L'Eclettico



L'Africa di Nadine Gordimer



Quando la letteratura è vita

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LO "SPLENDIDO SAFARI" DI NADINE GORDIMER

Quando la letteratura è vita vera

 
Si può provare sincero dolore per le sofferenze di persone che non conosciamo? Io sono convinto che sia possibile, visto che a me succede.
Lo dimostra una personale vicenda legata alla fortunata opportunità che mi si è presentata alcuni anni or sono di un incontro ravvicinato con Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana (nata nel 1923 nella regione del Transvaal) premio Nobel per la letteratura nel 1991 ed attivista contro l’apartheid.
 
Era stata invitata a Milano per l’iniziativa “Libri a Palazzo Clerici” nell’ambito della quale, fra gli stucchi dorati e gli specchi della sede dell’Ispi (Istituto Studi di Politica Internazionale) che organizzava l’appuntamento, prima di dialogare col pubblico intervenuto, lei stessa aveva letto un racconto tratto dalla raccolta “Il Salto” (Jump and Other Stories, 1991) di cui l’Universale Economica Feltrinelli pubblicava la riedizione.
Diversamente da quanto accade per molti autori, che si ostinano a leggere i propri testi pur non possedendo i requisiti per farlo in modo adeguato, la sua lettura in inglese, anche per me che non padroneggio con disinvoltura questa lingua, è risultata chiarissima (almeno così credevo), incisiva ed emotivamente coinvolgente.
Il brano scelto era “Il non plus ultra dei safari”, titolo che la Gordimer ha reso ancor più sarcastico accompagnandolo con le seguenti breve righe di introduzione al racconto vero e proprio:
L’avventura nella tua Africa continua...!
Il non plus ultra dei safari e delle spedizioni
con accompagnatori che conoscono davvero l’Africa.
Annuncio pubblicitario,
“Observer”,
Londra, 27 novembre 1988
Una lettura che mi si è impressa nell’animo, al punto da non poterla più dimenticare soffrendone ancor oggi ogni volta che vi torno col pensiero, e racconta la drammatica vicenda dei fuggiaschi dalla guerra civile fra le fazioni del Frelimo e della Renamo che ha insanguinato per decenni il Mozambico dopo l’indipendenza dal Portogallo.
Anche in questo momento in cui ne scrivo rivedo distintamente davanti agli occhi, evocata dal racconto della Gordimer, la tragedia di queste persone di ogni età entrate nei confini del Sudafrica attraversando la splendida natura del Kruger Park ma senza alcuna possibilità di ammirarla.
Ne vedo i corpi distrutti dal dolore e dalla fatica che si trascinano fra la vegetazione spaventati da ogni rumore che può indicare la presenza di bande armate o di animali selvatici che possono ghermirli in ogni momento.
Le seguo mentre, silenziose nella notte come fantasmi quali davvero ormai sono, devono porre attenzione a tenersi a distanza dagli accampamenti dei turisti per non essere catturati e respinti dalle guardie del Parco.
Ne “sento” la sofferenza per i morsi della fame che le prende allo stomaco nel momento in cui arriva alle loro narici l’odore della carne cucinata sui fuochi che allietano le serate di chi si trova in vacanza dove loro, invece, cercano una speranza per aver salva la vita.
Una speranza che non è per tutti e che può porre un’anziana donna nella straziante necessità di dover abbandonare il suo uomo che non riesce più a camminare per portare in salvo i tre nipoti, ben consapevole che chi si è lasciata alle spalle fra la vegetazione sarà ben presto preda delle minacce dell’ambiente selvaggio in cui si trovano e che dà angoscia anche soltanto il nominarle (e perciò non le nomino).
Una donna che, come si diceva in apertura, non ho mai visto, in questo caso addirittura un personaggio letterario, eppure una donna vera, una donna come tante che nel mondo vivono situazioni altrettanto drammatiche e che qualcuno potrebbe obiettare che è impossibile sentire vicine, a maggior ragione quando si verificano nell’emisfero del pianeta opposto al nostro.
Mi capita spesso di parlare di questa vicenda che, negli anni, mi sono accorto di raccontare come se narrassi un fatto vero!
A dimostrazione che identificarsi anche con sofferenze lontane si può.
Anche grazie alla capacità di scrittori come la Gordimer, che fatti come quelli descritti li ha visti con i suoi occhi e se ne è fatta carico, affiancando al talento letterario il coraggioso impegno civile che ne ha caratterizzato l’intera vita; perché convinta che uno scrittore, come ha dichiarato nel discorso di accettazione del Nobel, “è un essere umano responsabile, che deve agire con responsabilità all’interno di un contesto sociale”.
Una responsabilità condivisa con chi legge, al quale, a sua volta, spetta il compito di non lasciare che la “compassione” provata resti fine a sé stessa, ma diventi azione per fare quanto è nelle proprie possibilità affinché fatti del genere non debbano più essere fonte di ispirazione per opere letterarie.
 
Giovanni Guzzi, febbraio 2013
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Il non plus ultra dei safari