance lievemente stilizzate. All’apice dell’estasi esplodono infine nello zaghrudah, il grido tipico delle donne arabe.
In definitiva, quella della Hadra delle donne di Chefchaouen, si è dimostrata una bellezza fiabesca che affascina anche il pubblico occidentale per la sua musica e la sua forma ma non può essere apprezzata appieno da chi non conosce l’arabo. Mettere a disposizione del pubblico una traduzione dei suoi testi è perciò condizione necessaria per coinvolgerlo secondo la sensibilità di ciascuno: credente o non credente che sia.
Attenzione che favorisce anche una migliore comprensione di una musica alla quale non siamo abituati e che propone sfumature che il nostro orecchio non è abituato a cogliere e perciò, a volte, interpreta come eccessivamente ripetitiva. Sfumature ed equilibri fra voci e strumenti meglio apprezzabili senza amplificazione che, troppo spesso, si ritiene necessaria anche quando, come in teatro, sarebbe preferibile non averla.
Al riguardo, a nostro modo di vedere (ma l’opinione è condivisa da chi ci sedeva accanto), la Hadra milanese ha dato il meglio di sé nei bis eseguiti a microfoni distanti. Bis chiusi da canti senza accompagnamento strumentale perché, ci ha spiegato uno spettatore somalo che comprendeva i testi, nessuno strumento può accompagnare la voce umana quando intona i versetti del Corano.
   
Giovanni Guzzi, settembre 2012
© Riproduzione riservata