L'Eclettico



Limpide come l'aria delle montagne



Voci che cantano la tragedia della Grande Guerra

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LIMPIDE COME L'ARIA DELLE MONTAGNE

Voci che cantano la tragedia della Grande Guerra

 
Chi non frequenta il mondo degli appassionati al canto di montagna e popolare si sarebbe stupito nel vedere il numero delle persone senza biglietto in piazza Sant’Alessandro in attesa, e con la speranza, che l’organizzazione di MiTo, vista la quantità delle richieste, aumentasse all’ultimo momento i posti disponibili per l’esibizione del Coro della S.A.T. (Società degli Alpinisti Tridentini).
Nessuna sorpresa, invece, per chi conosca il valore di questa compagine che è riduttivo definire “fra le migliori” del genere. La qualità del Coro della S.A.T. è, infatti, di livello assoluto sotto tutti i punti di vista e non per nulla ha attirato l’interesse anche di grandi nomi della musica “colta” come il pianista Arturo Benedetti Michelangeli ed i compositori Bruno Bettinelli e Giorgio Federico Ghedini (solo per limitarci ai nomi più noti al grande pubblico) che hanno contribuito ad arricchirne il repertorio dedicandogli numerose armonizzazioni di canti popolari (ben 19 il solo Michelangeli).
Da parte nostra, pur conoscendone la fama (e la discografia), non avevamo mai avuto l’opportunità di ascoltare dal vivo questo coro, pertanto anche in noi era grande l’interesse per il suo programma milanese intitolato I Canti della Grande Guerra.
Un repertorio evocativo della sciagurata quotidianità di ogni conflitto che, al di là della retorica trionfalistica di chi lo propugna (ma di solito poi non si trova mai in prima linea), porta sempre con sé una sola certezza: la rovina della vita della gente semplice che vi si trova coinvolta.
Ed eccoli, finalmente, questi coristi in camicia azzurra e giubbetto di camoscio. Con movimenti rapidi e coordinati entrano in chiesa, si allineano davanti al presbiterio per salutare il pubblico e, subito, le ali si stringono a semicerchio e il canto comincia a librarsi verso lo sguardo del crocifisso che dall’alto della vetrata absidale sembra davvero partecipare alla crocifissione dei “poveri cristi” protagonisti di questi racconti in musica, raccogliendone il dolore innocente nel suo altrettanto innocente sacrificio.
E la musica, seppure il repertorio ci sia più che noto per averlo ormai tante volte ascoltato, è davvero unica grazie ad armonizzazioni per noi inedite, una tecnica vocale eccellente ed un’interpretazione tanto misurata quanto davvero attenta a valorizzare ed assecondare il testo.
Grande merito va alla tradizione di questo coro ed all’attuale direttore Mario Pedrotti che l’ha raccolta e del quale, in un primo momento, non avevamo neppure percepito la presenza.
Diversamente dalla maggior parte dei suoi colleghi non si pone, come loro, in posizione frontale e centrale rispetto al suo coro ma ne fa parte posizionandosi all’estrema destra, fra le voci più gravi, e lo dirige con gesti quasi impercettibili della mano destra che si limita ad aprire e chiudere tenendola allungata sul fianco.
Tragedie belliche e familiari scorrono così, una dopo l’altra, emotivamente coinvolgenti ed allo stesso tempo, grazie alla musica, pacatamente serene. Una dinamica accentuata fa rivivere i massacri per la conquista del Monte Nero. Pianissimi, note tenute ed improvvisi “trilli” “sullo sfondo” della melodia principale ricamano l’invocazione della pace “ma quando la pace si farà” dei giovani trentini assoldati dall’esercito austriaco e mandati a combattere sul fronte della Galizia (Siam prigionieri di guerra). Veramente originale, con l’alternanza di fortissimi e pianissimi ed uno “sparo” onomatopeico aggiuntivo, Ta-Pum, che finisce in crescendo fra il giubilo del pubblico, con qualcuno che, commosso fino alle lacrime, non riesce a trattenersi dal partecipare al canto. Limpidissimo e quasi impercettibile (a me in prima fila, chissà se l'avrà sentito chi era in fondo) il falsetto del tenore che dà voce alla ragazza che, travestita da soldato, segue l’amato al fronte (La si taglia i suoi biondi capelli). Vibranti di armonie piene e, davvero, inaudite in altri generi musicali i bassi della scarna quanto drammatica armonizzazione de La sposa morta.
Ed, infine, come terzo bis, il canto alpino che, ci risulta, essere preferito da Papa Francesco: Il testamento del Capitano… Di nuovo torna il falsetto sottile per il pensiero rivolto alla mamma, subentra il coro sottovoce per la sua bella e poi il crescendo irrefrenabile verso le montagne trascina il pubblico in piedi fra grida di entusiastica approvazione (forse non proprio consone per il luogo sacro).
Una sola osservazione ci sia consentita. Come ci è stato spiegato, la tecnica vocale di questi cori popolari se da una parte permette di costruire impasti armonici davvero mirabili, dall’altra non consente ai coristi un impegno continuato per cui le interruzioni costituite dalla presentazione di ogni brano così come gli applausi al termine di ciascuna esecuzione sono una necessità per letteralmente “prendere fiato” e riposare le corde vocali.
Resta il fatto che, con repertori di questo tipo ed interpretazioni di questo livello, l’introduzione di stratagemmi diversi per ottenere il medesimo risultato (ad esempio la recitazione di testi poetici fra un canto e l'altro) unita all’invito a mantenere il silenzio e riservare gli applausi al finale darebbe questo genere di concerti un’intensità emotiva ancora più forte.
Con un repertorio analogo c'è chi proverà a farlo nel 2015 con le parole di Papa Francesco del suo prossimo messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace.
Chissà che il Coro S.A.T. (e magari anche altri) non voglia “copiare” l’idea!
 
Giovanni Guzzi, settembre 2014
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