L'Eclettico



Ti racconto... la mia musica del settembre milanese



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TI RACCONTO...

La mia musica del settembre milanese

Un personale diario di MiTo 2014 a Milano

 
Cara M.,
è un vero peccato che quest’anno tu non ti sia potuta permettere l’abituale “toccata e fuga” musicale milanese.
Ricordo bene quanto ti piaceva goderti gli ultimi giorni di vacanza nella Milano che a poco a poco torna ad affollarsi ma ancora vive in quel clima di leggerezza estiva accompagnato dalla musica che risuona in centinaia di appuntamenti di ogni genere ed in ogni luogo che rendono leggera la ripresa delle attività ordinarie, per quanto faticose esse possano essere. Proprio come quando, all’inizio di ogni giornata lavorativa, non appena entri in ufficio e prima ancora di svestire il soprabito, subito accendi il computer e ti colleghi al canale web della filodiffusione che ti fa risultare piacevole anche il lavoro più noioso e ripetitivo.
Però, aspetta, mi è venuta un’idea, potrei provare a raccontartelo questo MiTo SettembreMusica 2014…
Approfittando del fatto che non c’è luogo di Milano (chiese, palazzi, parchi, viali, teatri...) che tu ormai non conosca e che non ricordi pietra per pietra o albero per albero, e siccome l’immaginazione non ti manca, leggendo quel che ti scrivo (magari col sottofondo della musica in programma) potrai vivere anche tu almeno un poco quello che qui tanti milanesi e “forestieri” si sono goduti (ed io con loro).
 
 
21.IX
I numeri 1 di Brahms: il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore op. 15 e la Sinfonia in do minore op. 68
 
 
 
 
 
 

 
20.IX
L'usignolo dell'imperatore
L’ingresso è rigorosamente vietato agli adulti non accompagnati da minori! Questa avvertenza dovrebbe corredare i promo degli spettacoli di MiTo dedicati ai bambini. Già, perché, se lo si frequenta per portarvi figli o nipoti, la propria percezione del “clima” acustico di un teatro pieno di bambini (anche molto piccoli) è diversa da quella di chi ci va per assistere allo spettacolo. Da parte nostra, giunti quasi alla fine di una rassegna seguita assiduamente, eravamo incuriositi sia dal verificare di persona l’efficacia di una proposta che si prefigge di “costruire” un nuovo pubblico per la musica colta dei decenni a venire sia, lo confessiamo, dalla fiaba in sé, L’usignolo dell’imperatore, di cui avevamo una vaga memoria e che, proprio per questa ragione, ci attirava particolarmente.
Eravamo tuttavia pronti a tutto, nel senso che non ci saremmo scandalizzati per intemperanze e rumori vari indotti dall’età che, in altri ambiti, sarebbero da stigmatizzare.
Lo spettacolo al quale abbiamo assistito è stato bello e ben messo in scena da Willem Peerik al clavicembalo e voce recitante, con accento straniero che non guasta per una favola di ambientazione esotica.
Con lui, Giorgio Pinai al flauto ha portato in sala i gorgheggi del vero usignolo che, solo se lasciato libero da costrizioni, vince sul concorrente meccanico ed al quale sono bastevole compenso le lacrime di commozione che sgorgano dal cuore di chi ne ascolta il canto.
Ottima e di grande effetto scenografico anche l’idea di accompagnare e “colorare” la musica con immagini: create sul momento da Massimo Ottoni e proiettate, come un vero e proprio disegno animato, sullo schermo alle spalle dei musicisti per visualizzarne il racconto sonoro che si è avvalso di autori come Sweelink, Couperin, Vivaldi, Rameau, Mozart, Rameau e Ligeti.
Con queste premesse è stata davvero un peccato (anche come mancanza di riguardo verso gli stessi artisti) la presenza di un persistente “rumore di fondo” nel Teatro Sala Fontana. Per questo motivo, nonostante la consapevolezza dichiarata in apertura, all’uscita ci accompagnano un paio di dubbi. Se avessimo figli piccoli come potremmo educarli ad un ascolto attento se portati in un ambiente dove loro coetanei si dimostrassero un po’ troppo vivaci? E, i piccoli spettatori un po’ distratti di oggi diventeranno, crescendo, un pubblico appassionato (e rispettoso)? Ai posteri l’ardua sentenza!
 
 
17.IX
Il "Nuovo Mondo" musicale Ceco
Se è vero che la grande musica è universale e appartiene a tutti, è altrettanto vero che, all’atto pratico, non occorre avere un orecchio musicale particolarmente raffinato per riconoscere quanto l’interpretazione di brani espressione di una cultura nazionale risenta positivamente del fatto che a suonarli siano connazionali di chi li ha composti e che alla medesima cultura fanno riferimento. Una sensazione che ci pare di cogliere accentuata quando si porta la propria musica all’estero. A nostro modo di vedere ha ulteriormente confermato queste argomentazioni il concerto agli Arcimboldi dell’Orchestra Filarmonica Ceca, che rappresenta uno dei più alti vertici culturali della nazione centroeuropea ed è stata diretta dallo stesso Dvořák a Praga il 4 gennaio 1896, giorno del suo debutto (leggi l'intero articolo).
 
 
15.IX
Un vero Hidalgo. Jordi Savall dirige l'orchestra del Re di Francia
“Già mi piace” esclama la signora che ci siede accanto. Occorre precisare che Jordi Savall non è ancora salito sul suo podio e il suo ensemble “Le Concert des Nations” ha appena preso posto sul palco della sala Verdi del Conservatorio e sta ancora, semplicemente, accordando gli strumenti! Ma c’è attesa, anche da parte nostra, per la nuova opportunità che ci è offerta di poter ascoltare dal vivo questo grande musicista. Il programma del concerto è tutto incentrato su Jean-Philippe Rameau di cui MiTo vuole così commemorare i 250 anni dalla morte. A dirla tutta quale sia il repertorio che verrà suonato non è poi per noi granché importante. Un po’ come per la signora citata in apertura, anche a noi Jordi Savall piace qualunque sia la musica che ci andrà a proporre. È stato così fin dalla prima volta in cui l’abbiamo ascoltato (leggi l'intero articolo).
 
 
15.IX
Brahms piange il suo maestro
Quando c’è la musica di cos’altro si ha bisogno? Di nulla, ovvio. Ed allora oggi mi va tutto bene. Sono riuscito a mettere in fila, incastrandoli uno dietro l’altro, tre concerti. Perciò, dopo aver ascoltato le Goldberg di Bach ed essermi piacevolmente intrattenuto col maestro di conservatorio ritrovato dopo anni, mi basta inforcare la bicicletta e, da Montenapoleone, in cinque minuti raggiungo la sala Puccini del Conservatorio.
Cinque minuti che valgono un secolo di storia della musica ed un salto non indifferente nella tecnica compositiva e nel sentimento al quale essa dà forma. Il primo brano che il pianoforte di Kateryna Levchenko porge al mio ascolto sono, infatti, le Variazioni su un tema di Schumann op. 9 (1861) che non posso non mettere in relazione con le BWV 988 di Bach dalle quali sono fresco reduce.
Il panorama sonoro nel quale vengo immerso già dalle prime note dell’esposizione del tema è qui totalmente diverso. Non soltanto per gli anni trascorsi e perché sono cambiati il gusto musicale del tempo ed, ovviamente, l’autore ma perché è completamente diverso il presupposto stesso dell’opera. Il soggetto scelto da Brahms è, infatti, quel “Tema degli spiriti” trascritto da Schumann la notte del 17 febbraio 1854, nove giorni prima di tentare il suicidio gettandosi nel Reno, e ultima sua idea musicale che ci è nota prima che la malattia si impossessasse della sua mente. Per Brahms, come è noto, Schumann era un padre spirituale e perciò tratta questa melodia con lo stesso delicato riguardo col quale un sacerdote custodisce l’ostensorio dell’Eucarestia che tiene fra le mani. È una melodia che sembra davvero provenire da una dimensione ultraterrena ma, nel contempo, racchiude una struggente, malinconica, sofferenza che lascia il suo indelebile segno su tutto il brano. Sia nelle variazioni veloci sia in quelle più meditative, nelle quali il virtuosismo dell’interprete lascia spazio al lirismo addolorato di Brahms che commemora il suo maestro.
 
 
15.IX
Bach "svaria" nella chiesa a forma di violino
Arrivato alla vigilia dell’ottavo appuntamento di questo mio MiTo 2014, a parte la citazione in Villa-Lobos, non ho ancora ascoltato Bach. Ma finalmente il momento è giunto, e che momento: le monumentali Variazioni Goldberg BWV 988 (1741) eseguite al clavicembalo. Scelta, viene da dire, controcorrente questa di Onofrio Della Rosa, visto che negli ultimi tempi l’opera appartiene più spesso ai programmi dei concerti per pianoforte. Il luogo in cui ci troviamo è comunque fra i più adatti che la città di Milano possa offrire a questa musica ed a questo strumento: la chiesa di San Francesco di Paola in via Manzoni. Aula sacra dall’ottima acustica, dalla pianta a forma di cassa di violino ed architettonicamente espressione del barocco settecentesco, quindi realizzata proprio negli stessi anni in cui Bach costruiva questo suo tanto matematicamente rigoroso edificio.
Al di là delle ipotesi sulla destinazione delle Goldberg ad alleviare i fastidi dell’insonnia di un conte che non disponeva ancora della radio, e dei ragionamenti dei musicologi sulle diverse combinazioni di numeri che vi si possono riconoscere, nelle note di Bach davvero riluce lo stesso oro delle decorazioni della chiesa che il sole del tardo pomeriggio, illuminando le finestre in facciata, accende di una morbida luce color rame.
E così il pubblico, più ordinato rispetto agli anni precedenti in cui si schiacciava sulle balaustre degli altari e fin dentro i confessionali, ha ascoltato col fiato sospeso l’esposizione dell’aria iniziale, sul cosiddetto “basso di Ruggiero”, e la sua impegnativa rielaborazione nelle 30 variazioni esplorative delle potenzialità di sviluppare sulla tastiera la più ampia varietà di stili ed effetti musicali (come, ad esempio, il suono pizzicato del liuto). Libertà, peraltro, vigilata dai 9 canoni ad intervalli progressivamente crescenti nell’ambito dei quali Bach si è autoirregimentato!
Un esercizio che l’autore voleva destinare alla “ricreazione”, da intendersi in senso ampio ed alto, ma che all’interprete che le esegue richiede grande concentrazione, tecnica e fantasia.
Qualità, quest’ultima, alla quale forse non ha voluto concedere troppo l’esecuzione di Onofrio Della Rosa, che ha preferito privilegiare limpidezza di suono ed equilibrio. Anche nella variazione conclusiva, dove il quodlibet è stato inteso con estrema misura, e nell’Aria da capo, ripresa allo stesso modo che in principio mentre qualcuno fra il pubblico l’avrebbe preferita riproposta come un’eco lontana. Ad ogni modo onore al merito al musicista che, dopo una simile impresa, ha trovato la forza per concedere ancora una Siciliana, sempre di Bach, alla richiesta di bis del pubblico plaudente.
 
 
14.IX
Dalle montagne del Trentino portando la tragedia in musica della Grande Guerra
Chi non conosca il mondo degli appassionati al canto di montagna e popolare si sarebbe stupito nel vedere il numero delle persone senza biglietto in piazza Sant’Alessandro in attesa, e con la speranza, che l’organizzazione di MiTo, vista la quantità delle richieste, aumentasse all’ultimo momento i posti disponibili per l’esibizione del Coro della S.A.T. (Società degli Alpinisti Tridentini). Nessuna sorpresa, invece, per chi conosca il valore di questa compagine che è riduttivo definire “fra le migliori” del genere (leggi l'intero articolo).
 
 
14.IX
O grande mistero, la messa dell'antico spagnolo in Sant'Ambrogio
Ho passato la mattinata ad ascoltare le parti di ciascuna delle voci che formano la polifonia della Messa cinquecentesca con la quale oggi si pregherà in Sant’Ambrogio. È una Messa Parodia, nel senso che, anziché utilizzare come tema musicale di partenza una semplice melodia preesistente, il suo autore, per costruire il complesso castello delle parti fisse della messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), sceglie di rielaborare una composizione a più voci. In questo caso il mottetto O magnum mysterium che egli stesso aveva composto in precedenza di cui è ben riconoscibile la melodia nello splendido Kyrie iniziale (leggi l'intero articolo).
 
 
11.IX
La prova dei giovani di Bahia
Se mi affretto ce la faccio, dai tempi indicati sul programma almeno il finale della prova aperta della Neojiba Orchestra riesco ad ascoltarla. Per non disturbare entro dal fondo, in alto, della sala Verdi del Conservatorio. È una bella vista: sul palco suonano dei ragazzi, la traduzione italiana dell’acronimo Neojiba significa infatti Nuclei Statali di Orchestre Giovanili e Infantili di Bahia.
Fra gli stati del Brasile quello di Bahia è lo stato più “nero” perché vi è più alta la percentuale di popolazione di origini africane. Rivolgendosi al pubblico il direttore, Ricardo Castro, ricorda che quando ha iniziato a pensare di fondare a Bahia un’orchestra che fosse motore di un programma educativo pionieristico modellato sull’esperienza venezuelana di El Sistema, i suoi interlocutori lo guardavano perplessi commentando che “A Bahia possono suonare soltanto il tamburo africano”.
Ed invece, sette anni dopo, eccoci qui!” conclude compiaciuto.
I suoi giovani musicisti stanno cambiando la vita di centinaia di bambini ai quali insegnano a suonare e, ovunque si esibiscano, “conquistano il pubblico con le loro appassionate interpretazioni del repertorio tradizionale, della musica contemporanea dell’improvvisazione”. Leggo quest’affermazione sul programma di sala, e non posso che confermarla… Al mio arrivo stanno suonando le Danze sinfoniche da West Side Story con uno spirito e un suono davvero tutto particolare, morbido e, per così dire, “elastico”, davvero nuovo rispetto a quello delle orchestre che sono abituato ad ascoltare.
Non credo che questa sensazione sia frutto della suggestione indotta dal sapere che vengono dal Brasile.
Anche le schiere di ragazzini delle scolaresche che riempiono festose la sala ho l’impressione che concordino.
Da programma siamo alla parte finale del concerto. Ci tenevo ad ascoltare Villa-Lobos nell’interpretazione di questi suoi giovani connazionali che, a vederli sul palco in abbigliamento casual, sembrano i personaggi della storia messa in musica da Bernstein. Purtroppo era il brano precedente.
E invece no, sono fortunato: Castro annuncia che andranno ad eseguire proprio la Bachianas Brasileiras n. 4 che attendevo.
Heitor Villa-Lobos compose questa serie di nove opere (inizialmente per pianoforte e successivamente le trascrisse per orchestra) con l’intento di fondere la tecnica compositiva di Bach con elementi della tradizione musicale brasiliana.
Per questa ragione ogni movimento porta un doppio titolo: uno bachiano e uno brasiliano. Il direttore li illustra ai suoi piccoli ospiti: il Preludio (Introdução) e il Coral (Canto do Sertão) richiamano il mondo e i suoni della foresta Amazzonica, l’Aria (Cantiga) evoca il dolore e la sofferenza degli schiavi deportati dall’Africa per lavorare nelle aziende dei latifondisti mentre la Danza (Miudinho) finale, tecnicamente molto difficile per i violini, è una vera e propria samba a dimostrazione di come tutto in Brasile finisca in festa… meglio di così non poteva andarmi!
 
 
11.IX
Brahms a 4 mani sul pianoforte
Quello che a MiTo non bisogna mai fare è non procurarsi per tempo i biglietti per gli appuntamenti che si vogliono seguire: il rischio che vadano esauriti è, infatti, elevato. E così quel che si vorrebbe non capitasse mai - essere costretti a scegliere fra due concerti concomitanti - prima o poi ecco che puntualmente si verifica!
Sì, lo so, Martha Argerich è una stella del pianismo internazionale, e la Bachiana Brasileira n. 4 di Villa Lobos non è un brano che capita spesso di trovare nei programmi di sala però… fra la prova aperta di questo concerto (per il concerto vero e proprio non ci sono più posti) nella sala Verdi del Conservatorio e la contemporanea esibizione di due giovani pianiste diplomate con lode... la curiosità mi spinge nell’adiacente sala Puccini.
Largo ai giovani, penso, e poi mi incuriosisce ascoltare la loro interpretazione di un’ampia scelta di 12 delle 21 Danze Ungheresi di Brahms nell’originale scrittura per pianoforte a quattro mani pochi giorni dopo aver ascoltato le versioni orchestrali di tre di esse ad opera del loro stesso autore.
Pochi minuti dopo le 18 mi pento della scelta, non cominciamo bene… nel senso che non cominciamo proprio! Dall’altro lato del chiostro mi sto perdendo la Argerich che starà già dialogando con l’orchestra nel Concerto n. 1 in si bemolle minore op. 23 di Čajkovski mentre Susanna Shizuka Salvemini e Martina Consonni si fanno desiderare.
Passa un buon quarto d’ora, il pubblico comincia a spazientirsi e qualcuno osserva con disappunto: chissà perché soltanto alla Scala si inizia puntuali?
Poi finalmente eccole sul palco dove la combinazione fra l’energia della gioventù (poco più di quarant’anni in due) e la sfrontata, gioiosa brillantezza del repertorio scacciano presto ogni ombra.
I temi popolari liberamente nobilitati dall’autore in forma colta suggeriscono già nella veste pianistica gli effetti e le varietà timbriche che decreteranno il successo delle successive orchestrazioni. L’esecuzione di Susanna e Martina è improntata a potenza di suono e  variazioni dinamiche molto accentuate, movimentate da continue accelerazioni, rallentati quasi esasperati, sospensioni e poi nuovi slanci… improvvisi come scudisciate.
Un invito a liberare la fantasia verso cristalline cascatelle di note discendenti in risposta alle esposizioni dei temi, sfarzose sale da ballo dove dame e cavalieri volteggiano in danze vorticose, suoni di lontani carillon, sommessi mormorii quasi soffocati che, ad un tratto, esplodono come incandescenti fontane di lava, un vanesio che incede a passi distesi pavoneggiandosi per la via, presto travolto da una folla che avanza con le ridicole movenze accelerate dei film muti in bianco e nero… E come non dire del gatto che a passi felpati avanza circospetto fra l’erba del giardino per tendere un agguato all’uccellino… e poi, lesto, scarta di lato ad inseguire una farfalla…
 
 
7.IX
I violini di Mozart? Non a Messa!
Lo dice l'Arcivescovo
La questione di quale sia la musica più adatta da eseguire durante le funzioni religiose ha una vita lunga, forse, quanto quella della Chiesa Cattolica (per circoscrivere l’indagine all’ambito che ci è più vicino). Procedendo a ritroso nel tempo, dalle chitarre elettriche degli anni ’70, si passa al melodramma che si insinuava fin all’Elevazione fra Ottocento e Novecento - al punto da indurre il papa Pio X all’emanazione di un Motu Proprio per regolamentare la materia - e, risalendo ancora più in antico, si arriva alla Salisburgo del Settecento nella quale, il 1° settembre 1782, il principe ed arcivescovo della città, Hieronymus Colloredo pubblicava una lettera pastorale con la quale si proponeva di ≪ricondurre di nuovo alla piena osservanza del culto divino≫, in buona sostanza semplificando la liturgia che voleva depurata da ciò che è ridondante e superfluo. Anche dal punto di vista musicale.
Fra l’altro, infatti, l’arcivescovo deprecava la ≪musica delle chiese di tutto il nostro arcivescovado, dove sì di spesso colle più miserabili sonate di violino si scaccia dai cuori della gente volgare ogni buon pensiero, e con mugghiniamenti bestialissimi vien solo trattenuta la stupida insensatezza e la spensierataggine≫ (leggi l’intero articolo).
 
 
6.IX
Orrore! Ma soltanto il film
Con ancora in testa i funambolismi di sapore zigano delle Danze Ungheresi di Brahms esco dal teatro pensando di avviarmi verso casa ma, mentre slego la bici dal provvidenziale palo in via San Giovanni sul Muro al quale l’ho assicurata, mi ricordo di non aver cenato e di avere un panino nello zainetto.
Guardo il cielo, la notte di Milano è calda e serena, è ancora estate ed è bello stare più a lungo all’aperto.
Sono le 23, nel cortile del PAC proprio ora dovrebbero cominciare a suonare i Goblin, sì proprio quelli di Profondo Rosso.
Emma mi ha detto che i biglietti sono esauriti però, penso, è musica rock quindi sarà amplificata e perciò si sentirà anche stando sulle panchine sotto gli alberi dei Giardini Pubblici.
Sono in bici, ci metterò un attimo ad arrivare quindi… ci vado!
Eccomi in via Palestro. Come previsto sotto il palco non c’è più posto e così una piccola folla assiste al concerto dalla strada stazionando davanti al cancello aperto (tanto sono in piedi anche dentro).
Claudio Simonetti, il fondatore della band, dialoga col pubblico fra un pezzo e l’altro tratto dalle colonne sonore dei film horror di Dario Argento e George Romero.
Non sono un appassionato del genere ma questa musica non è così male per concludere in modo leggero una serata e, forse sto dicendo un’eresia, non mi guasta il sapore della classica che ho appena finito di ascoltare.
Nell’alone della luce lunare che sfugge dalle nubi la sagoma scura e imponente della Galleria d’Arte Moderna incombe sul palco dove i suoni del sintetizzatore evocano atmosfere tenebrose per la gioia dei cultori dell’orrido. Intanto la chitarra distorta grida i suoi lamenti mentre batteria e basso ostinatamente tengono alto il ritmo e la tensione.
Sullo schermo alle spalle dei musicisti scorrono le sequenze dei film di cui stiamo ascoltando la musica. Qualcuno, un po’ come si fa a casa sul divano, tenendo la mano davanti agli occhi ma sbirciando fra le dita, si tiene di lato in modo da avere il pilastro del cancello a coprire la visuale. Altri invece, più coraggiosi, si arrampicano sulle inferriate della recinzione per non perdersi una scena.
Mentre gli zombie azzannano le loro vittime io mordicchio il mio panino e mi domando, ma quand’è che suonano Profondo Rosso? Desiderio esaudito, com’è ovvio, nel gran finale.
Non incontro mostri terrificanti sulla via del ritorno a casa, i veri mostri si tengono ben nascosti, e sono quelli che costringono delle povere ragazze a passeggiare sui marciapiedi di viale Zara… e quelli che le comprano.
 
 
6.IX
Da 300 anni suono per voi, lo Stradivari di Joachim per Brahms
Quest’anno Il mio MiTo comincia al Dal Verme. Mi aspettano un giovane astro nascente giapponese del violinismo internazionale, Sunao Goko, un compositore, Brahms, al quale Schumann, quando lo incontrava, si rivolgeva con le parole: “Benedictus qui venit in nomine Domini” ed un violino storico messo a disposizione dalla Fondazione Museo del Violino Antonio Stradivari di Cremona (istituzione che compie un anno proprio in questi giorni ed offre l’ingresso a prezzo ridotto a chi si presenta con un biglietto di MiTo 2014 - www.museodelviolino.org).
Voglio soffermarmi su quest’ultimo. È uno Stradivari che, identificato come Joachim-Ma, già dal nome rivela un indizio importante. József Joachim era, infatti, un virtuoso del violino del tempo di Brahms. Ma i due erano anche legati da amicizia ed a Joachim Brahms chiedeva consigli per le sue composizioni. Così è stato per il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 dedicato proprio a Joachim e da Joachim suonato in prima esecuzione assoluta a Lipsia il primo gennaio 1879… proprio sullo Stradivari protagonista anche del concerto di oggi.
Mi dà una sensazione molto particolare la consapevolezza che, grazie a questo violino, questa sera, a Milano, dopo più di un secolo, io sono in un certo senso fisicamente accanto all’autore di una musica di cui posso ascoltare proprio lo stesso suono che ha ascoltato lui.
Al di là di questo, purtroppo, non riesco però ad andare e devo ammettere, a malincuore, che il mio orecchio non è esercitato a sufficienza per riconoscere le particolari qualità sonore di questo violino costruito nel 1714 e pertanto, come spiegano gli esperti, appartenente all’epoca d’oro del liutaio cremonese.
La data del 1714 mi suggerisce poi una riflessione extramusicale: ho sul palco di fronte a me, a dialogare con l’orchestra, un “oggetto”… di 300 anni!
Di 300 anni ma perfettamente funzionante ed anzi di una qualità che, nonostante le infinite ricerche che sono state condotte su di esso e tutta la tecnologia che abbiamo oggi a disposizione, sembra impossibile replicare.
E penso a quanta enfasi viene, invece, creata ad arte attorno a prodotti dei nostri giorni che diventano superati e da buttare nel giro di qualche mese.
Così azzardo l’ipotesi che un più diffuso ascolto della musica potrebbe essere utile anche ai molti ingenui facili a farsi abbindolare dalle fraudolente lusinghe della comunicazione commerciale.
Per quanto riguarda repertorio ed esecuzione cosa dire? Beh che è valsa la pena saltare la cena per venire al Dal Verme dove, oltre alla già citata op. 77, i Pomeriggi Musicali hanno eseguito la Serenata n. 2 in la maggiore op. 16 e le Danze Ungheresi n. 1, 3 e 10 orchestrate dallo stesso Brahms.
 
Giovanni Guzzi, settembre 2014
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