L'Eclettico



La Engelpietà



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LA ENGELPIETÀ

 
La cosiddetta “Engelpietà”, ovvero la Pietà in cui Cristo è accompagnato da due o più figure di angeli è, nell’ambito del tema più generale, un particolare soggetto ben rappresentato nella mostra dedicata da Brera alla pittura devozionale umanistica.
Il primo esempio esposto è una lunetta di Giovanni Bellini con Cristo in pietà tra due angeli (1464 ca. - Venezia, Gallerie dell’Accademia) la cui leggerezza è suggerita dal librarsi nell’aria delle code dei nastri trasparenti che serrano le tuniche che li rivestono.
Il carattere devozionale del dipinto è rafforzato dall’essere gli angeli stessi in preghiera/adorazione come mostrano le mani giunte dell’uno e le braccia raccolte sul petto dell’altro.
Dalla chiesa di San Gaetano a Padova arriva invece il rilievo su marmo Pietà con angeli e le Marie (1448-1453) attribuito a Donatello (e bottega).
Qui, ad affiancare il Cristo che reclina il capo sul petto, troviamo due angeli di tutt’altro spessore drammatico rispetto a quelli appena descritti.
Gli angeli di Donatello non sono in adorazione estatica ma pienamente coinvolti nello strazio della morte e perciò urlano il proprio dolore!
Dietro la testa dell’angelo di destra spuntano poi mani agitate che rimandano ad altre mani e ad altri urli altrettanto disperati: quelli dipinti da Caravaggio... di Giovanni che sembra già guardare verso Gesù in croce sull’estrema sinistra della scena nella Cattura di Cristo e di Maria di Cleofa sulla destra della Deposizione.
Particolare curioso che completa il bassorilievo nella porzione inferiore: le due teste delle Pie donne (così identificate dalle avidenti aureole) che escono da dentro il sarcofago nel quale si trovano assieme al loro Signore.
Sempre ai modelli di Donatello (ma anche di Mantegna) fa riferimento anche il Cristo in pietà con tre angeli entro un’edicola (1460-1480, Faenza, Pinacoteca Comunale): cartapesta su supporto ligneo opera dell’ambito di Bartolomeo Bellano.
Il Cristo, tridimensionale per accrescere la drammaticità, appoggia il polso sinistro sul dorso alla parete di fondo del sepolcro di cui sono rese con cura dei dettagli le sfumature del marmo ed all’interno del quale sono mostrate le ginocchia piegate del Crocifisso che non è frequente veder rappresentate.
Con altrettanto realismo materico sono resi sia il sangue rappreso che scorre dalle ferite di Gesù, segnandone il capo, il costato e le braccia, sia le lacrime dorate che rigano il viso dei tre angeli.
Fra essi mi colpisce più degli altri quello, per così dire, “lunare” dell’angelo alle spalle di Cristo che emerge dallo sfondo, dorato come la trabeazione dalle ricercate decorazioni che incornicia l’opera.
La mia ignoranza in fatto d’arte mi consente, infatti, di potermi permettere di riconoscergli una modernità che ritrovo alla sala XI di Brera nel Volto in una falce di luna crescente di Odilon Redon.
Ritornando alla tempera su tavola troviamo sul nostro percorso gli angeli “apteri” ovvero senza ali del Cristo in pietà e angeli (1456 ca., Londra, The National Gallery) di Giorgio Culinovic, detto lo Schiavone per le sue origini dalmate.
Con Marco Zoppo, Mantegna e Carlo Crivelli (anch’essi in mostra) era allievo nella bottega padovana di Francesco Squarcione del cui gusto per il disegno a matita, per i contorni nitidi e per l’antichità (di cui conservava in bottega reperti come modelli per le sue opere) divenne uno dei principali interpreti.
Lo si vede bene in questi solidi angioletti: freddi quasi fossero scolpiti, in vesti dalle maniche elegantemente trinciate e che afferrano Cristo con mani che sembrano ventose dal piano superiore di un sepolcro che ha le stesse caratteristiche di quello già visto nella Meditazione di Marco Zoppo.
Ad ogni modo il modello più diretto di quest’opera sembra essere un dipinto del periodo padovano di Filippo Lippi oggi in Ungheria, a Esztergom, nel Keresztény Múzeum.
 
Giovanni Guzzi, luglio 2014
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Di altri angeli, e altre Pietà...

 

Un sentito ringraziamento alla dott.ssa Emanuela Spinelli, collaboratrice ai Servizi Educativi della Pinacoteca di Brera, alla quale sono debitore per molto di quanto è contenuto in questo articolo.